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Alpina Heritage Automatic, il “field watch” riveduto e corretto

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Guardare indietro al proprio passato e riproporre modelli d’epoca opportunamente reinterpretati sono operazioni frequenti nell’orologeria contemporanea. Almeno da parte di quelle case che hanno una tradizione alle spalle – e non sono poche, nella Svizzera delle lancette. Alpina, che una storia ce l’ha – e che storia: c’è chi pensa abbia avuto un ruolo chiave nell’evoluzione dell’industria del Tempo elvetica –, va giustamente a ripescare nei propri archivi alcuni esemplari intramontabili. Lo dimostra il nuovo Alpina Heritage Automatic, le cui origini risalgono al periodo fra le due Guerre.

Esaltare il patrimonio

Certo, in parte è merito dell’imperante tendenza “neo-vintage”, o “modern rétro” che dir si voglia. Ma non solo. C’è anche la consapevolezza di ciò che si è, da dove si viene e verso cosa si va. Il desiderio di dare un senso di continuità alla Marca: ribadirne il carattere, il savoir-faire, il buon nome che si sono conquistati nel corso del tempo. Un patrimonio da salvaguardare e da valorizzare, anche attraverso la capacità di filtrare stili e stilemi con sensibilità e intelligenza. Da un lato quindi fedeltà storica all’estetica d’antan, dall’altro il gusto, i materiali e le tecnologie attuali. Con un occhio alle esigenze dei clienti.

Alpina lo fa appunto con la collezione Heritage, presente in catalogo già da qualche anno. Di cui oggi fanno parte due orologi: il Seastrong Diver 300 Heritage e l’Alpiner Heritage Carrée Automatic 140 Years. Quest’ultimo creato nel 2023 per celebrare appunto il 140° anniversario della Casa e derivato da un modello Art Déco degli anni Trenta/Quaranta del secolo scorso. Il primo, invece, lanciato nel 2016, sulla base di un subacqueo Compressor degli anni Sessanta. Ai quali ora si è aggiunto l’Alpina Heritage Automatic, presentato alla fine di agosto ai Geneva Watch Days e già disponibile nei negozi.

L’Alpina Heritage Automatic: ispirazione e caratteristiche

L’ispirazione è quella dei field watch, gli orologi “da campo” di ascendenza militare. Strumenti robusti, pratici e ben leggibili, dovevano essere per definizione economici perché fabbricati su scala industriale, in grandi numeri per poter essere inviati alle truppe di terra. Si affermarono durante la Prima Guerra Mondiale, per coordinare le manovre tattiche dei soldati al fronte, che puntavano su un obiettivo comune ma non potevano comunicare fra loro. Ed erano ben più utili dei precisissimi ma oltremodo scomodi orologi da tasca: fissata l’ora X, bastava uno sguardo al polso per agire efficacemente in modo simultaneo (o quasi).

Lo testimonia anche il nostro Ministero della Difesa, sul cui sito si legge: «Nel 1916, l’azienda H. Williamson, che li produceva, annotava nel suo report annuale: “Un soldato su quattro ormai porta un orologio da polso, e gli altri tre faranno in modo di averne uno nel più breve tempo possibile». Diventati oggetti indispensabili e d’uso quotidiano, i field watch si diffusero così fra i reparti delle varie forze armate a livello internazionale. E la produzione continuò anche nel periodo post-bellico, rivolta alle milizie impegnate nelle esercitazioni e nelle campagne di routine, sebbene la domanda di mercato fosse meno impetuosa. Ad averli in dotazione, furono soprattutto gli ufficiali, che poi contribuirono a farli circolare in tutte le classi della società civile.

Per tornare all’Alpina Heritage Automatic, è evidente fin dal primo sguardo che mantiene i tratti principali di quei precedenti storici. La cassa in acciaio di dimensioni contenute è sobria e priva di fronzoli. Essenziale anche il quadrante, che mostra le indicazioni temporali di ore e minuti con le lancette dauphine azzurrate. Poi c’è la minuteria a chemin-de-fer, riportata sull’anello periferico e scandita dalla lancetta centrale dei secondi. Niente data, nessun’altra funzione aggiuntiva per non appesantire l’estetica o complicare la lettura. Il vetro zaffiro a box che crea una sorta di “effetto lente”. Il fondello chiuso, senza alcuna velleità di esibire la meccanica. E il semplice cinturino di pelle, con la fibbia ad ardiglione.

Due referenze: diversità e similitudini

L’Alpina Heritage Automatic è declinato in due versioni di quadrante. Una interamente di colore beige dalla finitura opaca, con i 12 numeri arabi color bruno. E un’altra suddivisa in due parti, con la zona centrale mat, anch’essa beige, ma la zona esterna argenté, satinata; diversa la numerazione, con 4 cifre arabe ai quarti, intervallate da lunghi e sottili indici a bastone, tutti color bronzo profilati di nero. Più filologicamente corretta la prima, più moderna la seconda, risultano entrambe ugualmente “classiche”, quindi versatili e adatte in tutte le situazioni, formali o più sportive. La preferenza di una o dell’altra è solo questione di gusti personali, soggettivi e arbitrari. Per quanto mi riguarda trovo inutili i commenti “mi piace” o “non mi piace”, quindi passo oltre.

Penso sia piuttosto più interessante scrivere qualcosa sulla meccanica. Entrambe le referenze sono animate dallo stesso movimento a carica automatica: il calibro AL-520, sviluppato su una base Sellita SW-200, con 38 ore di autonomia come gli esemplari del passato. Anche l’indicazione del numero dei rubini sul quadrante rimanda agli orologi d’epoca, così come il logo Alpina presenta il carattere tipografico corsivo degli anni Trenta.
E concludo come sempre con il prezzo al pubblico: l’Alpina Heritage Automatic costa 1.695 euro, coerente con la qualità Swiss made del Marchio. A dimostrare che la Storia non è esclusivo appannaggio dell’Alta Orologeria…