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Dietro le quinte: lo zotico splendente e il moralista estetico

Il Covid negli ultimi anni ha causato molti cambiamenti, più di quanti non si creda. Durante i ripetuti lockdown, tutti gli aspetti della nostra vita legati all’immagine hanno per lungo tempo perso d’importanza, sia per quanto riguarda l’abbigliamento e gli accessori, sia per quanto riguarda l’orologeria. Lo zotico splendente, in orologeria appunto, è quello che il moralista estetico definisce un “impuro maniaco dell’apparire”. Il concetto avrebbe anche un senso se il moralista sapesse sempre quel che dice. Perché, chiariamolo subito, lo zotico splendente passa metà del suo tempo nei negozi di orologi a provare i pezzi più esclusivi e a pavoneggiarsi davanti allo specchio, per scegliere quello più vicino ai suoi obiettivi. Che di solito sono: stupire se stesso e stupire quanti altri ha intorno. Perché lo zotico splendente ha un potere d’acquisto enorme, e per lui è imprescindibile avere solo (o quasi) modelli unici.

Al contrario il moralista estetico, troppo spesso, va poco in negozio, ma frequenta molto Internet e i siti specializzati; con il risultato di avere un’informazione non sempre corretta, specialmente riguardo all’aspetto esteriore che vorrebbe contestare. Le fotografie, per quanto di buona qualità, restano approssimative nella resa del colore; oppure sono interpretazioni legittime del fotografo, che non sempre corrispondono alla realtà come la vedono i nostri occhi dal vivo. È un limite tecnico difficilmente evitabile, insomma.

C’è da dire poi che lo zotico splendente non fa danni a nessuno, anzi: costituisce una parte consistente del mercato. Mentre l’atteggiamento del moralista estetico più intransigente sfiora spesso una violenza verbale che talvolta sa più di invidia che di motivazione ragionata. Pensateci bene: è la ragione per cui noi su questo sito spesso ci rifiutiamo di commentare quegli aspetti estetici degli orologi che non siano direttamente riconducibili a considerazioni tecniche.

Lo zotico splendente, la pandemia e il commercio degli orologi

Negli ultimi mesi ho avuto un bel po’ di problemi di salute, da cui pian pianino sto uscendo. Ma la cosa mi ha costretto a vedere l’orologeria da un punto di vista diverso, anche se altrettanto coinvolgente. Così ho notato proprio l’evidente calo di interesse, da parte dello zotico splendente, per tutto quello che fa immagine, orologeria compresa.

Un bene, dicono i moralisti. Un male, dicono tutti quelli che hanno perso fatturati molto consistenti. Il risultato sembra essere stato un forte passo avanti di tutta l’orologeria più tecnica, con particolare riferimento alle aziende indipendenti, dalla produzione molto contenuta e, in genere, dall’estetica molto severa.

Penso ad esempio al grande successo del Parmigiani Fleurier PF che, per sottrazione, ha raggiunto una tensione estetica ai limiti dell’esoterico, tra l’altro perfettamente compresa da molti appassionati puri e duri. Anche se con conseguenze problematiche, perché fin da ora le richieste superano ampiamente l’offerta possibile. Ma penso anche a esemplari come il Cronografo 1/10 di secondo proposto da Patek Philippe Advanced Research, la cui estetica apparentemente semplice nasconde livelli tecnici incredibili.

L’eccezione Richard Mille

Un altro esempio è l’ascesa impetuosa di Richard Mille, marchio che i grandi moralisti dell’immagine hanno sempre considerato borderline. Infatti alcune stravaganze estetiche, apparentemente nate solo dal desiderio di distinguersi, di recente sono state comprese nella loro reale essenza: quella di adattare con lo spirito dell’automobilismo sportivo le esigenze dell’orologeria più tecnica a integrare in sé le caratteristiche della cassa. Mi spiego: la forma tonneau, prevalente in Richard Mille, è chiaramente la migliore per offrire ad esempio massima visibilità ad alcuni dettagli tecnici importanti come il datario o altri indicatori; oppure, altro esempio, per gestire le linee di forza necessarie per sospendere il movimento ad un solido telaio tramite minuscoli cavi in forte tensione.

E questo ha fatto sì che dopo una pausa di riflessione finalmente anche i puristi dell’estetica hanno compreso che negli orologi Richard Mille i capricci sono pochi, rari e sempre giustificati. Il risultato? Un impressionante balzo in avanti del Marchio, che oggi figura tra i sette principali attori del mercato mondiale. In questo caso non dovrebbe essere un problema la necessità di aumentare la produzione: perché Richard Mille sta facendo un salto generazionale in cui il potenziamento della produzione è esattamente uno degli effetti voluti e richiesti dalle nuove politiche commerciali.

Ai collezionisti va quindi consigliato di tener bene sott’occhio che cosa accadrà nei prossimi tempi con questo Marchio dalle sinergie importanti. Basti ricordare la vicinanza con Audemars Piguet o con Vaucher Manufacture Fleurier. Tutta la produzione del passato avrà probabilmente un rilancio molto forte. Ma anche per il futuro le evoluzioni saranno straordinarie, tanto per l’appassionato più tecnico quanto per lo zotico splendente. Che potrà riempire di pietre preziose a volontà questi orologi così caratteristici; e creare esemplari unici che potrebbero avere i loro estimatori anche nel mercato delle aste, quando il mondo tornerà ad un assetto minimamente stabile.

Le multinazionali

Sembra piuttosto evidente d’altro canto la forte delusione che le multinazionali provano nei confronti di molte marche di orologeria, perfino di quelle acquistate in passato con grande entusiasmo. Il problema deriva essenzialmente dalla differenza abissale tra quanto una multinazionale si aspetta da un investimento e quanto può realmente ottenere. La differenza di questo moltiplicatore è veramente difficile da digerire se il tuo principale compito è trovare investitori disposti a mettere quattrini nella tua azienda. La produzione di orologi di alto livello è pressoché impossibile da aumentare, oltre quanto è già stato fatto. Né tantomeno puoi giocare a lungo con i prezzi, che in realtà vengono stabiliti dai grandi marchi storici qualitativamente impeccabili.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito a fenomeni difficili da capire. Pinault ha letteralmente ceduto Ulysse Nardin e Girard-Perregaux a Patrick Pruniaux, un dirigente che sembra perfettamente in grado gestire con indipendenza queste due Marche storiche. Recentemente la stessa Richemont ha permesso ad Antonio Calce di ricomprare quel 20 per cento di Greubel Forsey che aveva in portafoglio. E probabilmente altro deve ancora seguire.

Anche LVMH sembra aver concentrato i propri sforzi e le proprie energie su un marchio come Tag Heuer, in grado di crescere in maniera diversa, più performante; e forse perfino trasformarsi in un concorrente di altri marchi potenti come Breitling o addirittura Omega. Il che potrebbe in seguito favorire un rilancio mondiale di Zenith su basi nuove rispetto al passato. Sempre parlando di LVMH, sembra invece più tranquilla la strada delineata per Hublot – produrre piccole serie limitate di orologi -, che continua imperterrita ad avere un buon successo mondiale e richieste quasi in linea con la produzione.

Tutto questo, attenti però, richiede un rilancio forte della figura dello zotico splendente e di quanto gli esseri della sua specie richiedono ai marchi. Richieste sul genere: ma perché invece di farmi la cassa in vetro zaffiro non me la fai in zaffiri veri e diamanti? Al di là di moralismi falsi o sinceri, c’è in ballo la sopravvivenza di marchi importanti. Alcuni dei quali in futuro dovranno tornare a quell’indipendenza che è l’unica caratteristica in grado di garantire l’armonia con il sempre più rarefatto mondo dell’orologeria svizzera.