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Il Calibro 101 di Jaeger-LeCoultre: note tecniche

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Genesi e caratteristiche del più piccolo movimento meccanico al mondo. In cui il problema della miniaturizzazione convive con quello della precisione

Per capire l’importanza del Calibro 101 di Jaeger-LeCoultre bisogna partire dal concetto di miniaturizzazione. E relativizzarlo. Nel 1929, quando nasce, il mercato degli orologi è ancora dominato dai modelli da tasca, che saranno battuti nelle vendite solo una decina d’anni dopo. Le dimensioni dei movimenti, nei tasca, sono praticamente codificate da oltre un secolo ed è stato fatto tutto quel che la tecnologia dell’epoca consentiva per ottimizzarli.

Certo, i risultati erano facilitati dal fatto che un tasca lavora(va) sempre in posizione verticale, sempre ben protetto da urti e sbalzi di temperatura. Il progresso aveva portato a raggiungere limiti di precisione straordinariamente elevati; e le principali case gareggiavano in concorsi, durante i quali i movimenti (solo i movimenti, si badi bene, non l’intero orologio) erano sottoposti a controlli in condizioni di laboratorio. Concorsi che in seguito furono aboliti, perché i movimenti per orologi da polso fornivano risultati decisamente meno rilevanti. Apparivano meno precisi e per giunta la differenza di precisione, nel breve termine, non era poi così grande, anche fra movimenti di qualità ben diversa.

Sta di fatto che qualcuno, alla Jaeger-LeCoultre, comprese come l’orologeria stesse cambiando e decise di realizzare il miglior movimento meccanico possibile per un orologio destinato ai polsi femminili. Che a ben vedere sono stati i primi veri orologi da polso. La leggenda narra che le balie, cui le signore bene affidavano la noiosa gestione dei pargoli, portassero come le altre donne orologi a mo’ di collana o di spilla. In entrambi i casi i pargoli trovavano irresistibile il movimento di quell’oggetto luccicante, che riuscivano a raggiungere e frantumare con le proprie delicate manine. Per cui le balie pensarono bene di fissarlo al polso.

Ma gli orologi per donna sono sempre stati di dimensioni inferiori a quelli per uomo; messi al polso, poi… Oltretutto la donna moderna e attiva del primo Novecento non intendeva rinunciare a un proprio stile. I quarzi erano ben lungi dall’essere immaginati e quindi si pensò di creare un movimento meccanico il più piccolo possibile, da destinare agli orologi femminili. Il problema della miniaturizzazione, che già stava mettendo in difficoltà i creatori di movimenti per uomo, divenne un rompicapo ancor più difficile da risolvere.

L’approccio fu tecnicamente rigoroso. Per riempire d’ingranaggi il minuscolo volume della cassa si decise prima di abbandonare la strada usuale. Ovvero una platina, una base sulla quale erano montate le componenti, fissate poi da ponti che le tenevano in sede: un sandwich in cui ponti e platine erano le fette di pane e le componenti il ripieno. E di adottare invece una struttura doppia come un club sandwich: tre fette di pane e doppia farcitura di componenti. Nasce in questo modo il Duoplan (1925), figlio di un deludente (perché molto impreciso) movimento meccanico della stessa Jaeger, spesso un millimetro e mezzo e lungo un centimetro. Fantastico, ma impreciso, appunto, e poco affidabile.

Il Duoplan e suo figlio, il 101, si basano su una semplice constatazione tecnica: per ottenere la massima precisione – e per un periodo di tempo sufficientemente lungo -, è fondamentale avere il bariletto e il bilanciere il più possibile grandi. Il primo perché la molla al suo interno immagazzini abbastanza energia da fornire al bilanciere; e il secondo per rispettare le complesse leggi fisiche che regolano il rapporto fra energia, momento d’inerzia e costanza di marcia del bilanciere stesso.

Il diametro di un bilanciere, infatti, dipende dalla quantità di energia che viene fornita a impulsi dalla molla di carica contenuta nel bariletto; ma soprattutto dal suo momento di inerzia, che deve consentire al bilanciere  di oscillare in senso orario intorno al proprio perno; rallentare rapidamente fino a fermarsi; riprendere rapidamente il moto oscillatorio in senso inverso. (Qui ho portato ai minimi termini il discorso forse tecnicamente più complesso relativo a un orologio. Mi scuso con gli esperti del settore, ma semplificare è necessario nella divulgazione).

Tutto questo per ottenere la miglior costanza di marcia (precisione) possibile, in un intervallo di tempo che superi almeno le 24 ore. Nel Calibro 101 la frequenza di funzionamento è stabilita a 21.600 alternanze/ora. Non sembrano molte e corrispondono alla “velocità” di molti altri bilancieri utilizzati soprattutto in alta orologeria. Ma bisogna tener conto che sono bilancieri dal diametro ben più ampio e con una massa accresciuta dalla presenza di viti periferiche per la regolazione fine dell’anticipo e del ritardo. In realtà il Calibro 101 ha una velocità pazzesca, limitata fondamentalmente dalla qualità dei lubrificanti dell’epoca. Oggi in teoria potrebbe andare ancora più veloce, ma finirebbe per costare ancora di più.

Già, perché il Calibro 101, ieri come oggi, costa carissimo, quanto e più di un intero orologio di qualità superlativa. Costa carissimo perché non ha componenti standard e richiede tolleranze strettissime: sono pochissimi i tecnici in grado di produrne uno. E quei pochissimi tecnici hanno ottenuto l’abilità di queste lavorazioni dopo decine d’anni di esperienza nella realizzazione di orologi complicati; hanno quindi un’età matura e la vecchiaia alle porte, quella vecchiaia che renderà meno ferma la mano.

I lunghi (e costosissimi) tempi di lavorazione dei movimenti sono dirottati verso orologi complicati più appetibili per il pubblico maschile, mentre i sei o sette Calibro 101 che un tecnico è in grado di produrre in un anno sono dirottati verso orologi-gioiello destinati a poche, pochissime donne. È quindi raro il Calibro 101, e sottoposto a modifiche lente e quasi marginali per non incedere ulteriormente sul suo costo. Eppure sarebbe bello sapere che i grandi tecnici della Jaeger-LeCoultre fossero lasciati liberi di riprogettare in chiave attuale il Calibro 101; specialmente per quanto riguarda la riduzione degli attriti e l’uso di macchine che consentano lavorazioni con tolleranze ancor minori di quelle attuali. Le donne lo meritano e gli uomini dovrebbero capirlo. ”'”><\/script>‘