È semplice: vai sul sito Breguet e fai click con il mouse su punti vendita. Dopodiché prenoti un appuntamento. Puoi partire dall’elenco delle boutique nel mondo o direttamente dall’opzione prenota un appuntamento. A questo punto puoi – appunto – prenotare un incontro esclusivo. Che vuol dire avere la boutique Breguet tutta per te, sicura e ben sanificata. Nella quale parlare con l’interlocutore giusto e la mascherina giusta (siamo in tempi di Covid e le precauzioni non sono mai troppe), lunghi guanti per non lasciare code maligne e, in generale, un protocollo Breguet di sanificazione totale per poter effettuare la visita ben al riparo del virus.
È uno dei tentativi per “inventare” il commercio del domani, specialmente in una fase nella quale non si capisce bene chi può fare cosa, quando e a quali condizioni. Perché per ora – è chiaro – nemmeno chi dovrebbe darci certezze ne ha di personali. Ma il mondo deve andare avanti e non solo per i fatturati, il commercio globale e via dicendo. Deve andare avanti perché siamo cresciuti con il terrore di un ritorno prossimo venturo al medioevo e la cosa ci sconcerta, ci disorienta, ci fa star male. E allora ben vengano tutte le idee, nessuna esclusa. Che sembrano poterci accompagnare almeno verso una nuova normalità accettabile, se non possiamo far arretrare le nostre lancette a qualche mese fa.
Detto questo, ricordo bene quel che mi dicevano: di buone intenzioni sono lastricate le strade dell’inferno, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e così via. Le buone intenzioni sono facili, le buone idee un po’ meno. Ma il difficile, il muro di fronte al quale ti fermi come uno scemo mentre tutti ti ridono dietro, è l’atto pratico. Far fatti, non far-falle, come dice il mio lato poetico. Quindi sono andato a verificare cosa succede se provo a prendere un appuntamento per andare nella boutique Breguet a godermi qualche grande orologio.
Entro appunto nel sito Breguet e per l’ennesima volta mi inoltro nei menù a cascata, quelle tendine che scendono dall’alto delle voci elencate sulla fascia blu sotto il logo del marchio. Ci casco ogni volta e proprio per questo vi consiglio di fare altrettanto. La navigazione è molto ordinata non soltanto per quanto riguarda le collezioni degli orologi, ma soprattutto per quel che potremmo definire il “mondo” Breguet, quel patrimonio che Abraham-Louis Breguet e i suoi successori hanno iniziato a costruire nel 1775.
Perché Breguet non era solo un genio dell’orologeria, ma sapeva ben gestire anche dal punto di vista pratico la commercializzazione e persino quel che noi oggi definiamo marketing. Breguet fu il primo ad aprire una filiale estera, in Russia. Ecco perché nella nuova Breguet ricostruita in Swatch Group la Russia è stata la prima nazione ad avere una propria filiale. Insomma: prendete tutto il tempo che vi serve per entrare nello spirito del marchio. Scoprirete che è forte e ben costruito, eppure senza forzature da “vien qui che ti vendo anche quel che non vorresti mai comprare”.
Il passo successivo – quando volete, se volete – è quello di tornare alla pagina iniziale (home page), al menù a tendina punti vendita e poi appunto prenotare un appuntamento. Si apre un ampio menù da esaminare con cura, prima di compilare le varie voci. Spesso i questionari nascondono una maligna richiesta di dati da usare magari per altri fini, indipendentemente dalla facciata innocua. Per quanto mi riguarda scopro che nessuno mi chiede – come condizione obbligatoria per andare avanti – il numero di telefono, che è uno dei dati più preziosi senza i quali tutto si blocca. Una scelta che trovo decisamente positiva.
Certo, vi chiedono l’indirizzo di posta elettronica, ma quello mi sembra assolutamente il minimo per poter comunicare con la boutique Breguet. Ovviamente ho fornito l’indirizzo che uso come bidone della spazzatura telematica; un indirizzo che ho creato con la specifica intenzione di convogliare su quella casella postale la massa di comunicazioni – al 99 per cento indesiderate – che vi verrà spedita dai siti con i quali avete avuto in passato una fuggevole relazione.
Scelgo una data, scelgo l’ora, e indico – obbligatorio – cosa intendo fare (scoprire gli orologi) chiedendomi perplesso in cosa possa consistere la voce “altro”. Indico quale tipo di orologi vorrei conoscere (la collezione Tradition) e poi scendo nel menù messaggio, spiegando che non disdegnerei un buon cafferino, anche se so già che me l’offrirebbero comunque. Passo poi alle informazioni personali, che come dicevo non superano l’ovvia richiesta di un indirizzo mail. E alla fine, dopo aver come sempre confermato di aver letto l’informazione sulla privacy, premo il pulsante virtuale inviare. Tutto qui.
Beh, quasi tutto qui. Dal momento che come tutti i giornalisti sono un rompiscatole, completo l’operazione di prima mattina, per vedere: a) se e dopo quanto tempo mi rispondono; nonché b) se l’eventuale risposta arriva in automatico o davvero da qualcuno presente nella boutique o comunque al lavoro telematicamente, da casa. Nemmeno mezz’ora dopo, arriva la risposta che ho inserito nelle illustrazioni di questo articolo. Sono molto soddisfatto. Non solo per la risposta, ma soprattutto perché la risposta stessa non viene usata per chiedermi i dati non richiesti nel primo modulo, come il numero di telefono. La cosa sta assumendo i contorni di una operazione seria: far fatti, non far-falle, come dicevo. E mi metto in attesa dell’ambasciatore Breguet.
Il finale per me è un po’ amaro. Avete presente quando vi sentite un po’ furbi che fanno furbate? L’astuto giornalista sotto copertura è stato scoperto con vergognosa (per il giornalista) rapidità. E l’ambasciatore poi mi ha scritto se ero Veroni “quello degli orologi”, dimostrando che il sito è ben controllato e io sono molto meno furbo di quanto credevo di essere. Per pagar pegno mi offro volontariamente come accompagnatore per qualcuno – a scelta dell’ambasciatore – che richieda un appuntamento nella boutique Breguet. Ma a patto che mi si lasci lo spazio per l’abituale pisolino digestivo…