Il nuovo cronografo in bronzo della Casa di Sciaffusa, dedicato allo storico caccia britannico, viene messo sotto la lente. E l’analisi suscita inevitabilmente considerazioni personali
Scrivere di IWC non è mai facile, per me. IWC fa parte di un nodo essenziale della mia vita. Negli anni ’80, il Titan è stato il mio primo orologio di qualità superiore: un cronografo in titanio realizzato con Porsche Design, consigliatomi da Joe Frielingsdorf del negozio Hausmann a Roma. Un ottimo consiglio perché con quell’orologio ho poi affrontato qualche avventura – fra cui un viaggio in Tibet – che il cronografo ha superato meglio di me.
Un ottimo consiglio condito da tanti racconti – Joe Frielingsdorf era un fantastico affabulatore – e tanto interessanti che mi fecero innamorare dell’orologeria e “inventare” la prima rivista specializzata. Questo nodo sentimentale si è sciolto anni dopo, quando un cancro mi insegnò l’importanza della ricerca in medicina. Organizzai un paio di aste di orologi, appunto, per aiutare la ricerca dell’AIRC, e misi all’incanto il mio IWC. Ora chi s’è aggiudicato quel cronografo ne conosce la storia, oltre a rendersi conto che aiutare la ricerca vuol dire aiutare anche noi stessi, le persone che amiamo oggi e quelle che ameremo in futuro.
Fin quando qualcuno, finto purista della micromeccanica, non espresse una forma di snobistico disgusto per il Titan di IWC: “Bello è bello, ma monta solo un movimento Valjoux 7750. Proprio tu che scrivi di orologi… È un orologio sopravvalutato”. La cosa mi lasciò un po’ di amaro in bocca finché, in visita alla fabbrica, ne parlai con Hannes Pantli, allora Presidente di IWC e oggi membro del Consiglio di direzione – nonché memoria storica del Marchio. In estrema sintesi, Pantli mi disse che a quei tempi pochissime marche fabbricavano da sé movimenti cronografici per via dei costi stratosferici. Fondamentalmente tutti usavano El Primero di Zenith e il classico Valjoux di ETA.
El Primero era prodotto in quantità minime e non tutti si fidavano della sua affidabilità, al punto che Rolex interveniva con modifiche profonde e costose. Lui per IWC aveva scelto il Valjoux nella migliore delle tante versioni, che comunque modificava per migliorarne le prestazioni. Sulla robustezza non c’era nulla da dire. Ma molti consideravano poco elegante il classico scattino in avanti, all’avvio delle misurazioni, dovuto ai giochi tra le leve di gestione delle funzioni cronografiche. Mi disse: “Il nostro no: prova e vedrai che non scatta mai come gli altri. E il funzionamento è più morbido”. Era vero. Ho torturato il cronografo ma la lancetta si muoveva sempre nella maniera esteticamente corretta.
E un discendente del Valjoux troviamo dentro la splendida cassa dell’IWC Pilot’s Watch Chronograph Spitfire. Si tratta di un’intera collezione di orologi creata per sottolineare la sponsorizzazione del lungo volo compiuto da due piloti a bordo di un caccia Spitfire perfettamente restaurato. Un’impresa in linea con la lunga tradizione IWC relativa agli orologi per aviatori: il marchio è stato il primo, infatti, a far rinascere una collezione di esemplari militari a tema.
Nel 1994, il Mark XII ripropone, in versione aggiornata, il Mark XI progettato nel 1948 per la RAF, l’aviazione militare britannica. E prima ancora, nell’88, aveva fatto uscire il Fliegerchronograph. Un’ispirazione poi abbondantemente copiata da altre marche. Ma resta il fatto che a IWC va riconosciuto il merito di aver creduto per prima nella possibilità di “rieditare” questo tipo di orologi. E di sviluppare intorno ad una estetica di base una serie di “variazioni sul tema”, che crescono nel tempo per arrivare a questa generazione e alle serie speciali Spitfire.
Il movimento, dicevo: la disposizione del quadrantini, la presenza del day/date (e la gestione tramite corona del doppio datario) riportano al Valjoux 7750; ma per il resto il calibro 69380 del Pilot’s Watch Chronograph Spitfire è dotato di caratteristiche notevoli. Come la ruota a colonne (al posto delle leve) per la gestione delle funzioni crono; una versione ancora riveduta del sistema Pellaton per la ricarica automatica bidirezionale; e persino una strana àncora che sembrerebbe essere rivestita di carbonio (non è di silicio perché ha le classiche palette in rubino sintetico); àncora che agisce su una ruota di scappamento che, se non è di silicio (l’architettura della ruota però autorizza a pensarlo), gli somiglia molto.
Ma IWC non entra nei dettagli di quella che potrebbe essere una evoluzione del calibro presentato nel 2015 e caratterizzato anche da un diametro ridotto. Solo 30 millimetri, il che consente di contenere a soli 41 millimetri il diametro della cassa in bronzo e a poco più di 15 millimetri lo spessore. Sì, lo so: il diametro sembra “normale” e lo spessore tutt’altro che ridotto. Ma bisogna tenere conto che il movimento è provvisto di una seconda cassa in ferro dolce per limitare al minimo l’influenza negativa dei campi magnetici emessi dalla strumentazione di bordo. E questo costringe ad aumentare le dimensioni, oltre che ad utilizzare un fondello d’acciaio senza oblò – ma con una bella incisione commemorativa.
Lascio come sempre ai gusti personali le considerazioni estetiche. Mi limito solo a far notare come – ancora una volta – la leggibilità sia ottimale in ogni condizione di luce, grazie anche al vetro bombato con doppio trattamento antiriflesso; e mi spingo persino a considerare che la tonalità di verde scelta sia coerentemente “militare” e sembra sposarsi perfettamente con il metallo della cassa. Il prezzo del Pilot’s Watch Chronograph Spitfire non è dei più contenuti, in assoluto; ma tenendo conto delle caratteristiche è perfettamente in linea con quello di molti cronografi in diretta concorrenza.