Attualità

Il tempo nelle canzoni II: il treno delle 7 e 40 e altri orari

La puntualità in viaggio

La misura del tempo nelle canzoni può essere spesso imprecisa. C’è un caso però che richiede puntualità. Si tratta degli orari dei treni. Già nel 1941, Chattanooga Choo Choo di Glenn Miller (la voce era di Tex Beneke) ci diceva che per andare da New York a Chattanooga, Tennessee, si doveva prendere il treno di un quarto alle quattro («a quarter to four») alla Pennsylvania Station. Viaggio un po’ lungo, l’arrivo era previsto nella mattinata del giorno dopo, ma la carrozza ristorante («diner») era eccellente e alle 8 della mattina, prima colazione al bar: «Then you know that Tennessee is not very far».

Sempre in America, ma nell’Arizona del 1880, si svolge un classico del western firmato da Delmer Daves, Quel treno per Yuma, del 1957; ma il titolo originale indicava appunto l’orario del treno, The 3.10 to Yuma. La canzone del film era affidata alle “tonsille d’acciaio” di Frankie Laine: «There is a lonely train called the 3.10 to Yuma. / The pounding of the wheels is more like a mournful sigh. / There’s a legend and there’s a rumor / when you take the 3.10 to Yuma: / you can see the ghosts of outlaws go ridin’ by in the sky, way up high».

C’è un treno alle 3 e 10 per Yuma che non prende mai nessuno; il rumore delle rotaie somiglia a un lamento luttuoso. La leggenda dice che quando prendi quel treno per Yuma, vedi i fantasmi dei fuorilegge che cavalcano lassù, nel cielo. (Roba seria, noi invece avevamo «binario triste e solitario (…) tristi parallele della vita», Claudio Villa).

Il tempo nelle canzoni. E nelle poesie

Dal Far West alla Swinging London: nell’album Help! (1965) i Beatles incidono Ticket to Ride, lei se ne va, ha preso un biglietto per il treno, ma per dove e a che ora non si sa. Del resto però, nemmeno Carducci ci ha mai detto gli orari dei treni di cui scrive. Per esempio (1872) Alla stazione in una mattina d’autunno: in una mattina di novembre l’amata Lidia (Carolina Cristofori Piva) parte in treno da Bologna per Milano dove l’attende il marito Domenico.

E a che ora Carducci aveva preso il treno che, traversando la Maremma toscana, lo porta Davanti San Guido (1878)? Niente anche qui. (Non farà meglio Montale nel mottetto Addii, fischi nel buio delle Occasioni: anche lì una stazione, lei che parte con un treno, sappiamo solo che è notte. E scopriremo, molto più tardi, che su quel treno Irma Brandeis, “Clizia”, se ne va per tornare in America. E i due amanti non si rivedranno più).

Gli orari nelle canzoni

Ma torniamo alle canzoni. Mogol (1969) scrive per Lucio Battisti le parole di 7 e 40: «Mi sono informato c’è un treno che parte alle sette e quaranta. / Non hai molto tempo, il traffico è lento nell’ora di punta». Chi canta è molto preciso sulle indicazione e i consigli: sa l’orario del treno e avverte la sua lei di muoversi per tempo per andare alla stazione perché a quell’ora c’è molto traffico.

Potrebbe essere un addio, e invece no, perché lui, subito dopo che lei è uscita di casa, decide di raggiungerla, prendendo l’aereo: «C’è un volo che parte alle otto e cinquanta». È tutto calcolato al minuto, compreso anche il taxi. Le farà una sorpresa: «Con l’aereo in un’ora son lì / e poi di corsa un taxi. / Sono certo è così, / quando arrivi col treno mi vedi». Qui comunque c’è da registrare la novità: l’aereo, che è più veloce del treno. (Calcolando l’ora di volo, deve essere la tratta Roma-Milano o viceversa).

Di aerei già c’era traccia in Calcutta, 1961, di Marino Marini: «Io parto per Calcutta / col volo delle tre». (Scritta nel 1959 con il titolo Tivoli Melodie dal tedesco Heino Gaze, era divenuta un successo mondiale nella versione americana di Laurence Welk col titolo, appunto, Calcutta). Nel 1968, Maurizio dei New Dada canterà: «Cinque minuti e un jet partirà», anche gli addii strazianti devono fare i conti con il progresso.

Il treno metafora della vita

La parola treno compare 59 volte nel canzoniere di Sanremo, ma solo due volte è associata a un orario. Nel 2017, dal rapper Clementino in Ragazzi fuori: «Aspetto il treno delle tre». E nel 1993 dall’esordiente Laura Pausini: «Marco se n’è andato e non ritorna più, / il treno delle 7:30 senza lui». Altrimenti abbiamo tutto un repertorio abbastanza comune di treni del Sud, di ultimi treni, di treni in ritardo, di treni che fischiano («Wa wa», Il ragazzo della via Gluck; ma La cremagliera delle Dolomiti fa: «Ciù ciù»).

Treni come metafora della vita che passa e va, treni dei pendolari con posti in piedi. E ci sono naturalmente gli addii disperati, presenti un po’ dappertutto, per esempio nel francese J’entends siffler le train di Battiato. Certo, forse il treno più caro a noi italiani è quello di Azzurro: «Ma il treno dei desideri dei miei pensieri all’incontrario va», che sembra scritto oggi. Con noi che vorremmo andare al mare ma, causa Covid-19, siamo costretti a mantenere le dovute distanze. 

Il tempo nelle canzoni: la durata

Altro elemento che comporta la misura del tempo è la durata. Per esempio, quanto si deve aspettare perché lui/lei arrivi? Ma soprattutto quanto deve durare l’amore fisico perché sia soddisfacente? Dalla metà degli anni Sessanta sono le ragazze a giudicare gli uomini e le loro prestazioni erotiche, spesso con risultati negativi. Ornella Vanoni, Non sai fare lamore, boccia senza appello quel ragazzone atletico che a letto è una frana. Lei che pure era disposta a credere nelleternità «dopo avere amato te», e a perdonargli pure il fatto che lui si fosse addormentato subito dopo.

Antonella Ruggiero dei Matia Bazar vorrebbe Unora damore. A Patty Pravo vanno bene venti minuti, in una pigra domenica mattina con la tv accesa: «Tu non ti muovere / che stai benissimo su di me / venti minuti d’amore / e sentire alla televisione di questa economia» (Il vento e le rose). Marcella Bella vorrebbe un «amore senza limiti» anche temporali, ma cè sempre unaltra di mezzo e lei è sola con la sue voglie.

Chi non conosce limiti spazio-temporali è la Carrà: «Comè bello far lamore da Trieste in giù (…) Tanti auguri a chi tanti amanti ha» (Tanti auguri). Anche i ruoli vanno cambiati, infatti Raffaella raccomanda alle ragazze: «A far lamore comincia tu». Invece Mina sceglie la dipendenza («Se tu non fossi qui sarei una cosa morta, una candela spenta, una donna inutile»), anche per il tempo dellamore che è lui a dettare perché «limportante è finire». Ma lui, Bugiardo e incosciente, non le dà il tempo neppure di parlare e ricomincia subito a fare lamore. Lei tace. E acconsente.