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Swatch Group: bye bye Basel

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Nick Hayek ha dato l’annuncio: anche Swatch Group dice addio a Baselworld. Prosegue così la diaspora, iniziata ormai da un paio d’anni. Ma quest’ultima defezione non potrà non avere conseguenze

Il nuovo gruppo dirigente di Baselworld ha cominciato male, ma male che peggio non era possibile. Qualcuno ha fatto saltare la mosca al naso a Nick Hayek, che già cominciava a chiedersi quanto avesse ancora senso una manifestazione fieristica ormai antica, immobile in tutto tranne per la fuga di espositori. Perché aveva falcidiato a un terzo circa i partecipanti dei tempi d’oro, quando la fiera di Basilea rappresentava al meglio l’orologeria svizzera.
Domenica 29 luglio, con mezza Svizzera ancora in ferie e mezzo mondo pronto ad andarci, Nick Hayek sgancia la bomba: noi di Swatch Group non saremo a Baselworld 2019. Fino a pochi mesi fa Nick ripeteva a tutti che la fiera non si toccava. Salvo poi, allontanandosi, borbottare che comunque così non andava.

Cosa non va

I mali di Baselworld? Costi altissimi per tutti, ad esempio. Da parecchi anni riesco ad avere una camera in uno dei due alberghi che si affacciano sulla piazza della fiera. La camera (un po’ strettina di spalle, a dire il vero) durante l’anno costa intorno ai 100 franchi. Io, grazie ai buoni uffici di un marchio svizzero, ne pago 800 al giorno con obbligo di prenotare l’intero periodo fieristico. Lo farei comunque, perché da sempre resto fino all’ultimo, ma 800 franchi svizzeri per una camera da 100 fa un po’ di rabbia. E conosco operatori del settore che pagano ben più di 1.000 euro.

Basilea, nei giorni della fiera, si trasforma in un campo di gara per spennapolli. Ristoranti con prezzi alle stelle, 90 euro per un piatto di asparagi, persino un panino con wurstel mangiato all’aperto non scende sotto i 20 franchi (era arrivato a 30, due anni fa) bevande escluse. E nei negozi ti fiutano come segugi con prezzi che aumentano vertiginosamente anche per quel che avrebbe il prezzo stampato. Per non parlare della difficoltà ad ottenere uno straccio di fattura. Poi dicono l’Italia…

E i costi degli stand: il milione di euro è l’unità base per gli espositori piccoli, con stand al secondo piano, lontano dai flussi principali. Al piano terra (le cifre sono per sentito dire, ma con ogni probabilità inferiori a quelle reali) per meno di cinque milioni non prendi nemmeno uno stand nei “bassifondi” della fiera. In quelle zone in fondo, all’estremità opposta all’entrata, dove solo pochi coraggiosi si avventurano dopo un lungo, lunghissimo percorso ad ostacoli.

I motivi di Swatch Group

È questo che ha fatto scattare Nick? No, credo di no, anche se i costi della fiera sono spaventosi per chi ospita molti rivenditori, per chi deve organizzare la trasferta dei dipendenti, per chi comunque si rende conto che non se ne può più. Il punto è che le assenze cominciavano a pesare. Tutti si concentravano sui grandi nomi (se n’è andato Hermès, Breitling ha firmato per un solo anno…), senza rendersi conto che una grande fiera deve rappresentare non solo i nomi che contano, ma un mercato – quello dell’orologeria svizzera – nel quale sono importanti anche i molti nomi apparentemente secondari. Anche loro comprano movimenti e componenti, anche loro contribuiscono comunque a creare un affresco di un mercato che non si ferma alle marche Vip.

Il primo a partire era stato Timex Group con Versace, giustamente indignato che un “versace” falso avesse avuto accesso alla fiera e che poi, quando la falsità venne riconosciuta, sia rimasto in bella vista sui cataloghi e sulle mappe della fiera. A quei prezzi devi saper difendere i tuoi espositori anche se non appartengono alla tradizione svizzera. Episodi come questo credo abbiano avuto maggior influenza sulla scelta di Hayek. Swatch Group non è solo una straordinaria concentrazione di marche, ma anche di aziende che producono tutto, ma proprio tutto per l’orologeria: dall’olio al vetro zaffiro, dalle batterie ai quadranti, alle lancette.

L’orologeria svizzera è un grande sistema industriale capace di spaziare dalla manualità artigianale all’industrializzazione elettronica più spinta. Tecnologie, per intenderci, che troviamo persino nei cellulari. Rompere questo equilibrio, smontare questo patchwork è un vero e proprio delitto che mette a repentaglio il futuro dell’orologeria. E questo delitto i dirigenti di Baselworld lo stavano commettendo, desiderosi soltanto di ammortizzare spese faraoniche per trionfi architettonici che nulla aggiungevano alla funzionalità della fiera. Da ormai parecchi anni scrivo che Baselworld non rappresenta più tanto l’orologeria svizzera, quanto un gruppo di assatanati venditori di spazi espositivi e di tutto quel che gira intorno alla fiera, dal catering ad una lunga serie di passaggi obbligati (e tutti costosi) per poter partecipare.

Un problema di presenze

Qualcuno dirà che fin quando restano Rolex, Patek Philippe e le marche di LVMH (Hublot, Tag Heuer e Zenith), Basilea è pur sempre un passaggio obbligato. È una sciocchezza. Rolex e gli altri faranno bene a pensare e ripensare sul da farsi, a riflettere profondamente. E lo stanno già facendo: proprio lo scorso anno un dirigente di Rolex, ovviamente anonimo, mi disse: «Chissà se fra due anni saremo ancora qui».

L’abbandono di Swatch Group non va valutato soltanto in termini di fatturato del gruppo stesso o di rappresentatività delle sue marche. Va innanzitutto considerato per il numero – decine di migliaia – di negozianti che potrebbero decidere di rimanere a casa, svuotando i corridoi della fiera. Magari in favore di manifestazioni fieristiche locali. Perché il numero mondiale dei concessionari delle altre marche, indipendentemente dal fatturato, è molto, molto inferiore a quello dei marchi di Swatch Group. E quel che conta sono le presenze: quanti negozianti vengono a prenotare le novità.

Un futuro incerto

Michel Loris-Melikoff, insediatosi il 1° luglio al vertice della società che controlla Baselworld, protesta che Swatch Group non ha potuto tener conto dei piani di rilancio che saranno presentati il 1° settembre. Ma forse non sa (o se lo sa omette di dirlo e in entrambi i casi non è una buona partenza) che nel comitato di gestione della fiera ci sono anche uomini di Swatch Group. I quali hanno capito evidentemente che l’approccio di Loris-Melikoff somiglia più a quello di un esecutore fallimentare: lodevole cercare un “mediatore alberghiero”, lodevoli altre piccole iniziative utili a contenere il drenaggio di soldi, ma qui si tratta innanzitutto di dare un senso a quel che sta perdendo senso anno dopo anno.

E ora che succede? C’è poco da fare: Baselworld è in agonia e lo stesso SIHH di Ginevra non ride, tanto che già da un paio d’anni ha iniziato un’opera di ridimensionamento molto evidente.
Certo è che un trasferimento a Ginevra, dove già si tiene in gennaio il Salon International de la Haute Horlogerie, avrebbe una sua logica. La capienza alberghiera è tale da non rendere poi proibitivi i servizi, per non contare il fatto che molte marche d’orologeria (Rolex e Patek comprese) hanno proprio a Ginevra la sede. Si risparmierebbero le trasferte dei dipendenti, sarebbe più facile l’organizzazione e poi gli spazi fieristici sono immensi. A Ginevra, per giunta, Swatch Group possiede già la “Cité du Temps”, uno spazio nel quale esporre almeno alcune delle proprie marche.

Scenari possibili

Eppure il trasferimento a Ginevra è molto difficile da ipotizzare perché richiederebbe una persona o un gruppo di persone in grado di rivedere totalmente il concetto di “fiera commerciale”. E soprattutto di farlo in modo corale: nel senso di superare i contrasti fra marchi e/o gruppi per promuovere anche l’intero settore svizzero. Le nuove tecnologie, le nuove istanze di comunicazione stanno cambiando il mondo e l’orologeria lo sa bene. Un segmento di mercato così delicato (ormai l’orologio è più un concetto artistico che un bene di prima necessità) vive e prospera solo se è in grado di mantenere sì il proprio carattere tradizionale, ma inserendolo nei linguaggi contemporanei, coniugando in maniera naturale passato, presente e futuro. Ripeto: i prezzi devono scendere, certo… Ma se una fiera svizzera degli orologi non è più in grado di rappresentare la Svizzera degli orologi, allora a cosa caspita serve?

E quindi? Ci sono diverse soluzioni possibili, a partire dalla creazione di un circuito di mostre locali in tutto il mondo. Eppure ho l’impressione che vivremo qualche anno di confusione e anche di (moderato, sotterraneo) conflitto. Dal quale Nick Hayek sa già come uscire. Perché credo di conoscere Nick abbastanza bene per sapere che da lui non arrivano mai parole a caso. Se devo scommettere, punto sicuro sul fatto che la soluzione c’è ed è praticamente pronta. E forse anche già condivisa da altre marche. Ne riparleremo presto, vedrete. Nel frattempo aspettiamoci sorprese, grosse sorprese…