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Gli orologi che vorrei: “dress watches” e dintorni

Ok, è il mio turno. Tocca a me raccontarvi gli orologi che vorrei – ammesso che ve ne freghi qualcosa. Premetto che mi piacciono gli orologi “da uomo”: non per fare differenze di genere, ma perché ho il polso abbastanza grande da poter portare senza problemi un 40 mm. Ma la mia scelta – semplice di per sé: ho le idee chiare – è stata complicata dal fatto che il Veroni ha pubblicato il suo elenco per primo.

Peccato che alcuni modelli dei suoi sogni fossero anche nei miei sogni. Quindi ho dovuto cedergli qualcuno dei miei preferiti per poterne tenere altri che piacevano anche a lui. Un po’ come si faceva da bambini con le figurine dei calciatori: “Ti do Zoff in cambio di Rivera” (e non importa se non li conoscete). Perché la regola era: non ripetere in nessun caso gli stessi marchi, mai fare dei doppioni. Altrimenti chi li sente tutti? Sai quante polemiche da parte delle case e dei lettori… Par condicio, la chiamano.

Altra premessa: non sono una collezionista, eccetto per gli Swatch accumulati fra gli anni Ottanta e Novanta – come tutti quelli della mia generazione. Quindi molti degli orologi che vorrei li desidero da tempo immemorabile, soprattutto quelli che fanno parte della storia dell’orologeria. Perché sì, lo ammetto: alcuni sono così classici che più classici non si può. Al punto tale che (già immagino) mi pioveranno addosso tonnellate di critiche: «Che noia – che palle, sono tutti uguali – ma un po’ di fantasia no?», e via andare. Con tante variazioni sul tema, più o meno colorite, perfino irripetibili…

Ma che ci volete fare? Sono una monomaniaca. E poi non sta a voi decidere gli orologi che vorrei io. A me piacciono questi, poi verrà anche il vostro turno. Oltretutto, come si dice?… De gustibus non disputandum est (sui gusti non si può discutere). Eviterò di tirare di nuovo in ballo la “saggezza” di Luca, il mio compagno di liceo. E citerò invece Gioacchino Belli (1791/1863), grande poeta vernacolare noto per i suoi Sonetti romaneschi. In cui scriveva proprio: “Su li gusti nun ce se sputa”.

Ultrapiatti, quintessenza dello chic

Comincio con gli ultrapiatti, esemplari che mi affascinano fin da quando ho cominciato a occuparmi di orologi. Perché sono semplici e complicati allo stesso tempo, cioè nascondono la complicazione proprio dietro la purezza del design. E comincio proprio dalle due marche storicamente specializzate nel genere: Piaget e Vacheron Constantin.

L’Altiplano di Piaget è così famoso da non aver bisogno di presentazioni. Esiste in tantissime varianti, ma io (ovviamente) ho scelto la più essenziale: cassa in oro rosa, di 38 mm di diametro per 6,4 mm di spessore, e movimento meccanico a carica manuale di soli 2,1 mm. Che poi è il calibro 430P, pronipote del celeberrimo 9P – a lungo il movimento più sottile del mondo. Anche se io, sinceramente, dei record me ne faccio un baffo, la maison prende la questione molto sul serio: non per niente ha adottato un fondello “chiuso” per risparmiare preziosi millimetri che il consueto oblò in vetro zaffiro avrebbe aggiunto inutilmente. Per averlo, dovrei spendere 17.400 euro.

Poi c’è il Patrimony Manuale di Vacheron Constantin. Anche questo è declinato in parecchie versioni, ma io lo vorrei sempre con la cassa in oro rosa (tutt’al più in oro giallo). E non venitemi a dire che è il clone dell’altro, non vedete come sono diversi? Qui le dimensioni sono 40 per 6,8 mm, e il quadrante è completamente differente, con le lancette e gli indici dorati e la minuteria puntiforme. Ok, anche questo è animato da un movimento meccanico a carica manuale, che però misura 2,6 mm di spessore: il calibro 1400, sempre di manifattura e con tanto di Punzone di Ginevra ad attestarne la qualità. L’orologio ha un prezzo di 20.200 euro.

Chiude la triade (anzi la trimurti, perché ha qualcosa di sacro) il Breguet Classique 5147. Anche di questo orologio si moltiplicano le versioni, ma personalmente lo preferisco con la cassa in oro bianco, di 40 x 6,1 mm, e il quadrante in smalto Grand Feu, che rasenta la perfezione. Al di là dei numeri arabi in corsivo, delle lancette “à pomme evidée” azzurrate alla fiamma, quel che attrae inesorabilmente lo sguardo è l’insolita posizione del contatore dei secondi continui, fra il 5 e il 6. Il calibro 502.3SD, sempre di manifattura, è sottile 2,4 mm nonostante sia a carica automatica. Ah, ha anche la spirale e i corni dell’ancora in silicio. Per questa meraviglia ci vogliono 21.300 euro.

La storia, che passione

Non so se c’entra la mia passione per la Storia, ma tra i miei favoriti ci sono alcune pietre miliari dell’orologeria.

Primo: il Tank de Cartier, un orologio vecchio più di un secolo. Datato 1917, in piena guerra, secondo la tradizione sarebbe ispirato a un carro armato; anche se oggi, in epoca di politicamente corretto, si tende a spiegarne il design come figlio dello spirito del tempo, l’Art Déco. Comunque sia, da allora è soggetto a periodici ritocchi da parte della maison. Anche in questo caso io vorrei la versione più fedele all’originale, il Tank Louis Cartier: con la cassa in oro rosa e il calibro 8971 MC di manifattura, a carica manuale. Sul quadrante flinqué spiccano le lancette a gladio azzurrate alla fiamma, i numeri romani e la minuteria chemin-de-fer.

Mentre sulla carrure la caratteristica corona oblunga culmina nello zaffiro cabochon. Mi piacerebbe con il cinturino nero, o anche con il bracciale in oro rosa. In questo caso costerebbe 29.200 euro.

Sempre in tema di Art Déco, non può non esserci il Reverso di Jaeger-Le Coultre. Altro esemplare dalle origini leggendarie: si dice che la cassa reversibile sia stata concepita per esporre all’esterno il fondello e resistere ai colpi delle partite di polo giocate dagli ufficiali dell’esercito britannico in India. Nasce nel 1931 e oggi – 90 anni dopo – esiste in innumerevoli modelli, ma il mio preferito è il Reverso Classic Duetto.

Che da un lato ha il quadrante grigio argentato, satinato e guilloché, con lancette a gladio azzurrate alla fiamma; e dall’altro nero, laccato e guilloché, con lancette Dauphine in oro; il “retro” è anche ornato di due file di diamantini (0.42 ct in totale). Meccanico a carica manuale – calibro 854B/2 di manifattura -, costa 22.600 euro.

E poi c’è il Grande Seconde di Jaquet Droz, che va ancora più indietro nel tempo: prende ispirazione da un orologio da tasca realizzato nel 1784 da Pierre Jaquet-Droz. Cassa in oro rosso e movimento meccanico a carica automatica, con 68 ore di autonomia, colpisce per la particolare visualizzazione, con indicazione decentrata di ore/minuti e grande contatore dei secondi. A dire la verità sono molto incerta fra la versione Ivory Enamel, cioè con quadrante in smalto Grand Feu, e quella Off-Centered (che ha i “grandi secondi” spostati a ore 7) con quadrante in giada nera (che è pure in edizione limitata di 88 esemplari). Una bella lotta…

Posso considerarli entrambi negli orologi che vorrei? Tanto sono solo sogni…

Quadranti speciali

Quest’ultimo orologio comunque introduce un’altra mia fissa: i quadranti in materiali insoliti. Pietre dure soprattutto, ma non solo. Tipo l’avventurina, che esiste come pietra ma è estremamente rara. In orologeria si usa perlopiù la riproduzione in vetro, tempestato di “inclusioni” di rame e altri minerali che donano il particolare scintillio.

Come nel caso del Saxonia Thin di A. Lange & Söhne. «Un altro ultrapiatto», direte voi… Ebbene sì. Quest’anno è uscito anche con la cassa in oro rosa, ma io preferisco sempre quello in oro bianco. Ma non starò qui a decantarne le lodi: vi rimando a quanto ho già scritto a proposito lo scorso anno. Qui aggiungo solo che è l’orologio “giusto” anche per le notti di festa, per esempio le prossime di Natale e Capodanno, e non soltanto per il 10 agosto. E ricordo il prezzo: 23.600 euro.

Quindi c’è il 1966 Infinity Edition di Girard-Perregaux, che ha il quadrante realizzato con una gemma “vera”: l’onice. Anche di questo orologio ho già ampiamente scritto altrove ed evito quindi di ripetermi. Certo, è l’ennesimo “dress watch” e appartiene a una famosa collezione della Manifattura dal nome che è già tutto un programma. E che mi piace in tutte le referenze, anche quelle complicate. Ma questo esemplare ha quel qualcosa in più proprio per l’onice nera, che gli regala un particolare effetto materico e una nuova profondità; in più si presta al gioco cromatico dei dettagli, con quei tocchi di oro rosa che ne ravvivano l’estetica. Grazie alla cassa in acciaio ha un prezzo quasi accessibile: 10.400 euro.

Da un nero profondo a un nero ancora più profondo: quello del quadrante in Vantablack dell’Endeavour Perpetual Moon Concept di H. Moser & Cie. Il Vantablack è un materiale composto da nanotubi di carbonio (allineati verticalmente), in grado di assorbire il 99,965 per cento delle radiazioni dello spettro visibile, cioè della luce. Il che vuol dire “il nero più nero” in assoluto o quasi: non per niente in ambito artistico se n’è appropriato Anish Kapoor… Un (non) colore enfatizzato al massimo dallo stile minimal del marchio e reso qui ancora più impressionante dal contrasto con il bianco della luna.

A proposito, la complicazione astronomica è super-precisa: l’indicazione delle fasi lunari accusa uno scarto di 0,23 secondi al giorno e quindi deve essere corretta di un giorno ogni 1.027,3 anni. Merito del calibro HMC 801 a carica manuale, chiaramente di manifattura, con 7 giorni di autonomia. Uscito nel 2018 in un’edizione limitata di 50 esemplari, con cassa in acciaio, questo orologio è ormai introvabile.

In conclusione

Non rientra nelle categorie qui sopra, e quindi lo tratto a sé. L’ultimo degli orologi che vorrei è il Monsieur de Chanel nella versione originaria, con cassa in oro beige di 40 mm e quadrante opalino. Monta il primo movimento di manifattura Chanel, il calibro 1, appunto: a carica manuale, con 70 ore di autonomia, ore saltanti e minuti retrogradi. Anche di questo orologio ho già scritto in abbondanza, più volte (il pezzo più recente lo trovate qui), quindi accenno solo al prezzo: 37.500 euro. Per concludere, vorrei precisare riguardo allo Chanel: last but not least. Perché non vi ho esposto gli orologi in un ordine tipo classifica, dal più desiderato al meno importante. Ma in un elenco che li mette tutti sullo stesso piano. Il che vuol dire che li vorrei tutti, ma proprio tutti. In blocco.