Smettiamola con le visioni romantiche: i movimenti fatti a mano sono un falso mito. Un’idea anacronistica, in questo scorcio di XXI secolo, del tutto priva di fondamento nella realtà. O (come direbbe Fantozzi) una boiata pazzesca…
Cerchiamo di ragionare, finalmente.
Qualche anno fa ho scritto un piccolo libro, Orologi. Breve storia del Tempo (Tam Editore). In cui ricordo che John Harrison (1693-1776), un carpentiere autodidatta dello Yorkshire, nel 1735 presentò al concorso del Longitude Prize il primo cronometro da marina adatto al calcolo della longitudine in mare. In pratica, un orologio di eccezionale precisione, un vero e proprio strumento scientifico. Harrison però non ricevette il premio messo in palio. Non lo ricevette un po’ per l’invidia dei soloni scientifici dell’epoca, non certo entusiasti di vedersi battuti da “un falegname”, ma anche per un’altra ragione fondamentale, che ci riguarda ancor oggi.
Nel momento in cui un orologio si trasformava in strumento scientifico doveva anche sottostare alle leggi della scienza, ben conosciute. E fra queste leggi figura la riproducibilità del fenomeno. Il concetto, in definitiva, era: va bene Harrison, ma la flotta britannica con un solo cronometro da Marina non ci faceva un bel niente. Era in grado, Harrison, di insegnare a qualunque orologiaio come realizzare in serie i cronometri da marina?
Stesso discorso per i movimenti fatti a mano
Bene: altrettanto vale per i movimenti degli orologi, oggi.
In ogni epoca l’uomo ha usato i migliori materiali e le migliori tecnologie per produrre orologi che fossero al contempo strumenti scientifici di grande precisione e strumenti diffusi per poter sostenere il progresso dell’uomo. E noi oggi ci mettiamo a discutere sul fatto che la mano dell’uomo è mille volte meglio? Sono sciocchezze madornali.
Macchine d’ogni tipo (ad esempio quelle per calcolare le dimensioni delle ruote dentate) sono impiegate da sempre proprio per migliorare affidabilità, produzione e far calare i prezzi. E ora qualcuno mi viene a sognare movimenti fatti a mano pezzetto per pezzetto? Qualcun altro che ci prova c’è pure: un movimento o due all’anno, costi folli e, ove qualcosa non andasse, riparazioni da brivido. Davvero è così che qualcuno vuol sprecare i propri soldi?
Industriale non vuol dire mal fatto
Realizzare un movimento con l’aiuto di macchine specifiche è da sempre il sogno dei produttori. Rolex, ad esempio, questo sogno lo ha realizzato. Il suo movimento cambia poco nell’impianto progettuale, ma moltissimo nel continuo incremento della qualità. Omega ha dovuto attendere di aver raggiunto una struttura dei propri movimenti Co-Axial prima di creare una propria fabbrica che, con sistemi altamente industrializzati, consentisse di offrire una qualità alta e costante a prezzi eccezionalmente concorrenziali. Come del resto sa bene chiunque abbia al polso uno di questi Omega.
Certo: quando i sistemi industriali vengono applicati a movimenti molto economici, allora la qualità di solito ne risente. Ma talvolta anche la produzione di massa giapponese ti fa restare a bocca aperta. Quando siamo andati a verificare la resistenza ai campi magnetici, la perfetta regolazione di un Miyota ha lasciato di stucco i tecnici che verificavano gli scarti di precisione con il cronocomparatore.
Quel che intendo dire, insomma, è che la dobbiamo smettere un po’ tutti di categorizzare in modo banale metodi di lavoro e strumenti che sono, in realtà, una vera e propria benedizione, una conquista. L’uomo ha impiegato secoli per realizzare macchine sempre più sofisticate, man mano che lo sviluppo tecnologico glielo permetteva.
Ma davvero pensiamo che oggi qualcuno sia in grado di realizzare manualmente i componenti dell’organo regolatore con tolleranze intorno al micron? Realizzarli a mano? Eppure, questo tipo di precisione ai nostri giorni è necessaria perché fa parte delle specifiche moderne della micromeccanica. Cerchiamo di tornare tutti con i piedi in terra.
Sì, mi dirai tu, ma allora dove sta la differenza? La risposta è: nella libertà.
Libertà di progettazione
Dicevo che nella produzione industriale di massa (intorno al milione di movimenti/anno, tanto per intenderci) il movimento deve avere un’architettura tecnica specifica. Che difficilmente il marchio produttore cambierà rapidamente. Si procederà certo per successivi affinamenti, ma senza vere e proprie rivoluzioni.
Al contrario, queste benedette macchine che sembrano far schifo a parecchia gente consentono a chi produce orologi in quantità limitate di variare costantemente proprio quell’architettura che spesso distingue come un marchio di fabbrica la fantasia di certi geniali progettisti.
Le macchine, insomma, consentono di operare con fantasia creativa perché le economie di scala non sono più scaricate su un solo calibro, ma su tanti calibri diversi, per conto dei quali le stesse macchine lavorano “a tempo determinato”. E il tutto, si badi bene, senza nulla cedere in termini di costanza qualitativa, proprio perché queste macchine hanno la capacità di produrre quanti pezzi vuoi con pari qualità. Ma non basta.
Non solo libertà, ma anche indipendenza
Se un piccolo produttore di orologi, di quelli che “sforna” fra i 200 e i 2mila orologi l’anno, dovesse mettere in conto di offrire almeno due o tre calibri diversi, sarebbe una vera tragedia. Costi alle stelle e quindi necessità di indebitarsi. Un minimo errore, poi, lo getterebbe sul lastrico. Ma se la macchina che fa le platine di precisione lavora una settimana per lui e una settimana per un altro, allora la spesa torna a cifre elevate, sì, ma sostenibili.
L’uso delle macchine, insomma, consente anche ai microbrand di realizzare orologi straordinari conservando la propria indipendenza. E dal momento che sarà proprio questo il tema dei prossimi anni, in orologeria, vedrete che sarà un notevole vantaggio per tutti. A partire da alcuni compratori intransigenti che dovrebbero, però, essere un po’ più fiduciosi nei confronti della capacità intellettuali degli orologiai…