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Dietro le quinte: Baselworld, cosa diavolo succede?

Vista esterna di Baselworld

Considerazioni su Baselworld 2019: com’è andata, cosa non va, cosa si potrebbe fare per rimediare. Perché deve tornare a essere il fulcro dell’orologeria svizzera

Ho aspettato che la rabbia sbollisse un poco, prima di scrivere questo articolo. Perché a Baselworld, quest’anno, ho solo visto i resti di una fiera che frequento da più di trent’anni. E spiace – perché per certi versi ingiusto, come vedremo – dover annoverare fra i resti nomi più che illustri come Patek Philippe e Rolex. Che non si capisce bene cosa restino a fare.

In realtà lo capisco bene: Rolex, Patek Philippe e uno zoccolo duro di marche non vogliono mollare perché sperano nel futuro. Sperano in un futuro che consenta all’orologeria svizzera di tornare unita (o quasi: sarebbe già una conquista) per mostrarsi su un palcoscenico internazionale. Oggi il frazionamento delle manifestazioni e la fuga degli espositori offre dell’orologeria svizzera un ritratto impietoso, che per altro non corrisponde affatto alla realtà di un settore capace di farsi concorrenza nel reciproco rispetto. Gli errori della vecchia gestione di Baselworld, sommati a quelli già messi in evidenza dai nuovi dirigenti, offrono invece una ingiusta caricatura dell’orologeria.

C’era una volta

Una volta, tanti anni fa, la “fiera di Basilea” era l’appuntamento fondamentale per l’intero settore. I produttori presentavano le novità e i negozianti venivano a vederle. Se fossero piaciuti le avrebbero ordinate, con consegne che di solito richiedevano parecchi mesi. A Basilea i produttori decidevano quali orologi mettere effettivamente in produzione e in quale quantità. Ho visto spesso orologi scomparire nel dimenticatoio perché i negozianti non li volevano e ho visto spesso diminuire i prezzi degli orologi di successo perché la forte richiesta consentiva di farlo, rendendoli ancor più competitivi e di successo. In una settimana circa, a Basilea, ogni produttore arrivava a fare, in ordini, fino al 90 per cento del fatturato annuale.

C’era anche un forte indotto per la città di Basilea: come sempre accade alberghi e ristoranti aumentavano i prezzi, ma nulla che non accadesse anche altrove. E benché 29 anni fa le marche del gruppo Richemont (e altre, fra cui Audemars Piguet) avessero mollato Basilea per creare a Ginevra una propria manifestazione fieristica più esclusiva, la fiera di Basilea, che effettivamente aveva un carattere molto più popolare, non subì grandi conseguenze negative. In realtà proprio il carattere poco paludato di questa fiera (insieme a prezzi sopportabili e ben modulati in rapporto agli spazi) consentiva due cose essenziali: uno, offrire a tutti, anche alle piccole marche, vecchie e nuove, l’opportunità di presentarsi sul mercato; e due, consolidare l’immagine dell’orologeria come un settore essenzialmente svizzero, pur se tutti hanno sempre saputo che i numeri dei grandi produttori orientali erano e sono ben più consistenti.

La svolta del 2003

Molti ricordano che tutto è cambiato intorno al 2003, quando si verificò una forte epidemia di influenza aviaria. Allora le autorità decisero che tutti gli orientali venuti a Basilea per comprare erano sanissimi, mentre quelli venuti a vendere non solo erano molto, molto malati, ma dovevano tornare a casa immediatamente senza aver diritto ad alcun rimborso. La mansuetudine dimostrata dagli orientali sembrò far scattare qualcosa.

La fiera di Basilea, anche nel (malinteso) tentativo di adeguarsi a Ginevra, con la ristrutturazione faraonica affidata a Herzog & de Mauron passò ad una sfrenata ricchezza: moltiplicazione dei prezzi da pagare per gli spazi, moltiplicazione (per dieci!) dei costi d’alloggio in albergo, stand milionari e tutto un crescendo wagneriano di spese e iniziative. I piccoli? O relegati in zone seminascoste della fiera, o costretti ad esporre all’esterno, in alberghi, negozi compiacenti (a caro prezzo) e persino banchetti da ambulante.

Ora facciamo un gioco. Gira che ti rigira, dove pensate che il cetriolo dell’aumento dei costi andasse a finire? Sì, proprio nei prezzi degli orologi. Non erano aumenti poi pazzeschi (se la fiera ti costa 30 milioni di franchi e tu produci un milione di orologi si parla, tutto sommato, di trenta franchi), ma pur sempre aumenti.

Baselworld: forze centrifughe e centripete

Poi la crisi, poi il rallentamento dei mercati orientali, poi il digitale, poi le prime defezioni e la continua avidità di Baselworld, trasformatasi in una macchina dai costi esagerati, l’arroganza del “certi marchi è meglio perderli che trovarli”, l’intelligenza di chi ha pensato soluzioni alternative. Come l’idea di esportare “piccoli SIHH” in USA, Hong Kong e forse Dubai o quella, di Swatch Group, di prendere un palazzo d’uffici e fare una propria manifestazione commerciale, senza giornalisti. A questi ultimi verranno poi destinati incontri locali quando gli orologi saranno pronti per entrare in commercio. Sono soluzioni intelligenti ed efficaci, che però hanno un solo difetto: dividono ulteriormente l’orologeria svizzera, impediscono il ritorno ad un unico centro focale del settore.

Non è un difetto secondario. Rolex e Patek Philippe restano non ostante tutto a Basilea proprio per fare da aggregante al settore. Nessuna delle due marche ha necessità di una vetrina commerciale (perché nessuna delle due riesce a produrre abbastanza orologi in relazione alle richieste del mercato) ed entrambe risparmierebbero cifre enormi standosene a Ginevra, nelle proprie sedi. Fino ad oggi hanno onorato il proprio ruolo di “fari” dell’orologeria svizzera. Ma per quanto tempo potranno ancora andare avanti a spendere (quasi) inutilmente decine di milioni di franchi svizzeri?

Parliamone…

Vorrei dire ai “signori di Baselworld”: cercate di capire a cosa serve, oggi, una manifestazione fieristica. Vendere? Incontrare gli amici? Incontrare la stampa? Ribadire la svizzerità degli orologi? Ascoltate quante più parti in causa potete, dai produttori ai negozianti, dai venditori ai giornalisti, e poi decidete.

Vorrei anche dire ai “signori di Baselworld”: basta con certi prezzi. Comprendiamo tutti i vostri problemi di bilancio, ma non possiamo risolverli noi. E basta con il caro alberghi e il caro ristoranti. Da noi in Italia se un furbacchione fa pagare prezzi troppo cari intervengono i Carabinieri, la Finanza, la Polizia e magari anche la Forestale. Voi dite che non potete farci nulla? Peggio per voi. Sono disposto a pagare una camera anche tre volte il suo prezzo, ma se costa di più non se ne parla. Oggi il materiale stampa è sul cloud in tempo reale e pochi giorni dopo si svolgono manifestazioni locali che mi consentono di vedere e toccare gli orologi. A costo zero. Le migliaia di euro che mi costa la fiera non hanno più alcun riscontro pratico.

E poi vorrei dire ai “signori di Baselworld”: sostenere che la fiera si deve digitalizzare è una banalità. Tutti hanno già digitalizzato da molto tempo. Diteci come vorreste farlo, nei dettagli. Oggi persino Google ha capito che non sempre conta la quantità dei contatti, ma la qualità. E non provate a inondarmi di materiale: vi considero come spam e buona notte ai suonatori. Cercate di capire come, quando e perché interagire con gli operatori. E con quali: l’orologeria è suddivisa in settori che hanno ciascuno esigenze diverse. L’unica esigenza comune si chiama Swiss Made.

Cara Baselworld, diciamo le cose come stanno

Continuo ancora. Sempre ai “signori di Baselworld” vorrei anche dire: l’anno prossimo la fiera si svolgerà a maggio, coordinata con quella di Ginevra – finisce una, inizia l’altra. Per alcune motivazioni circa la scarsa furbizia di questa operazione vi rimando a un altro articolo scritto prima di Baselworld.

Qui vorrei solo aggiungere che anche gli operatori si sono resi conto della suddetta scarsa furbizia: se presentano a maggio i propri orologi, rischiano di non riuscire a consegnarli in tempo per le vendite estive né per quelle natalizie. Ma i rappresentanti della fiera giurano che non avevano scelta, vista la presenza di altre manifestazioni. Lasciare tutto com’era non vi è passato per la mente? È vero che chi viene da lontano risparmia un biglietto aereo di andata e ritorno, ma tutti gli altri? Sarebbe stato sufficiente offrire gli alberghi a non più di tre volte il prezzo solito per risolvere il problema economico. Ma anche questo non sembra accettabile.

Concludo dicendo ai “signori di Baselworld”: smettetela di dire che i cambiamenti che pensate saranno effettivi fra tre o quattro anni, perché questo equivale a dire “abbiamo sbagliato, stiamo cercando di riparare, ma nel frattempo i prezzi di una fiera mal fatta continuate a pagarli voi”. No, grazie. C’è stata una conferenza stampa con tanto di streaming nella quale Michel Loris-Melikoff, Direttore generale della manifestazione fieristica, ha in sostanza annunciato una serie di provvedimenti di scarsissima consistenza e utilità, più la disponibilità a diminuire i prezzi di un 20/30 per cento.

Serve ben altro. Baselworld va ripensata da zero per avere almeno un dimezzamento dei prezzi che le consenta di tornare ad essere il fulcro dell’orologeria svizzera. Bisogna consentire una presenza dignitosa, in fiera, a tutti: dai grandi ai piccoli marchi, dai potenti gruppi finanziari ai piccoli marchi indipendenti che cercano di trovare un proprio posto nel panorama del settore. Tutto il resto sono balle.