James Bond sincronizza gli orologi a mezzanotte e venti. Alle sei e trenta del mattino Meryl Streep spegne la sveglia e inizia la giornata. Un orologio da tasca segna le 11.53 alla partenza del Titanic. E così via, per ventiquattro ore. Dura un’intera giornata The Clock, immensa opera cinematografica realizzata nel 2010 da Christian Marclay, Leone d’Oro a Venezia, di nuovo visibile al MoMA di New York, fino al 17 febbraio 2025. Grazie al sostegno di Richard Mille, chi si trova in questo periodo tra i grattacieli della Grande Mela, ha la possibilità di prendere parte a un vero e proprio esperimento: la visione di un montaggio di migliaia di clip cinematografiche e televisive che ripercorrono un secolo di storia del cinema. E, contemporaneamente, testimoniano la relazione che l’umanità ha avuto negli ultimi cent’anni con la misurazione del tempo.
Sono proprio gli orologi i protagonisti del lungometraggio (mai come questa volta, termine azzeccato), di qualsiasi forgia, o foggia: dagli esemplari da polso al Big Bang, dalle sveglie digitali alle pendole da muro. Scena dopo scena, la nostra percezione ci fa sembrare che le lancette si muovano troppo lentamente (magari mentre i bambini aspettano irrequieti la fine della lezione, o l’arrivo di Babbo Natale) o prendano la rincorsa (giusto per far perdere il treno a chi è intrappolato nel traffico). Così The Clock sottolinea l’incompatibilità tra i desideri e le aspirazioni umane e l’inesorabile scorrere del tempo. Non c’è modo di fermarlo, questo l’abbiamo capito a nostre spese.
Un’opera monumentale
Se invece voi avete tempo di fermarvi a New York, sappiate che sabato 21 il MoMA resta aperto tutta la notte, lasciando scorrere The Clock per l’intera durata. Ventiquattro ore. Neanche poi troppe se si pensa che Christian Marclay e i suoi assistenti hanno impiegato tre anni nella ricerca dei frammenti che compongono l’opera. Lo spiega bene il Museo newyorkese, che a proposito dell’autore scrive: “Forte del suo background come musicista nelle scene underground di Boston e New York della fine degli anni ’70 e ’80, Marclay ha combinato per cinque decenni frammenti visivi e sonori per esplorare le complesse relazioni tra immagini e suoni, dando prova massima del suo approccio innovativo”.
Così, sincronizzando ogni singola clip con l’ora locale – ma verrebbe da dire con il “qui e ora” -, il regista propone sullo schermo un unicum: The Clock è al tempo stesso un tour de force nella storia del cinema e un orologio vero e proprio. La sua visione permetta di seguire il trascorrere del tempo reale su una serie vertiginosa di orologi e, al tempo stesso, di osservare un caleidoscopico compendio degli innumerevoli modi in cui la nostra sottomissione al tempo è stata rappresentata al cinema e in televisione.
Le sue migliaia di clip sono componenti del meccanismo di un orologio ma contemporaneamente sono frammenti narrativi, intrecciati con immagini e suoni completamente estranei al funzionamento di un orologio. Il risultato è una sorta di specchio in cui sono riflesse le nostre esistenze, e una specie di Kunderkammer (stanza delle meraviglie) che, con l’ingranaggio perfetto, consente di evadere dal memento mori (“ricordati che devi morire”) implicito in ogni tic-tac.
The Clock, la visione integrale
A questo punto è necessaria solo qualche precisazione, a proposito della visione integrale di domani. The Clock è stato concepito per una visione collettiva, sul grande schermo. La durata estrema della proiezione prevede ovviamente un andirivieni di pubblico che è parte dell’esperienza di fruizione dell’opera. Ma i posti a sedere al MoMa sono limitati; la visione non è quindi garantita. Chi ha preso posto, non sarà cacciato; ma chi si allontana deve rifare la fila. Non sarà tempo perso…