In occasione del lancio della nuova collezione di Alta Gioielleria di Gucci, abbiamo rivisto anche gli esemplari di Alta Orologeria presentati la scorsa primavera. Facciamo allora un passo indietro per capire come ha fatto la Maison ad arrivare fino a questo punto. Perché non c’è niente di improvvisato ma un percorso graduale, studiato e applicato passo per passo. Gli esordi degli orologi Gucci infatti risalgono a (quasi) mezzo secolo fa…
Tanti anni fa, me ne stavo seduto tranquillo sulla mia solida collina di pregiudizi. Poi ho visitato per la prima volta la fabbrica di orologi Gucci.
A quei tempi parlare di “orologi fashion” già cominciava ad essere un autentico insulto. Robetta cinese di pessima qualità, comprata un tanto a container e rigenerata con quadranti più o meno ispirati allo spirito del marchio. Solo che il marchio profumava di lusso. Gli orologi no. Fu proprio per questo che l’importatore di allora (Gucci non era ancora confluita in Kering) mi trascinò in Svizzera, giurando che “abbiamo una fabbrica”. Seeh…
E invece la fabbrica c’era davvero. Insomma: quando si parla di Gucci, bisogna sempre ricordare che il matrimonio (quello solido e duraturo) fra orologi e fashion è iniziato da lì. Tutti gli altri hanno seguito un sentiero già tracciato.
Gucci apripista
Il concetto, a dirlo oggi, è semplice. Prendi un grande marchio della moda, compri una fabbrica di orologi in Svizzera e la organizzi come qualunque fabbrica di orologi. Ogni singolo dettaglio è orologeria vera, nella propria fascia di prezzo. In più, per chi è un po’ stanco di appiattirsi le terga sulla collina dei pregiudizi, c’è il legame estetico con la storia del marchio. Ricordo di aver visto, in una delle visite, dettagli piuttosto sorprendenti, come le lunette in bambù (materiale a lungo fra i preferiti di Gucci) piegate a mano in Toscana e poi spedite in Svizzera per essere fissate all’orologio. E credetemi: piegare a forte curvatura un pezzetto di bambù lungo nemmeno cinque centimetri è una vera impresa, ma fissarlo sulla cassa è ancora peggio.
Gucci è stato un vero e proprio apripista, in questo senso. Severin Wunderman, di cui parlerò brevemente fra poco, aveva una logica ferrea: un orologio Gucci deve darti le stesse garanzie, prima e dopo l’acquisto, di qualunque altro oggetto Gucci. Ne va del buon nome della marca tutta. Una logica che molti, troppi altri marchi hanno totalmente disatteso negli anni seguenti. E qualcuno ancora oggi. È la ragione vera per cui a parlare di orologi fashion gli appassionati si fanno venire l’orticaria, di solito. Bisogna imparare a distinguere caso per caso.
Un po’ di storia
Severin Wunderman, famiglia belga, sfugge alle persecuzioni naziste e finisce negli Usa, dalla sorella. Si arrangia, mette su una piccola catena di distribuzione di quotidiani, casa per casa. Poi comincia a lavorare nel settore dei preziosi e mette le mani sul numero di telefono di Aldo Gucci. Una telefonata lunghissima per cercare di convincerlo a fare quel che non voleva fare: gli orologi. Wunderman si sta giocando la possibilità di una vita e alla fine gli va bene. Gucci non solo acconsente, ma tira fuori anche i soldi per partire. Erano i primi anni Settanta: altri tempi. Quando un imprenditore era innanzitutto un conoscitore di uomini e professionalità.
Il successo è pressoché immediato perché la qualità di Gucci è un punto fermo anche per gli orologi Gucci. Orologi ben fatti, dal prezzo perfettamente coerente con il proprio segmento di mercato. Orologi in cui il marchio Gucci è un motivo di vendita in più, certo, ma che non viene fatto pagare. Orologi che, come ogni altro orologio degno di tale nome, sono riparabili al contrario di quel che accade per i mille marchi – anche nomi altisonanti – che seguiranno la strada di Gucci senza averne la qualità. Dovremo aspettare fino a tempi relativamente recenti perché la lezione di Gucci e Wunderman venga applicata correttamente. Se vuoi fare orologi, devono essere buoni orologi. Lo devi al compratore e lo devi al tuo stesso nome. Ogni prodotto Gucci deve avere la qualità Gucci, altrimenti perdi la buona reputazione conquistata.
Gli orologi Gucci e la formula di Kering
Oggi il marchio Gucci è la punta di diamante del gruppo Kering, quello di François-Henri Pinault. Nel portafoglio di Kering ci sono due delle marche meglio radicate nell’orologeria svizzera: Girard-Perregaux e Ulysse Nardin. Entrambi tradizionali e maledettamente innovative al tempo stesso. Per un po’ Kering si è comportata come altri gruppi finanziari: verticalizzazione, ogni marca fa storia a sé, la mano destra non sa quel che fa la sinistra. Pinault ha capito che non è questa la strada giusta, e oggi entrambe le marche hanno un solo Ceo: Patrick Pruniaux.
L’orologeria di Kering ha, in pratica, un coordinatore (come Stéphane Bianchi per LVMH) e questo consente non soltanto di fare economie di gruppo, ma anche di utilizzare la tecnica e la creatività in maniera diversa e più ampia. Come nel caso di Gucci quando decide di puntare ancora più in alto, verso l’Alta Orologeria. Una strategia meditata, che ha portato i primi risultati lo scorso aprile.
Alta Orologeria di gruppo
Gucci? Alta Orologeria? Aagh! Mi dirai tu. Non fare lo scemo, ti rispondo io. Scendi dalla tua confortevole collina dei pregiudizi e impara a riconoscere la qualità, sempre e comunque. Dopodiché è tuo pieno diritto decidere se quel che Gucci ti propone rientra o meno nei tuoi gusti personali (però pensaci bene…). Ma se non ne riconosci la qualità è come se tu concedessi al fashion solo quello che chiamo il “diritto di puttanata” che invece sta fortunatamente scomparendo. Ed era ora. Sta scomparendo perché l’intuizione di Gucci e Wunderman è stata compresa e ripresa da gran bei nomi della moda: da Chanel a Vuitton, da Dior ad Hermès, sono in tanti a rendere omaggio alla strada aperta da Gucci. La strada migliore: far bene le cose.
Un occhio esperto, ad esempio, riconosce abbastanza rapidamente la forma del bilanciere. Il movimento del tourbillon dev’essere strettamente imparentato con il tourbillon Ulysse Nardin, anche se alcuni dettagli tecnici fanno capire come il calibro sia stato ampiamente rivisto per adattarlo alle specifiche chieste da Gucci. Ma restano caratteristiche eccezionali come un organo regolatore quasi interamente realizzato in silicio, leggerissimo e antimagnetico. Quante marche “modaiole”, come sprezzantemente qualcuno le chiama, possono vantare questa qualità? Scendere dalla collina dei pregiudizi non fa male, credetemi. Al contrario, apre la vista a panorami ampi, nuovi e interessanti. Anche da un punto di vista strettamente tecnico, perché l’economia di gruppo consente di investire somme maggiori in Ricerca & Sviluppo.
Alta Gioielleria sul Lago Maggiore
Domenica scorsa Gucci ha presentato le sue collezioni di Alta Orologeria e Alta Gioielleria nella Villa Pallavicino, a Stresa, sul Lago Maggiore. Proprietà di Vitaliano Borromeo.
Parlare di “incantevole cornice” è un classico del giovane cronista, certo. Quel che distingue il parco della Villa, però, non è soltanto la bellezza, ma anche l’opera di recupero delle 50 specie d’animali, molti dei quali salvati dal veterinario Uberto Calligarich.
Gucci ha chiamato Hortus Deliciarum, Giardino delle Delizie, l’itinerario nell’altissimo di gamma (gioielleria e orologeria), disegnato da Alessandro Michele. A dire il vero non capisco poi molto di gioielleria, ma ho visto molti temi nuovi accanto a qualcuno più classico. Tutti comunque ispirati ad un caos gentile, ad una gioia di vivere che si esprime in colori vivaci, nella capacità di far vivere i gioielli grazie a parti mobili (che troviamo anche sul quadrante di qualche orologio) e ad un disordine allegro. Mai eccessivo (certi gioielli sono per sempre), ma sempre evidente. Anche i temi più conosciuti, come quello del fiocco, diventano giovani senza età, diventano allegria senza tendenze iconoclaste. Un modo diverso di vedere quanto di meglio la gioielleria italiana è in grado di produrre. Con connotazioni tecniche mica da ridere.
E queste connotazioni tecniche le ritrovo pari pari in alcuni orologi non solo dedicati alle donne. Ad esempio, il tourbillon su quadrante occhio di tigre, con piccole api mobili, è un pezzo di bravura che piacerà anche agli uomini più esigenti. Se sapranno scendere dalla collina dei pregiudizi e abbandonare – per una volta, almeno – le gabbie estetiche della tradizione.