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Orologi da collezione. Ma sono davvero nostri?

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Paura. Dopo aver letto questo articolo qualche collezionista comincerà ad aver paura. Quella vera.
La domanda è: chi è in grado di provare che la propria collezione di orologi possa godere di tutte le tutele di natura legale anche ai fini della sua circolazione? Punto di vista che, come vedremo, è quello che conta, in molti moltissimi casi.
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Stefano Loconte, dello Studio Legale Loconte & Partners di Milano. Specializzato, fra l’altro, nella gestione dei patrimoni costituiti da collezioni d’arte: orologi, dipinti e ogni altra cosa valga la pena di collezionare. Difficile trovare miglior interlocutore.

Vogliamo la tranquillità

Ma è possibile che non si possa avere un po’ di tranquillità? È possibile, per un collezionista starsene al calduccio nella comfort-zone della propria collezione?

Stefano Loconte: Già. Come eliminare questi incubi? Bisogna avere la certezza legale della provenienza. Una certezza che si può acquisire in due modi: o compri direttamente dal produttore (il che vuol dire anche un concessionario ufficialmente riconosciuto), che normalmente ti dà tutto un impianto documentale che attesta la provenienza, oppure compri da un privato. In questo caso devi essere tu parte attiva nel chiedere a chi vende di darti il supporto documentale, quello che certifica e attesta la provenienza di ciò che compri.

I due mercati sono molto diversi. Se compri dal produttore è evidente che sei in una comfort-zone anche nella fase dell’acquisito, non solo del godimento. Mentre se ti sposti nel mercato privato ti devi porre un bel po’ di domande: quel pezzo potrebbe essere falso o di provenienza illecita e questo comporta una serie di meccanismi di verifica sugli orologi (almeno quelli più preziosi) come il numero di matricola, che tu puoi riscontrare con il produttore. Attesterà se il numero di matricola è vero oppure appartiene a un prodotto che è stato oggetto di qualcosa di illecito.

Proviamo a vedere la cosa da un punto di vista pratico. Io sto per comprare un orologio da una persona. Fermo tutto e dico: «Scusa un attimo ti faccio chiamare da…»?

Stefano Loconte: …Da chi seguirà per me l’operazione. Hai paura di essere sfacciato, di essere maleducato? Ma se invece che un orologio stessi comprando una casa, troveresti naturale chiedere una serie di documenti. Affidarne a qualcuno la verifica. Se faccio un investimento, i pezzi che valgono come una casa o comunque importanti richiedono questo tipo di approccio. Prima di comprare devo avere il buon senso di chiedere un supporto documentale.

Ma non basta. Torniamo all’esempio della casa. Ricevo il certificato di abitabilità, rilasciato dal Comune, ma poi faccio verificare dal notaio che non si tratti di un certificato superato da eventi successivi o altri impedimenti. Nel caso di un quadro o di un orologio incarico qualcuno di verificare che i documenti siano veri e corretti. Perché teoricamente un documento potrebbe anche essere vero perché chi ha rubato l’orologio e l’aveva rimesso in circolo, aveva anche rubato tutta l’attestazione di autenticità. A quel punto mi sta arrivando un certificato di autenticità vero, certo. Ma relativo ad un prodotto che legalmente non può circolare.

E se il prodotto che non può circolare lo compro in un concessionario della marca?

Stefano Loconte: Allora è diverso. Io – il compratore – ho fatto con diligenza tutto quel che potevo fare. Ricordo un caso molto noto. Non era nel mondo degli orologi però riguardava un noto brand di lusso. In una boutique c’era il gestore infedele che vendeva pezzi originali insieme a pezzi falsi. L’acquisto non è incauto perché io sono andato – in buona fede – nel luogo di vendita più sicuro. Il reato quindi c’è, ma è della mia controparte.

Se invece vado in un negozio che vende orologi, sì, ma non è concessionario della marca in questione, allora bisogna valutare il tipo di negozio. Se vado a comprare un orologio di alto livello in un negozio che ha solo marche di livello totalmente diverso, allora torniamo alla necessità di essere diligentemente attenti. E se non mi pongo il problema, allora può scattare l’incauto acquisto. Perché sono stato incauto, appunto, o comunque non attento a comprare qualcosa da qualcuno che normalmente non avrebbe potuto vendere quell’oggetto. E se ho comprato da un privato posso persino incorrere nel reato di riciclaggio o ricettazione. Perché sto aiutando a rimettere sul mercato un oggetto di dubbia origine.

Eredità senza maledizioni postume

Cosa devo fare, per lasciare la mia collezione ai miei eredi?

Stefano Loconte: Per la parte successoria diventa fondamentale capire cosa i miei eredi vorranno fare: tutto il mondo dei beni da collezione si fonda su considerazioni personali. Nel caso dei mobili, ad esempio, li posso comprare per investimento e raramente per passione, se non altro per motivi di spazio. In altri casi è esattamente il contrario. Compro l’opera di un certo autore perché mi piace e poi continuo comprandone altre quindici. Una collezione, appunto. Compro un orologio perché mi piace e poi continuo a comprarne altri, quindi la prima domanda che bisogna farsi è: ma i miei figli o uno di loro ha la mia stessa passione?. È una domanda importante perché il figlio con la passione probabilmente conserverà la collezione. Ma i figli cui non importa nulla dei miei orologi, ricevono gli asset e li vendono.

Rischiano di venderli malissimo…

Stefano Loconte: Il rischio c’è ed è forte. Ma in questo caso posso implementare dei meccanismi giuridici finalizzati alla vendita, ma cum grano salis. Mi spiego. Ho dodici Patek Philippe, ma nessuno può ragionevolmente riversarli contemporaneamente sul mercato. Così facendo distruggo il mercato e rischio di vendere ad una frazione del valore. Allora coso posso fare, come genitore di figli che non hanno la mia stessa passione? Costituisco un trust, metto i beni, i miei orologi, tutti in questo trust, ma con la regola che possono essere venduti solo cum grano salis e il ricavato va ai figli. A questo punto la vendita verrà affidata a soggetti esperti che valutano come andare sul mercato, quando e con che valore.

Quindi sapere oggi cosa i miei figli faranno di questi asset è fondamentale. Siccome capita spessissimo che i figli questa passione non ce l’abbiano, allora nel loro interesse – se non vuoi che tutto vada disperso anche in termini economici – devi accettare emotivamente questo fatto. E agire di conseguenza. Razionalmente. È così che preservo almeno il valore della mia collezione.

E se ai miei figli non interessasse nulla dei miei orologi, ma vorrei che la collezione mi sopravvivesse?

Stefano Loconte: È un caso quasi estremo. Posso sempre ricorrere a un trust, a una fondazione, dettando però regole per far sì che la collezione rimanga sul mercato e definendo io stesso le specifiche regole d’ingaggio. Ad esempio decidendo cosa possa eventualmente essere venduto e cosa no. Parliamo quindi di qualcosa che risulterebbe non necessario nel caso di un patrimonio immobiliare o finanziario. «Caro figlio hai ricevuto delle azioni dell’Intesa San Paolo. Se non ti piacciono le vendi, vai sul mercato c’è la borsa…». Eppure anche là, se ne hai tante e le vendi tutte assieme, corri il rischio che il titolo crolli. Bisogna far attenzione.

Questo vale ancora di più per asset per definizione volatili. Se vado sul mercato e propongo in una sola volta i dodici Patek di cui si diceva prima, è probabile che quel mercato si inflazioni. Oppure, se mi rivolgo a una casa d’aste per alienare tutti e dodici i Patek, e poi la casa d’asta non è riuscita a venderli perché non era il momento… Allora vendo malissimo e il mercato crolla.

E se invece non avessi eredi? Cosa ne faccio della collezione?

Stefano Loconte: Tecnicamente ne puoi fare quello che vuoi. Perché la differenza tra avere degli eredi o no sta nel decidere se devo lasciare qualcosa a qualcuno e se devo rispettare eventuali quote per gli eredi legittimari.

E se la mia collezione fosse in cassaforte?

Stefano Loconte: Allora dipende. Se si tratta di una cassetta di sicurezza in banca, l’apertura viene fatta con un notaio, per legge, e tutto viene catalogato. Se la cassaforte fosse in casa sarebbe comunque bene che l’apertura fosse in presenza di un notaio. Nessuno può escludere che fosse stata aperta prima, però è un valore aggiunto.

Ma io non ho eredi, avevamo detto.

Stefano Loconte: Beh, qualcuno andrà ad aprirla. Se chi l’ha aperta ritiene che un erede ci sia, ma non si riesce a trovarlo, l’eredità viene definita “giacente”, nel senso che esistono dei beni appartenenti ad una persona irreperibile. Se invece gli eredi non ci sono proprio, allora eredita lo Stato. Il Codice Civile non ammette quel che i latini avrebbero chiamato res nullius, “la cosa di nessuno”.