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Dietro le quinte. Gli orologi “di lusso”, la Cina e la Grande Paura

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Comincio da lontano, ma la faccio corta, giuro. Ok, quasi corta.
Gli orologi “di lusso”? Sono quasi tutti svizzeri. Ma quanti sono? Pochi, se consideriamo il mondo intero come mercato. Prendiamo il 2014, anno magico per l’orologeria svizzera. Le esportazioni arrivarono a 28.585.650 orologi, dei quali 8.130.679 con movimento meccanico e 20.454.971 al quarzo. Le cifre sono sempre quelle – ufficialissime – della Federazione Svizzera dell’Orologeria. Che almeno sotto questo punto di vista fa un ottimo lavoro, fornendo dati interessanti, seppur da interpretare sempre con un po’ di saggezza.

Ora lasciamo perdere il 2020, che non fa testo, e guardiamo al 2019, che oggi tutti prendono come riferimento. I “meccanici” erano scesi a 7.238.509, i quarzi a 13.407.161 e il totale delle esportazioni, in unità, a 20.645.070. Ma se guardiamo al valore, scopriamo che nel 2019 la Svizzera ha esportato “solo” 1.668.000 orologi di costo superiore ai tremila franchi svizzeri. Definiti abitualmente orologi “di lusso”. Sono cifre dette “al confine”, si badi bene. I tremila franchi sono al netto delle tasse nel Paese di destinazione, ma al netto anche del giusto guadagno della catena commerciale. Nel 2019 il fatturato di questo segmento era superiore ai 14 miliardi (sempre di franchi svizzeri) rispetto ad un totale esportato di 20 miliardi. La Svizzera, in pratica, incassa molto, ma davvero molto dalla produzione di orologi “di lusso”.

A luglio del 2021 la Svizzera ha già esportato oltre un milione di orologi “di lusso”. Il che fa ben sperare per il proseguimento dell’anno. Eppure in questa folle fine d’agosto le borse sono entrate in sbattimento e i grandi gruppi finanziari fanno registrare perdite notevoli. Mentre inizio a scrivere, 19 agosto, a Parigi Lvmh perde il 5 per cento e Kering l’8 per cento; mentre a Zurigo Richemont scende del 5,8 per cento. E con questo la smetto di snocciolare cifre per passare alla domanda vera: perché? Perché le multinazionali del lusso stanno tremando? E cosa c’entra tutto questo con l’orologeria di lusso? La risposta è: paura della Cina e del suo immenso mercato, punto di riferimento per le esportazioni del lusso. Paura che questo mercato (quasi metà degli orologi svizzeri più pregiati finisce in Cina) collassi.

Cina: più ricchi e meno ricchissimi

Anche qui la faccio breve. Annunciando il programma economico per i prossimi cinque anni, il Presidente cinese Xi Jinping ha detto che bisogna dare un taglio ai patrimoni dei ricchissimi, quelli che superano ogni immaginazione. Un 10 per cento di persone che attualmente guadagna praticamente il 50 per cento del reddito nazionale. Xi Jinping vuole quindi riequilibrare la ricchezza, distribuendola con maggiore intelligenza. Questo è bastato a scatenare il terrore nei confronti dei comunisti che, si sa, odiano i ricchi.

Una emerita sciocchezza (ma chi opera in Borsa è maestro nel giocare su queste paure) perché tutto lascia supporre che in realtà l’obiettivo sia quello di rafforzare una classe media molto più ampia e articolata. Il che sembra non piacere alle multinazionali del lusso. Non tanto per gli orologi, che sono una parte piuttosto piccola del loro mercato, quanto per tutto il resto. La paura, ne sono certo, lascerà il posto all’entusiasmo per la più che probabile crescita di una classe media che comprerà con grande impegno oggetti costosi. Oggetti di lusso discutibile, ma costosi. Il guadagno sarà ancor più consistente.

Sì, mi dirai tu, ma cosa c’entra ’sto discorso con l’orologeria e con gli orologi di lusso in particolare? C’entra eccome, ti rispondo. Perché dall’inizio di questo secolo le multinazionali finanziarie del lusso si sono tuffate nell’orologeria. Con risultati discutibili per loro e per l’intero settore.

Orologi “di lusso”?

Il colpaccio lo aveva fatto nel 2000 Richemont, comprando in un solo boccone Jaeger-LeCoultre, IWC e A. Lange & Söhne. E diventando la maggior concentrazione mondiale di marche d’Alta Orologeria. Fatta eccezione per Baume & Mercier, che comunque realizza orologi di ottima qualità ad ottimi prezzi, parliamo di leggende come Vacheron Constantin, Piaget, la sezione orologeria di Cartier (che da sola rappresenta la terza marca svizzera d’orologi, in esemplari venduti); per arrivare a Panerai, Montblanc (con Minerva) e Roger Dubuis. Nessun altro ha tanta storia dell’orologeria in portafoglio.

Peccato che l’operazione si basasse su un presupposto non fondato: l’idea era quella di svegliare i dormienti svizzeri dell’orologeria e invadere il mondo di orologi “di lusso” e quasi lusso. Un po’ come prima e seconda linea nella moda. Marca e sottomarca. Una roba del genere. Poi si è scoperto che questo non è possibile. Non ostante un bell’aumento della produzione – dovuto al progresso tecnologico –, i colli di bottiglia sono tali che più di tanto non si può fare. E tutti di dirigenti “commerciali puri”, spesso provenienti dal settore della grande distribuzione (dalle patatine fritte ai cosmetici), hanno sbattuto la testa contro questo muro.

Gli orologi “di lusso” devono innanzitutto avere un ottimo movimento meccanico, fatto più o meno in casa e con determinate caratteristiche. Sempre e senza eccezioni. Non puoi rovinare la reputazione di una marca alternando il meglio all’andante. E invece è proprio quello che alcuni dirigenti Richemont hanno fatto e continuano a fare. Forse a causa della pressione degli investitori, certo, ma sta di fatto che la strada è sbagliata.

Il “caso Panerai”

Un esempio recente? La serie limitata di cronografi Panerai per celebrare la sponsorizzazione di Luna Rossa, la barca di Prada. Orologio davvero bello e ben fatto. Esternamente. All’interno monta il “nuovo calibro P.9200”, meccanico a carica automatica. Come altri recenti cronografi Panerai. Il marchio ha da tempo lo status di “manifattura” perché progetta da sé i propri movimenti, che poi realizza con l’aiuto della ValFleurier, la fabbrica di movimenti del Gruppo Richemont.

Tutto bene? Beh, quasi, perché il calibro P.9200 è in realtà un Eta 2824 (ottimo calibro prodotto da Swatch Group, ma nessuno lo definirebbe alta orologeria) sul quale è stato sovrapposto un modulo cronografico. Panerai, sia ben chiaro, non ha raccontato bugie: si è limitata a glissare sulla reale provenienza del movimento. Un peccato d’omissione, insomma. Ma a questo punto chi ama il marchio come diavolo deve fare per essere certo che il proprio orologio monti davvero un movimento esclusivo? Anche perché il prezzo non è certo da Eta 2824, a confrontarlo, ad esempio, con un Bell & Ross.

E questo è solo il più recente esempio di una strategia che può avere motivazioni commerciali certamente comprensibili, ma non giustificabili. Perché infrangono sia l’etica dell’orologeria di lusso, sia quelle del lusso – quello vero. Quello che non decentra la produzione per contenere i prezzi e/o aumentare i ricavi. Quello che non traveste da Ferrari una pur ottima Skoda. Auto che prendo ad esempio perché ne sono soddisfattissimo. Ma conosco la differenza.

Dire pane al pane e vino al vino

Ecchecaspita! Mi dirai. Ma tu ce l’hai a morte con Richemont! Esattamente il contrario, ti rispondo. Proprio in questo sito ho difeso allo spasimo – tanto per fare un esempio – l’orologeria di Cartier, prendendomi badilate d’insulti da parte di haters campioni solo di preconcetti sbagliati. Ma comincio ad essere stanco di questi mezzucci che nascono dalla mancanza di un coordinamento della sezione orologeria di Richemont. Come del resto ho già scritto nello scorso luglio. E ho il cuore pieno di speranze.

È solo un caso, ma dopo che ho parlato di affidare ad un dirigente anziano il coordinamento di un settore, Johann Rupert – che sa quel che fa – ha affidato la pelletteria ad un mito (anziano, persino più di me) proveniente da Hermès. È questa, la strada. E spero che Rupert faccia presto altrettanto con l’orologeria. Ce n’è davvero bisogno per l’intero settore. Bisogna dire pane al pane, vino al vino e lusso al lusso. Continuare con bassi trucchi di marketing, col dico e non dico, spacciando per arte quel che pure è onesto lavoro – ma non arte – può rovinare definitivamente la reputazione a marchi assolutamente straordinari come quelli che Richemont ha in portafoglio.

Sarebbe un male per tutti: non solo per l’estinzione di nomi gloriosi, ma soprattutto perché nessuno ha voglia di spendere un sacco di soldi per un orologio che tradisce le aspettative. L’orologeria svizzera si basa su una reputazione sicura, diffusa e ben riconosciuta. Costruita in secoli di storia. I trucchi di bassa lega lasciamoli ad altri. Altrimenti scapperà la Cina, scapperà il resto del mondo e l’arte dell’orologeria rischierà l’estinzione.