Storia e storie

Gli orologi a 6 ore: quando alle sette suonava l’una

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Vi fu un periodo, tra il XVII e il XVIII secolo, in cui in gran parte delle zone poste nei territori dello Stato della Chiesa, ma non solo, gli orologi non mostrarono più le ventiquattro ore dell’Hora Italica, di cui abbiamo già raccontato in un precedente intervento. Anziché essere suddivisi in dodici ore, come tutti potremmo immaginare, mostravano una divisione in sei.
Le ore del giorno erano sempre ovviamente ventiquattro. Ma negli orologi a 6 ore, anziché essere conteggiate in 1 x 24 o in 2 x 12, venivano mostrate e suonate in quattro sequenze da 1 a 6.

Si tratta di una curiosa usanza quasi totalmente italiana, se si eccettuano pochi, rarissimi orologi da tasca di origine inglese o francese, degli inizi del XVIII secolo, fonte di stupore per gli appassionati stranieri. Che svetti sull’alto di una torre o appaia su un bell’orologio domestico, il quadrante suddiviso in 6 ha qualcosa di anomalo, di insolito. Non passa certamente inosservato.

Origini sconosciute

Quale sia la reale origine di questa rappresentazione del trascorrere del tempo, è del tutto ignoto. La prima citazione di questo sistema non è italiana, ma portoghese e meriterebbe un approfondimento. Di fatto, però, a partire dal XVII secolo, laddove la Chiesa aveva giurisdizione, spesso le ore erano conteggiate in quattro cicli da 6. Ma si trattava di un banale cambio di convenzione o c’erano validi motivi per adottare questo tipo di quadrante, ovviamente insieme alla relativa suoneria?

È chiaro che da un punto di vista puramente logico la suddivisione delle 24 ore in un certo numero di sottomultipli non comporta alcun reale impatto. Il nostro orologio da polso vintage, ad esempio, segnerà due volte al giorno le 3.25 e starà a noi interpretare l’ora come notturna o pomeridiana. Se il giorno è suddiviso in quattro gruppi di sei ore, le 3.25 potrebbero essere nel cuore della notte, oppure alle 9.25 del mattino, alle 15.25 o alle 21.25. All’osservatore è lasciata l’interpretazione di quale fascia oraria debba associare all’indicazione delle lancette.

Motivi pratici…

Le ragioni che potevano giustificare gli orologi a 6 ore in realtà sono molteplici. Derivano non da questioni teoriche, ma da aspetti puramente pratici, che possiamo – se siete curiosi – esplorare insieme.
In primo luogo, ricordiamo che nel XVII secolo la stragrande maggioranza degli orologi non possedeva la lancetta dei minuti, ma solo quella delle ore. In un mondo senza orari ferroviari né scadenze precisissime, qualche minuto avanti o indietro non avrebbe cambiato nulla, per cui ci si accontentava della sola indicazione dell’ora. E si ricavava un’informazione di massima circa i minuti osservando la posizione della punta della lancetta tra un’ora e quella successiva.

Ecco qui entrare in gioco una prima caratteristica degli orologi in questione. A parità di diametro del quadrante, tra un’ora e l’altra in un quadrante che riporti le ore da 1 a 24 avremo un arco di 15 gradi. In un quadrante in 12, un arco di 30 gradi, ma in un quadrante in 6, un arco di 60 gradi. Sarà quindi molto più semplice e preciso, pur sempre se a colpo d’occhio, capire quanti minuti fossero trascorsi dall’ora finita, stimandoli su un arco ampio che non su un intervallo più ridotto.

Inoltre, molte persone faticavano a contare un gran numero di rintocchi. Una sequenza da 1 a 6 permetteva di essere seguita con facilità e minor probabilità di errore.

…e tecnici degli orologi a 6 ore

Ultima nell’elenco, ma non per importanza, la suoneria. In un orologio che dia un rintocco per ogni ora, se le ore sono computate in 24 nell’arco di una giornata avremo 1 + 2 + 3 + … + 24 = 300 rintocchi. Se le ore sono contate da 1 a 6, avremo 4 x (1 + 2 + … + 6) = 84 colpi. La cosa sembrerebbe marginale, ma ai tempi non lo era. Gli orologi meccanici si usuravano e le campane anche. L’azione del martello a ogni rintocco, a lungo andare, causava guasti e una minore sollecitazione aumentava la vita utile del dispositivo.

Poi, consideriamo anche che a ogni rintocco corrisponde il rilascio di una parte dell’energia proveniente dai pesi o dalla molla. Nel caso di un orologio da torre o comunque a pesi, in generale sarebbe bastata a ogni colpo solo una frazione della corsa dei pesi. Si otteneva quindi una durata più lunga dell’azione di carica. O, in alternativa, la possibilità di installare il movimento in una torre con una minore escursione della corsa dei pesi stessi.

L’opportunismo della convivenza

Testimoni dei tempi e dei giochi del potere, gli orologi a 6 ore sopravvissero in alcuni territori in forma ibrida con il sistema a 12 ore, in soluzioni molto italiane. La suoneria, ad esempio, era fornita a ogni ora due volte: la prima, con la sequenza in 12; la seconda a distanza di circa un minuto, con la sequenza in 6… In modo da compiacere sia il Papa che l’Imperatore.

L’occupazione napoleonica sancì quasi ovunque il predominio delle ore in 12, dette appunto ore alla francese. Ma questo non cancellò tanti orologi a 6 ore. Ancor oggi, quei quadranti – magari privi del loro movimento – ci ricordano di un tempo diverso e testimoniano un tentativo di risolvere ingegnosamente problemi concreti tutt’altro che secondari.