Approfondimenti

Il calibro CH 29-535 PS di Patek Philippe. Il cronografo tradizionale definitivo

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Siamo nel 2009, nel novembre 2009. A Parigi riapre, dopo un completo riallestimento, la boutique Patek Philippe di place Vendôme. Per l’occasione viene presentato un cronografo d’impianto tradizionale (meccanico a carica manuale) con un movimento totalmente progettato e costruito “in casa”: il calibro CH 29-535 PS. Precedentemente si usavano sbozzi (ossia movimenti di base, da personalizzare nella misura desiderata) Nouvelle Lemania.

Perché usare sbozzi altrui? Essenzialmente perché riprogettare da sé un carica manuale prodotto in piccola serie avrebbe esageratamente aumentato i costi. E persino Patek Philippe, persino “lei” deve tenere sotto controllo i prezzi. I negozianti (di solito i concessionari Patek Philippe hanno una competenza invidiabile) sarebbero critici prima ancora dei compratori finali.

Bene, ma allora perché diavolo fare un movimento nuovo e costoso? Orgoglio, innanzitutto: Patek Philippe è e vuole essere Patek Philippe la manifattura integrale. E poi una certa economia di scala fatta negli anni precedenti: dall’organo regolatore al profilo dei denti, molti particolari erano già utilizzati o lo saranno in futuro, consentendo miglioramenti generali.

Va anche tenuto presente che gli orologi a carica manuale sono i preferiti dai puristi dell’orologeria. Se si prende l’abitudine di caricarlo regolarmente (in questo caso l’orologio andrebbe caricato a giorni alterni, vista l’autonomia complessiva di 65 ore) il movimento del cronografo si troverà sempre a lavorare nelle condizioni ottimali; ossia conservando quel terzo, circa, dell’autonomia complessiva. Al di sotto, la carica residua può rivelarsi insufficiente per fornire a ciascuna alternanza del bilanciere una quantità d’energia costantemente pari.

Un movimento per intenditori, quindi, e un movimento che doveva far meglio del CH 27-70, su base Nouvelle Lemania, dall’86 famoso per la qualità e considerato il miglior calibro tradizionale sul mercato – ovviamente dopo le modifiche di Patek Philippe. Bene: il calibro CH 29-535 PS sembra aver colpito nel segno. Al punto che gli stessi concorrenti lo considerano il cronografo manuale “definitivo”. Anche se di definitivo non c’è mai nulla, in orologeria.

La cosa clamorosa è che il primo cronografo a ricevere il nuovo calibro non è pensato per gli uomini. Ma per quelle donne, sempre più numerose, che amano la grande micromeccanica. Se ci pensate bene con questa scelta Patek Philippe (storia, tradizione, sussiego e blablabla) ha rotto tutti gli schemi. La Referenza 70171R di Patek Philippe, battezzata Ladies First Chronograph, non era e non è, per essere chiari, un orologio “per tutti i polsi”, ma un orologio evidentemente “al femminile”.

Gli uomini dovranno aspettare la primavera del 2010 per avere una propria versione che – ancor oggi può essere considerata ai vertici dell’orologeria d’impianto classico. Ai nostri giorni il calibro CH 29-535 PS è montato in diversi modelli, da uomo e da donna. Uno degli ultimi è il Cronografo 5172G, presentato a Baselworld lo scorso anno.

Poche parole sull’estetica della versione con cassa in oro bianco, che costa 67.990 euro. Classica che più classica non si può, la Referenza 5172G si distingue per i quadrantini (totalizzatore dei minuti – fino a 30 – al 3 circa; secondi continui circa al 9) disassati rispetto alle lancette coassiali di ore, minuti e secondi crono.

Si distingue per il colore blu del quadrante e per lo splendido vetro zaffiro “box”, ossia a profilo periferico quasi verticale, come nei vecchi vetri in plexiglas. Le prime versioni avevano i pulsanti rettangolari, mentre le più recenti si riconoscono per quelli rotondi, più classici. Resta comunque il fatto che parliamo di un cronografo che costa almeno dieci volte in più di un comunque ottimo cronografo. Che senso ha?

Michelangelo, quando Papa Clemente VII gli chiede di fare un affresco sulla parete dietro l’altare della Cappella Sistina, pretese per il cielo di sfondo una quantità pazzesca di lapislazzuli, da trasformare in polvere per unirlo ad una pasta di colore qualitativamente impeccabile. Qualcuno ha fatto il calcolo che solo con la quantità di lapislazzuli chiesta da Michelangelo i cittadini romani avrebbero potuto mangiare come si deve per un anno intero. Ma oggi non avremmo più quel colore meraviglioso, dopo il restauro, perché tutti gli altri blu non reggono le ingiurie del tempo.

Ecco: qualche buon restauro e questo cronografo è pronto ad affrontare i secoli. È bene? È male? Difficile dirlo, ma sta di fatto che la Cappella Sistina – con le figure che si stagliano potenti sul cielo azzurro – non sarebbe la stessa se quel rompipalle esoso di Michelangelo non avesse preteso ed ottenuto tutto il lapislazzuli che gli sembrava necessario. E che di primo acchito non era affatto diverso rispetto ad un buon colore sia pure meno durevole. Bizzarrie ed apparenti esagerazioni dell’arte e dell’orologeria d’arte

Il movimento, il calibro CH 29-535 PS (a proposito: il PS si riferisce alla presenza del quadrantino dei petite seconde, i piccoli secondi, ossia l’indicazione continua dei secondi in un contatore a parte) ha un diametro di 29,6 mm, uno spessore di 5,35 mm, e conta 270 componenti. Il movimento è montato su 33 rubini ed ha una autonomia complessiva, a cronografo disinnestato, di almeno 65 ore.

Il bilanciere è il classico Gyromax, e la spirale è tradizionale, con curva finale Breguet: una scelta che Patek Philippe riserva a tutti i movimenti a carica manuale, in sintonia con la loro essenza di orologi tradizionali, appunto. La frequenza di funzionamento è di 28.800 alternanze/ora (4 Hz). Dopodiché saranno orologi tradizionali, ma sia questo movimento che la successiva versione “sdoppiante” sono vere e proprie riserve di bellurie tecniche, nuovi brevetti e perfezionamenti maniacali.

Il massimo che l’orologeria attuale riesca ad esprimere, parlando di equilibrio tra storia ed innovazione. Nelle didascalie cercherò di entrare più approfonditamente nella tecnica di questo movimento “tradizionale” che è – a tutt’oggi – il riferimento da battere. Il viaggio verso la (impossibile) perfezione continua, come del resto il senso dell’arte. Un giorno bisognerà capire che arte e micromeccanica possono, in certi casi, far rima.