Proseguiamo il nostro viaggio fra le antiche macchine del tempo, veri e propri fossili viventi. Questa volta i riflettori sono puntati sull’orologio della Cattedrale di Salisbury e dei suoi “cugini” di Wells e di Rye. Sempre in Terra d’Albione
Ben poco dell’antica produzione orologistica, come sappiamo, è sopravvissuta sino a noi. In alcuni casi, solo lacerti e porzioni minime di quelli che furono grandi orologi; in altri, per fortuna, pezzi completi o sufficientemente tali da poter avere un’idea chiara e precisa di come fossero in origine.
L’orologio della Cattedrale di Salisbury…
Risale agli anni ’20 dello scorso secolo il ritrovamento, da parte dello storico dell’orologeria britannica Howgrave-Graham, dei resti di un grande movimento in ferro battuto, con struttura a gabbia, in un locale della meravigliosa Cattedrale di Salisbury. L’aspetto arcaico, la grande semplicità della progettazione si coniugavano con un’elevata qualità costruttiva, segno inequivocabile del fatto che l’opera fosse figlia di una tradizione consolidata. E non certo un prototipo, né un primo, abbozzato tentativo.
Immediatamente lo storico si accinse a cercare tracce di tipo documentale, dato che l’orologio era ancora in situ. Oltretutto era stato ritrovato in un contesto dotato di un ricco archivio, con documenti risalenti a tempi molto antichi.
L’orologio, di grandi dimensioni, presenta due treni: quello del tempo e quello della suoneria, ottenuta attraverso una classica ruota partitora. E possiede due tamburi di carica posti uno di seguito all’altro, come è caratteristica delle costruzioni antiche. Solo alla fine del XVII secolo, infatti, in Inghilterra si iniziarono a costruire movimenti da torre più compatti, in cui i tamburi di carica erano affiancati tra loro.
L’orologio della Cattedrale di Salisbury mostrava ben evidenti i segni della trasformazione da un’originale struttura a foliot. Nel quale l’organo regolatore era una barra con piccoli pesi posti agli estremi, posizionabili a maggior o minore distanza dall’asse di rotazione, così da poter aggiustare la frequenza del battito, lavorando sul momento d’inerzia. Come nella quasi totalità degli esemplari nati con questo dispositivo o con il bilanciere circolare, nei secoli il movimento era stato “modernizzato” con la trasformazione classica. Ovvero con l’applicazione del pendolo e la modifica del sistema di scappamento.
La ricerca
Howgrave-Graham iniziò una ricerca nei locali archivi che, però, non diede frutti particolarmente numerosi. Comunque reperì, come si diceva nella scorsa puntata, una pergamena datata Gennaio 1386. Nella quale il Decano e l’organo di governo della cattedrale assegnavano a tale Reginald Glover e a sua moglie Alice dei locali in affitto nel comprensorio della cattedrale stessa, a scopo di abitazione, bottega e magazzino.
In un punto del documento si accenna all’obbligo, da parte di Reginald, di prendersi carico della manutenzione e del buon funzionamento dell’orologio della Cattedrale. Sembrò quindi che tale documento sancisse oltre ogni dubbio che l’orologio della Cattedrale di Salisbury fosse proprio quello ritrovato. E la sua costruzione, quindi, fu collocata temporalmente negli anni precedenti il 1386.
In base a ciò, nelle presentazioni accademiche che seguirono la scoperta, l’orologio fu presentato come il più antico al mondo sopravvissuto.
…e quello della cattedrale di Wells
Lo studio della storia di quel periodo mostrò come in quegli anni fosse vescovo di Salisbury tale Erghum, di lì a poco trasferito non lontano, a capo della diocesi di Wells.
E proprio a Wells erano presenti i resti di un altro orologio, molto molto antico, addirittura dotato di un quadrante astronomico. L’analisi comparata dei due movimenti mostrava inequivocabili e fortissime somiglianze, per cui fin da subito gli studiosi ipotizzarono che entrambi provenissero dalla stessa bottega. Per l’orologio di Wells pensarono a una data di poco posteriore, considerando la sua installazione derivante da un’azione specifica del Vescovo Erghum.
Intanto, secondo quello che era l’uso del tempo, si cominciò a valutare per il movimento di Salisbury un restauro di tipo “filologico”. Il quale avrebbe previsto l’eliminazione delle strutture posteriori, cioè del pendolo e del treno dello scappamento, e la “ricostruzione” del foliot. L’obiettivo era mostrare quello che si riteneva potesse essere l’aspetto originale dell’antico orologio.
Una questione di metodo
È d’obbligo a questo punto una battuta d’arresto per una puntualizzazione di carattere metodologico. Ogni volta che si studia un reperto e si cercano preziose documentazioni a supporto della sua storia, si dovrebbe evitare di cadere nella trappola della cosiddetta impropria attribuzione. Spesso, in totale buona fede e sull’onda dell’entusiasmo, si tende ad associare ogni riferimento reperito nelle carte allo specifico oggetto fisico di cui ci si sta occupando. Ma non si tratta di un processo scontato.
Nello specifico, un’analisi del documento del 1386 – da un punto di vista strettamente oggettivo – ci dice senza dubbio che nella Cattedrale fosse presente in quell’anno un orologio di tipo meccanico, di cui il buon Reginald avrebbe dovuto occuparsi. Ma, a rigor di logica, il contenuto del documento non permette di trarre la conclusione che l’orologio fosse realmente quello presente in chiesa nel XIV secolo – come invece fu fatto.
La tecnica costruttiva degli orologi da torre rimase per secoli praticamente identica. Per cui, in assenza di firma, data, o documentazione riconducibile a verifiche oggettive, è quasi impossibile definire con certezza l’epoca di costruzione di un orologio non datato o firmato, che potrebbe essere stato realizzato in qualsiasi momento tra il XIV ed il XVII secolo.
La questione irrisolta
Oggi come oggi, fra l’altro, i moderni protocolli di restauro, volti alla storicizzazione degli interventi successivi su di un pezzo, non avrebbero permesso la modifica dell’orologio. Si sarebbe invece proceduto a pulire e restaurare con minimo intervento l’esistente. E magari si sarebbe creata una ricostruzione virtuale di una “possibile” struttura a foliot, della quale, peraltro, non abbiamo né disegni d’epoca, né descrizioni tecniche relative.
Iniziò così una lunga e ancora irrisolta questione: quanto antico è, veramente, l’orologio di Salisbury? Il ferro con cui è costruito è di straordinaria qualità, con un altissimo grado di finitura. Il che, se da una parte può essere testimonianza del pregio dell’opera, d’altro canto insospettisce, dato che ci si attenderebbe un simile tipo di esecuzione in epoca a noi più vicina.
Gli esperti e gli appassionati si divisero quindi in due fazioni. Da un lato i sostenitori – tra cui tutto l’ambiente culturale legato alla Cattedrale – della sua indubitabile antichità; dall’altro, coloro che supponevano che sia Salisbury sia Wells (così affine al primo) fossero in realtà opere del XVI secolo, di epoca Tudor.
Il processo all’orologio della Cattedrale di Salisbury
In seguito, il reperimento di un altro orologio a Rye contribuì all’accendersi della discussione. Questo esemplare mostrava caratteristiche estremamente simili agli altri due e fu studiato in modo approfondito a livello archivistico.
Fu coinvolto Chris McKay, grandissimo esperto inglese di orologi da torre. Che istruì un “processo” all’orologio di Salisbury, cui furono invitati esperti da ogni dove. Al vaglio dei giurati si portarono evidenze pro e contro la datazione trecentesca; ma in quella occasione, pur con qualche perplessità, la commissione stabilì che l’orologio fosse quello curato da Reginald.
Nell’ultimo decennio il caso è stato riaperto. Si è costituto un comitato, composto da Chris McKay, Keith Scobie-Youngs, manutentore degli orologi monumentali della Corona britannica, e dalla sottoscritta, per la ripresa da zero degli studi. Con l’obiettivo di fare chiarezza, senza animosità o partigianerie, sulla reale antichità di questi orologi.
La ricerca negli archivi di riferimento è ripresa, con la rilettura anche di ciò che era stato studiato un secolo fa, per poter verificare che non ci siano state erronee od ottimistiche letture e trascrizioni.
Non esiste, purtroppo, per i metalli un criterio di datazione oggettivo come quello del Carbonio 14, usato per i materiali organici.
La caccia prosegue, anche perché – lo vedremo presto – nel corso dei decenni un nuovo contendente si è affacciato sulla scena. Anch’esso pretende il titolo ambito di più antico orologio meccanico sopravvissuto al mondo. E, questa volta, sposteremo l’osservazione proprio in Italia.