Ma davvero Xi Jinping, segretario del Partito Comunista Cinese, vuole abolire i ricchi? O comunque ridurli a cittadini comuni? È vero che, gratta gratta, il comunista torna sempre a galla? Tutte cose dette di recente, quando Xi Jinping ha detto che lasciare quasi il 50 per cento della ricchezza cinese nelle mani di un 10 per cento della popolazione è decisamente troppo. Al di là di qualunque considerazione politica. Perché il problema dei ricchi e super-ricchi è lo stesso in tutto il mondo. E ogni nazione tenta di intervenire per limitare lo spaventoso divario economico fra aziende e persone ricchissime da un lato, e persone normali dall’altro.
Un po’ di realismo, per favore
Beh, non ho la minima intenzione di incastrarmi in un discorso d’economia. Né tantomeno di rompere le scatole a voi. Per farla breve, sono seriamente convinto che Xi Jinping farà in modo, certo, di limitare la ricchezza di aziende e persone troppo ricche. Ma non per distribuire questa ricchezza ai “poveri”. Sarebbe comunque una goccia nell’oceano.
Penso invece che farà in modo di rilanciare quella classe media che è sempre stata l’ossatura dei Paesi in espansione. Quella classe media che l’Occidente, negli ultimi anni, ha trattato malissimo. La lunga e triste storia della deregulation che avrebbe dovuto far diminuire i prezzi ed aumentare la concorrenza. Il che si è realizzato in parte proprio eliminando la ricchezza della classe media.
Ma a noi interessa il mercato del lusso. La domanda vera, quindi, è: ma se davvero i cinesi aprono alla classe media, cosa ne sarà del lusso?
Lusso, quasilusso e controlusso
Il ritorno della classe media non dovrebbe avere grandi effetti sul lusso vero, nel senso che non dovrebbero esserci diminuzioni considerevoli e stabili, sempre cercando di capire – nessuno può dirlo, con la pandemia in atto – cosa accadrà degli acquisti turistici. Ma Europa e Occidente in generale dovranno tenerne conto. La classe media apre nuovi segmenti di mercato e questo potrebbe far tornare conveniente avere anche noi una nuova classe media con grande potere (cumulativo) di spesa. L’importante è capire bene cosa intendere per lusso, quanti tipi di lusso esistono e cosa hanno in comune. Mica facile. Ma ci provo, sia pure schematicamente.
Il lusso. Quello vero non ha bisogno nemmeno di presentarsi come tale. Lo vedi e lo capisci, se per te certe cose hanno un senso. Può sembrarti una insopportabile autoreferenzialità se il cuore non batte allo stesso ritmo del lusso vero.
Il quasilusso. Se davvero dovesse tornare la classe media, allora sarebbe il terreno di battaglia più vivace. Dopo – ovviamente – aver restituito alla classe media il proprio potere d’acquisto.
Per alcuni marchi del lusso sarà importante tenere conto della lezione di alcuni grandi uomini di straordinaria levatura. Penso ad esempio a quelli di Cartier: a Robert Hocq, Alain-Dominique Perrin e Franco Cologni che nei primi anni Settanta inventano Les Must de Cartier. Quasicartier e comunque abbastanza Cartier per rendere desiderabilissimi alcuni prodotti. Lasciando quasi nascosti i Cartier veri, quelli riservati a pochi. Una seconda linea di prodotti, chiara e ben leggibile in quanto tale. Per la classe media di tutto il mondo, quella che compra dal controlusso al quasilusso, appunto.
Molti marchi faranno bene a conservare la propria identità, contenendo la produzione pensata per il solo mercato cinese. Rischierebbero grosso, magari di essere comprati proprio dai cinesi. Aumentare la produzione, sì, ma con giudizio. Come alzarsi da tavola con ancora un po’ di appetito, calcolato non per andare in un altro ristorante (o a comprare da qualcun altro), ma nemmeno per saturare il mercato. Voglio proprio vedere se ci sono ancora dirigenti con abbastanza palle per fare qualcosa del genere.
E infine il controlusso. Quello di massa, quello che crei la marca con influencer e indigestioni di social media. Quello che dice ma tanto tutto è uguale e per convincerti ogni tanto ti illude con una capsule collection che serve soltanto ad usare il nome di qualcuno che disegna il lusso vero. È un mercato immenso, che non c’entra niente con il lusso – e infatti segue regole totalmente diverse –, ma che viene percepito come lusso, come prodotto “di marca”, come prodotto a suo modo di qualità.
Lusso: con o senza regole?
Sarà sempre più importante che il lusso vero sia ben identificabile in quanto tale e quindi sincero, senza trucchi di marketing. Un buon make-up al prodotto, ma senza esagerare per non cadere nell’effetto “vecchia zoccola”. Reputazione è la chiave e la reputazione non te la puoi giocare per quattro bugie infantili. A meno che tu non sia stupido. Ma talvolta non è nemmeno colpa dei singoli dirigenti, quanto degli azionisti dei gruppi finanziari, in continua fregola per fatturati crescenti.
Il recente caso di Panerai (ne abbiamo parlato qui) è esemplare, sotto questo punto di vista. Panerai, come del resto moltissimi altri marchi di grande reputazione, in certi orologi usa movimenti di manifattura, in altri movimenti standard. Lo fa perché non riesce a produrre abbastanza movimenti e/o per contenere i prezzi. Non c’è nulla di male. Ma se giochi al vedo non vedo, dico non dico, allora ti esponi al rischio che un certo tipo di social vivano la cosa come un imbroglio e come tale la trasmettano. Con effetti pesanti sia sulle vendite (ma questo è un fenomeno transitorio), sia sulla reputazione del marchio.
Per evitare questo tipo di situazioni basta un po’ più di chiarezza. E imparare che non tutti i social hanno lo stesso valore: non bastano i follower. Devi conoscere il tipo di follower e devi capire se si tratta di persone che effettivamente possono comprare i tuoi orologi o se solo vogliono farlo credere. I “leoni della tastiera” sono irrilevanti, agli effetti pratici.
Sarà anche importante non dimensionare la propria azienda in funzione della Cina, sia pure resa effervescente da una nuova, eventuale classe media. Se poi la Cina per qualche ragione si ridimensiona (e lo abbiamo visto con il Covid) le aziende rischiano di non poter sostenere le spese e di dover conseguentemente raccontare bugie per sopravvivere. Innescando invece un meccanismo che può finire in forme di autodistruzione.
Quasilusso cinese
Anche i cinesi produrranno oggetti sempre migliori, e bisognerà tenerne conto. Basti pensare a marchi come Giada, nella moda. Tutti lo deridevano, ma ora comincia a piacere anche ai compratori occidentali. E i cinesi produrranno anche molti oggetti per la classe media. Per il mercato interno, soprattutto, ma prima o poi cominceranno ad esportare e a vendere anche in Europa. Perché essere in Occidente fa figo, per vendere a casa. E poi si scopre che si tratta di prodotti che piacciono pure a noi.
La concorrenza sarà vivace, molto vivace. Anche per questo, non mi stanco di ripeterlo, la chiarezza, la sincerità e la buona reputazione sono e sempre più saranno caratteristiche indispensabili del lusso.
Fermo restando che vorrei invitare i produttori a considerare un ultimo dato, forse non secondario. Se valutiamo l’importanza di un mercato anche in funzione della popolazione, scopriamo che i quattro principali mercati europei (Francia, Germania, Italia e Spagna, circa 255 milioni di abitanti) nel periodo fra gennaio e luglio 2021 hanno importato orologi per un fatturato di un miliardo e 798 milioni di franchi svizzeri. La Cina (quasi un miliardo e mezzo di abitanti) un miliardo e 765 milioni. E gli USA (circa 330 milioni di abitanti) un miliardo e 703 milioni, sempre di franchi svizzeri.
Considerando i pro e i contro, considerando le prospettive future, considerando le (limitate) possibilità di aumentare la produzione senza diminuire la qualità, considerando questo ed altro… Forse l’orologeria dovrebbe avere un po’ più di rispetto nei confronti dei mercati europei. Mettendone a fuoco le esigenze con maggior precisione e impegno.