La storia della scienza e della tecnologia ci narra di antiche macchine straordinarie, incredibili, realizzate in tempi mitici da dèi, semidèi e mortali. Efesto, il mitico dio-fabbro del mondo greco, nella propria fucina aveva mantici che rispondevano a comandi vocali; e costruiva tripodi che si recavano da soli – potremmo dire automaticamente – laddove servivano e altrettanto da soli tornavano al proprio posto, una volta terminato il compito. Prodigi meccanici che per secoli fecero sorridere i sostenitori di un progresso lineare, che vedeva nell’Antichità una sorta di infanzia dell’umanità. Un’epoca arcaica di uomini maldestri, soprattutto dal punto di vista tecnico, e nei racconti di questi apparati solo favole.
Il planetario di Antikythera
Agli inizi del XX secolo, avvenne il ritrovamento della fantastica macchina di Antikythera. Di recente, lo straordinario progetto di ricostruzione delle sue funzioni, insieme all’ispezione resa possibile dalle immagini Tac, ne testimoniano la finezza della realizzazione meccanica. Alla luce di ciò, i sostenitori delle “magnifiche sorti e progressive” hanno dovuto riconsiderare notevolmente le opinioni sulle capacità progettuali e tecnologiche del mondo antico; e sull’idea di una scienza e di una tecnologia che non possano che evolvere potenziandosi e migliorando, nel tempo.
Di un planetario costruito da Archimede, quindi di un modello meccanico del moto dei pianeti allora noti del Sistema Solare, ci parlano gli scritti antichi (ne porta testimonianza lo stesso grande Cicerone); purtroppo scomparso, sulla sua forma e sul suo funzionamento non possiamo che formulare ipotesi. Non era la sola macchina complessa, probabilmente mossa da un movimento ad orologeria, di cui resta traccia in letteratura. Ma mentre del planetario di Antikythera abbiamo una reliquia tangibile, delle meravigliose, antiche macchine e degli orologi ad acqua di Ctesibio descritti da Vitruvio, che integravano anche funzioni astronomiche, non ci resta, nei migliori dei casi, che qualche minuscolo frammento dei quadranti. La Torre dei Venti di Atene ne testimonia la magnifica struttura architettonica esterna. Ma gli ingranaggi, i ruotismi sono perduti per sempre.
Le antiche macchine per la misura del tempo: da Praga…
Ma allora, tornando al tema a noi caro degli orologi, quali sono gli esemplari più antichi – di tipo meccanico, azionati a pesi – sopravvissuti? Cosa è giunto sino a noi?
Parliamo di quelli pubblici. Premetto che assai sovente si confonde l’epoca di installazione di un primo orologio con l’effettiva epoca di quello attualmente visibile. Ad esempio, l’orologio di San Marco, a Venezia, fu effettivamente progettato dai Rainieri alla fine del XV secolo; ma l’attuale movimento, insieme con i quadranti, sono opera del Ferracina e risalgono alla seconda metà del XVIII secolo.
Oppure il celebre orologio astronomico di Praga, datato anch’esso nelle guide turistiche come risalente ai primi anni del ‘400. Della parte astronomica sopravvivono poche ruote originali e una parte minima del telaio, poiché nei secoli ha subito rifacimenti, ampliamenti, interventi e sostituzioni molteplici. Posso con piacere dire di aver toccato con mano durante le fasi di restauro quelle parti antiche, in quanto ospite – insieme al grande esperto di orologi da torre Chris McKay – nel laboratorio segreto lontano da Praga, dove è stato smontato e sottoposto a sapiente manutenzione.
…a Salisbury, Wells e Chioggia
Il noto Guinness dei Primati ha sempre riportato come più antico orologio meccanico sopravvissuto quello della Cattedrale di Salisbury, in Inghilterra, per il quale è stata ricavata indirettamente una datazione del gennaio 1386. Una pergamena contenuta nel locale archivio, infatti, riporta in tale data un contratto tra la cattedrale e tale Reginald Glover per l’affitto di alcuni locali, indicando tra le mansioni di Reginald anche quelle di manutentore dell’orologio.
Riscoperto negli anni ’20 del ‘900, poi restaurato, l’orologio della cattedrale è visibile, e funzionante per scopi dimostrativi, all’interno della splendida struttura. Data la grande somiglianza con un altro antico orologio inglese, questa volta astronomico, quello della Cattedrale di Wells, e la presenza del medesimo vescovo in quegli anni prima a Salisbury e subito dopo a Wells, si pensò di datare ad epoca di poco successiva l’esemplare di Wells, sempre comunque al XIV secolo.
Nel primo decennio del XXI secolo il ritrovamento a Chioggia, sulla Torre della Chiesa di Sant’Andrea, di un imponente manufatto dall’aspetto vetusto diede luogo a un’intensa attività di studio e ricerca. Che condusse al ritrovamento non solo di un documento riferito senza alcun dubbio all’orologio, per puro caso anch’esso del 1386; ma anche di ulteriore documentazione che ha permesso di identificare con certezza che l’orologio di Chioggia, anch’esso ancora funzionante per scopi dimostrativi, sia proprio lo stesso di cui ci narra il documento più antico.
Lo spazio è tiranno, si sa: nel prossimo pezzo scopriremo insieme i retroscena, ancora tutt’altro che chiariti, di queste due scoperte. E di come lo studio di questi antichissimi esemplari proceda, come è bello che sia, all’insegna della collaborazione tra i rispettivi esperti. (Continua)