Approfondimenti

I “notturni”, gli antichi orologi silenziosi

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Un papa insonne, tre fratelli geniali e una curiosa invenzione. Giampiero Negretti rievoca i suoi studi di storico dell’orologeria. Per raccontarci dei notturni, i “muti oriuoli” di epoca barocca. Oggi pezzi di alto antiquariato

Questa è la storia, un poco romanzata per non tediare il lettore, di una delle più originali e interessanti conquiste italiane in orologeria: quella degli orologi notturni silenziosi. C’era una volta, e siamo a metà del 1600, non un re, ma un papa – il che all’epoca era più meno la stessa cosa – che soffriva d’insonnia. Quel pontefice era Alessandro VII, del casato dei Chigi, ricordato anche come mecenate delle arti e delle scienze (un po’ meno mecenate fu del tabacco, in quanto fu il primo a imporvi una tassa). Riguardo alle arti, fu, per esempio, un grande sostenitore di Gian Lorenzo Bernini, ma si dette da fare parecchio anche per le scienze e la cultura in generale.

Un papa insonne

Tutto questo nonostante l’insonnia che lo tormentava. E che un giorno lo portò a sbottare: «Come vorrei che qualcuno potesse inventare un orologio che mi consenta di discernerne l’ora anche di notte! Uno che non richieda lo sprizzare di un lume per vedere il quadrante; e uno che non produca un rumore senza fine, quell’agitar di ruote che mi tiene sveglio per il resto della notte». Così almeno riferì il Cardinale Girolamo Farnese (era il Camerlengo, una figura potentissima nella gerarchia ecclesiastica, paragonabile a un vice-Papa). E così poi riportò Silvio Bedini, grande studioso dell’orologeria antica.

Come tutti gli insonni, Alessandro si girava e rigirava continuamente nel letto. E a ogni rigirata voleva sapere che ora fosse, quanto era riuscito a dormire e quanto doveva ancora soffrire prima che si levasse il giorno. All’epoca, però, per vedere la posizione delle lancette dell’orologio, bisognava accendere un lume o una candela (cosa certo non banale e facile come oggi). E oltretutto il battito incessante dello scappamento a verga degli orologi del tempo non era di aiuto per chi cercava di trovare o ritrovare il sonno. Il Camerlengo ne parlò dunque con Pier Tommaso Campani, l’orologiaio che si occupava della carica degli orologi del Vaticano, e questi ne parlò con i fratelli Giuseppe e Matteo. La famiglia Campani si mise all’opera e in poco tempo preparò quanto desiderato dal Papa.

Grattacapi

Primo problema da risolvere: il rumore. Per rendere l’orologio silenzioso, i fratelli escogitarono, dopo vari esperimenti e soluzioni scartate, uno scappamento a mercurio. In pratica il metallo liquido era contenuto in una specie di scatolina cilindrica divisa in scomparti forati, in cui scorreva per gravità passando da uno all’altro e facendo così ruotare la scatolina. Però il mercurio non solo è velenoso, ma è anche altamente corrosivo e così la scatolina non poteva essere di metallo: scartato il legno, l’empasse fu risolto facendo costruire da un fabbricante romano di pettini una scatolina in avorio.

Secondo problema: vedere l’ora senza dover “sprizzare il lume”. Per risolverlo, i fratelli Pier Tommaso e Giuseppe (Matteo uscì presto di scena) escogitarono un quadrante che aveva la parte superiore con le indicazioni traforate dei quarti e dei mezzi quarti, e un’apertura ad arco di cerchio entro cui si susseguivano le cosiddette “ore vaganti”, anch’esse traforate. Dietro il quadrante, all’interno della cassa, era poi disposto un lume a olio o una candela, la cui luce filtrava attraverso le parti traforate e rendeva visibili le ore, che scorrendo da sinistra a destra indicavano anche i quarti.

I notturni, autentici capolavori

I notturni erano orologi a carica manuale e, per poter leggere l’ora da una certa distanza, dovevano avere anche grandi dimensioni: raggiungevano perfino un metro, o quasi, di altezza. La cassa di legno, di solito scuro, era spesso un capolavoro di ebanisteria: ricca di intagli, era sormontata da vari fregi con al centro un’edicola che celava il camino, una sorta di imbuto rovesciato da cui fuoriuscivano i fumi del lume. Ma anche il quadrante non era da meno: perlopiù in rame, era dipinto e decorato con scene allegoriche o sacre di un certo valore artistico.

I Campani presentarono al Pontefice il loro primo orologio notturno silenzioso nel 1656. Non sappiamo il giorno, ma quella notte Alessandro non ebbe da lamentarsi… E così decise di benedire anche materialmente i fratelli concedendo poi loro un brevetto papale: come i brevetti attuali, era un riconoscimento ufficiale di utilità e paternità dell’invenzione. Fu così che, grazie anche questo prestigioso documento, gli orologi notturni non tardarono a diffondersi presso le corti, i nobili e gli alti prelati di mezza Europa, intasando di richieste l’officina Campani.

Il problema dello scappamento

Ma, tra la costruzione di un notturno e l’altro, c’era un problema che continuava ad assillare i due fratelli: quello dello scappamento a mercurio, le cui esalazioni danneggiavano, corrodendole, le parti metalliche del meccanismo. E qui si mette all’opera soprattutto Giuseppe, che escogitò un altro scappamento silenzioso: lo scappamento a manovella. Era un marchingegno che funzionava tramite una biella, dando (come in quello a mercurio) un moto circolare continuo, senza arresti e ripartenze.

Ma per costruirlo Giuseppe si trovò a realizzare a sua insaputa un nuovo tipo di regolatore che in quegli anni sarebbe poi diventato famosissimo: quello a pendolo. Peccato, però, che l’invenzione del pendolo, fosse già stata rivendicata e applicata da Huygens… Per non parlare poi di Galileo. Quindi per Giuseppe non vi fu primogenitura dell’innovazione. La manovella, inoltre, sancì la rottura tra i due fratelli: ognuno dei quali da quel momento in poi lavorò per proprio conto.

I notturni a proiezione

Morto un Papa se ne fa un altro. E durante il pontificato di Clemente IX, il successore di Alessandro, a Giuseppe venne un’idea ancor più luminosa: l’orologio notturno silenzioso e a proiezione. Sembrava una magia, e in effetti derivava proprio dal principio di funzionamento della lanterna magica. Aveva un quadrante con la lancetta dell’ora e di tipo tradizionale, in cui sotto le ore 12 si apriva un oblò rotondo con una lente, dietro alla quale era riportato in trasparenza un piccolo quadrante, sempre con una lancetta e suddiviso in 12, che era collegato a quello principale. Attraverso questa lente (o meglio, sistema di lenti) l’immagine dell’ora venivera proiettata, anche a distanza notevole, su un muro o, talvolta, sul soffitto.

Nei nuovi notturni il lume interno si poteva spostare un poco, in modo da posizionarlo davanti a uno specchio metallico concavo, nel punto perfetto per focalizzare la luce verso la lente che proiettava l’immagine. Da Clemente IX Giuseppe Campani ottenne nel 1668 un altro brevetto papale e così anche la sua ultima innovazione “notturna” fu conosciuta, apprezzata e richiesta da mezza Europa. Di lì a qualche anno l’inglese Daniel Quare avrebbe inventato l’orologio con ripetizione delle ore e dei quarti, un dispositivo ideale per conoscere l’ora anche al buio. Ma gli italiani erano arrivati un bel po’ prima. Con un vantaggio in più: i loro orologi non facevano neanche rumore.

Le informazioni sono state tratte principalmente dalla pubblicazione “La voce di Hora”; dal capitolo “L’orologio notturno, un’invenzione italiana del XVII secolo” di Silvio A. Bedini, tratto dal catalogo “La misura del tempo – L’antico splendore dell’orologeria italiana dal XV al XVIII secolo”; e dal volume “Arte dell’orologeria in Europa” di Giuseppe Brusa.