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La precisione è ben altro. Parte III

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A influire sulla costanza di marcia ci sono anche e soprattutto le nostre abitudini. Ecco cosa cambiare, nell’uso quotidiano di un orologio, per migliorarne sensibilmente la precisione

E poi si sono studiate le cause che influiscono negativamente sulla costanza di marcia. Sorpresa! Al primo posto fra i “cattivi” c’è il nostro modo di usare l’orologio. Tre le cause principali. Sul gradino più basso del podio c’è l’abitudine a tenere largo sul polso il cinturino o il bracciale. La medaglia d’argento se la prendono urti e vibrazioni. Medaglia d’oro la vita sedentaria.

1) Fateci caso, anche se non volete confessarlo. Il problema sta nel fatto che ogni tanto diamo un bel colpo di polso per riportare l’orologio nella giusta posizione, dopo che è scivolato di lato. Il che equivale ad una micidiale botta, ad un urto che fa mica bene alla precisione di un oggetto che funziona con quantità d’energia minime e comunque enormemente più basse di quella sviluppata nella “botta di polso”. Anche per questo gli orologiai cercano subito di gestire al meglio il nostro modo d’indossare l’orologio: persino lo sviluppo delle vendite telematiche prevede la possibilità di regolare da sé i bracciali. Sto parlando sempre, è chiaro, di orologi meccanici, non al quarzo.

2) Urti e vibrazioni: una vera maledizione. Ciascuno di noi è disposto a giurare su tutti i testi religiosi del mondo di aver trattato il proprio orologio meglio di un figlio. Ma basta osservare attentamente il metallo per rendersi conto che non è vero: graffi e ammaccature sono la prova che accidenti se l’orologio non è stato trattato in guanti bianchi. Per ammaccare o graffiare il metallo ce ne vuole… Il problema è che noi non ne abbiamo percezione: come quando scopriamo di avere un livido senza ricordare come ce lo siamo procurato. Neghiamo e il negoziante non può mica scatenare una rissa sull’argomento, con il rischio che offesi lo molliamo in favore di un negoziante più compiacente e ruffiano. Ok: più “diplomatico”. Ogni segno sulla cassa o sul bracciale corrisponde a uno shock tale da variare la costanza di marcia.

Ancora più maledette, poi, sono le vibrazioni. Non è possibile determinare quali siano le vibrazioni (di quale frequenza e applicate per quanto tempo) che “fanno male” alla costanza di marcia di un orologio, visto che ciascun esemplare differisce un po’ da ogni altro. Si fanno prove statistiche, si fanno tentativi di ogni tipo, ma le frequenze di vibrazione sono pressoché infinite e per giunta bisogna valutare l’intervallo di tempo in cui il nostro orologio deve sopportarle. Sta di fatto che la costanza di marcia va a quel paese.

Un esempio personale. Avevo un orologio, anni fa, sul quale un eccellente tecnico si incaponiva a dimostrarmi la sua bravura nel regolare l’anticipo e il ritardo. Ma il mio orologio arrivava a ritardi quotidiani di venti, anche trenta secondi al giorno. Il duello fra il mio orologio e il tecnico è andato avanti fin quando ho sostituito gli pneumatici della mia auto, facendo l’equilibratura dei cerchioni. Miracolo: l’orologio era diventato straordinariamente preciso. Come mai? Facevo ogni giorno lo stesso percorso in auto, con una parte in autostrada; l’imperfetta equilibratura dei cerchioni causava una vibrazione che si trasmetteva al volante e quindi alla mano e all’orologio. Tutto qui. E magari fossi andato in moto non succedeva nulla. O forse sì. Vai a saperlo, con le vibrazioni…

3) Trionfante e tronfia sul podio c’è la sedentarietà. Vedete, tutti noi (me compreso, ma un po’ di meno) siamo convinti che il sistema di ricarica automatica sia una sorta di moto perpetuo che fornisce al nostro orologio – automaticamente, appunto – l’energia necessaria per funzionare, sempre. In realtà non è così. La maggior parte dei sistemi automatici di ricarica agisce in una sola direzione: potete capirlo semplicemente osservando il comportamento della massa oscillante, del rotore. Se va più veloce in un senso che nell’altro, allora la ricarica è unidirezionale e il sistema ricarica solo nel verso più lento.

Un buon sistema di ricarica – in una persona attiva ma non troppo – riesce più o meno a fornire quotidianamente la stessa energia che l’orologio ha consumato per il proprio funzionamento. Il che non è poco, tenendo presente che nelle ore notturne l’orologio, fermo, continua a funzionare, ma non ricarica. Il vero problema è di solito nel fine settimana, quando ci svegliamo più tardi e/o ce la pigrottiamo rilassati. O magari, se siete sportivi, cambiate orologio con uno meno prezioso. Dove è il problema, se comunque l’orologio non arriva magari a fermarsi?

Ecco: l’energia viene accumulata in una lunga molla piana contenuta nel bariletto, sia che provenga  dal sistema automatico di ricarica, sia dall’intervento manuale sulla corona. Il bariletto fornisce energia con una coppia QUASI sempre costante, diciamo uguale, per spingere il bilanciere a ruotare sul proprio asse: ogni semi oscillazione è completata da un’altra, causata dalla spinta della molla piana (la spirale) montata sul bilanciere stesso. La spirale fornisce (quasi, minuscolo) sempre la stessa energia ma, se quella che proviene dal bariletto è inferiore, allora il bilanciere comincia a far cose strane (su questo argomento ci sono dottissime dissertazioni tecniche che qui vi risparmio) e la costanza di marcia va a farsi benedire. L’orologio diventa molto impreciso.

Tendenzialmente l’energia residua nel bariletto non dovrebbe mai scendere sotto un terzo di quella complessiva. Per questo molti orologi hanno l’indicatore di autonomia residua. La soluzione sarebbe semplice: caricare a mano l’orologio una o due volte la settimana, oppure munirsi di uno di quei supporti elettrici ruotanti sul quale montare il nostro orologio ogni sera e trovarlo sempre in condizioni energetiche ottimali la mattina. Quanti lo fanno? Pochissimi. Quanti lamentano l’imprecisione del proprio orologio? Tantissimi.

A questi tre problemi non è facile trovare rimedio, per i produttori. È vero, ci sono sistemi di ricarica bidirezionali, che però hanno bisogno di un dispositivo, l’invertitore, spesso delicato, bisognoso di lubrificazione e comunque non tale da raddoppiare l’energia prodotta dal rotore. In altri casi sono stati adottati bariletti multipli o quantomeno doppi, ma il risultato è “solo” quello di ridurre il problema, non eliminarlo davvero. I reparti ricerca e sviluppo lavorano alacremente per trovare una soluzione, che però non sembra ancora vicina. Anzi: a dirla tutta la soluzione definitiva alle asimmetrie energetiche, secondo la maggior parte dei tecnici, non è fisicamente possibile.