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Laura Gervasoni, Patek Philippe e il senso della misura

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Ricordo bene quando ho visto per la prima volta Laura Gervasoni. Vicenza, fiera della gioielleria e dell’orologeria, 1999. Lei era appena arrivata in Patek Philippe. Ufficialmente doveva occuparsi delle pubbliche relazioni, ma era subito chiaro quanto fosse lontana da un ruolo che richiede un carattere totalmente diverso. E infatti poco tempo dopo – in relazione ai tempi biblici dell’orologeria – arriva la nomina a Direttore generale della filiale italiana di Patek Philippe.

Era il 2006 e in tanti, rosi dall’invidia, non scommettevano un centesimo su una donna alla guida della filiale di Patek Philippe. Perché dovete capire che in orologeria esistono due mostri sacri: Rolex, per le dimensioni e per la popolarità del marchio; e Patek Philippe, perché Patek è il vero specchio della grande orologeria svizzera. E una donna a gestire la rete commerciale di un Paese non propriamente femminista come l’Italia… In tanti erano rosi dall’invidia.

Per non parlare della stessa Svizzera che, vale la pena ricordarlo, solo nel 1971 ha riconosciuto alle donne il diritto di voto. Erano in tanti a considerare Laura Gervasoni un personaggio di transizione prima che mani maschili impugnassero il volante di Patek Philippe Italia. Laura è ancora qui, ancora un riferimento. Apprezzata per il suo lavoro, per il patrimonio professionale che ha saputo costruire negli anni, mattone dopo mattone.

Ricordo che nei miei primi giri in Svizzera, nelle fabbriche le donne lucidavano le casse degli orologi e li esaminavano per il controllo della qualità…
Laura Gervasoni: Sì, facevano lavori manuali, ripetitivi, che richiedevano più pazienza che abilità.

In questo senso Patek Philippe, attraverso Philippe e Thierry Stern, si è dimostrata una vera e propria pioniera del cambiamento. Tu hai avuto percezione di questa trasformazione?
Laura Gervasoni: A dire la verità solo fino ad un certo punto. Quando sono entrata, sicuramente non conoscevo il settore, cioè lo conoscevo solo da un certo punto di vista. E quindi non avevo la percezione di come la donna venisse considerata in Svizzera. Venivo dalla vendita di pubblicità e in Italia la situazione delle donne era comunque migliore. Ma l’ho scoperto più avanti.

Conoscevo alcuni tipi di dinamiche, alcuni protagonisti, conoscevo i marchi e la loro importanza. Non era molto. Forse non mi sono resa conto subito in che mondo stavo entrando, un mondo di interesse davvero straordinario, come poi ho capito con il tempo. Sì, ci sono stati notevoli cambiamenti perché oggi molte colleghe occupano posizioni importanti. E però credo che ormai sia giusto abbandonare questa eterna contrapposizione fra uomo o donna. Concentriamoci piuttosto nel capire se la tua azienda sa riconoscere determinate capacità e quali. Cerchiamo di capire se ti vengono date delle opportunità. Che tu sia uomo o donna.

In un’intervista, parecchi anni fa, Philippe Stern mi disse esattamente la stessa cosa. «A me non interessa il sesso di una persona, ma quel che sa fare e quel che penso potrà fare in futuro, come potrà crescere».
Laura Gervasoni: Ed è vero. Sono entrata come responsabile ufficio stampa, relazioni esterne, quindi non ricoprivo ancora il ruolo attuale che è arrivato nel 2006. È stata una loro scelta: ho sempre percepito il fatto che la direzione cercasse, rispetto a un top manager super-laureato, più un profilo che potesse inserirsi bene nel contesto Patek Philippe, nelle sue dinamiche.

Patek Philippe ha sempre avuto un proprio modo di rapportarsi con i negozianti, un atteggiamento che non ha cambiato neanche quando l’irruzione delle multinazionali finanziarie ha cambiato la scena. Vendita secondo ferree leggi commerciali. Adesso in molti stanno facendo marcia indietro. La pandemia ha rimesso in primo piano il pubblico locale, che mi sembra Patek non abbia mai abbandonato.
Laura Gervasoni: Da ormai molti anni, ben prima della pandemia, abbiamo organizzato un sistema complesso, marketing compreso, per riavvicinare la clientela locale. In accordo con i nostri punti vendita, ovviamente, vogliamo proprio “coltivare” la nostra bella Italia, insomma.
Ovviamente non abbiamo nulla contro i clienti stranieri, ma in Patek siamo da sempre convinti che ogni mercato locale deve vivere con le proprie forze. Questo eventualmente facilita il lavoro di aiuto quando viene a crearsi una situazione di crisi. In quel momento è possibile, e più facile, aiutare il singolo mercato.

Avere attenzione per i clienti locali magari comporta anche un po’ più di fatica, perché ci si rapporta in maniera diversa. Senza il muro di un’altra lingua, ad esempio, la fase di vendita è sicuramente più complessa. Implica domande, dubbi e la necessità di risposte più articolate. Ma è questo il nostro bacino d’utenza naturale e dobbiamo consolidarlo. Se ognuno, nella catena commerciale, riesce a far bene il proprio lavoro, allora il tuo cliente ritornerà, tornerà nel tuo punto vendita foss’anche per comprare altri oggetti. Non solo per un Patek Philippe. Tutti i nostri concessionari hanno anche altre marche di orologi o di gioielleria. È un lavoro molto più ampio e completo. È la creazione di un rapporto di fiducia. Se vai bene a vedere è la stessa cosa che vorresti tu quando vai a comprare qualcosa. Poterti fidare.

È un’impostazione tradizionale che però diventa moderna quando usa anche mezzi telematici. Il sito di una marca resta fondamentale per offrire una panoramica completa sui modelli disponibili e sulle caratteristiche tecniche di base. Stabilire con il compratore un contatto diretto di questo tipo non danneggia il negoziante. Al contrario.
Laura Gervasoni: Certo. Il nostro obiettivo è creare un primo contatto con clienti che – per le più svariate ragioni – non andrebbero subito in un negozio solo per chiarire dubbi di base, cui il sito può dare risposta. Ma dopo questo primo contatto non sono pochi i nuovi clienti che vanno dal concessionario.

E oltretutto un itinerario di questo tipo aiuta a scoprire anche altri modelli. Non solo quelli oggetto di speculazione.
Laura Gervasoni: È vero. Nel 2019 siamo riusciti a rifocalizzare la collezione Calatrava con variazioni che piacciono molto. Il nuovo movimento con indicazione della settimana, ad esempio, e con la cassa più grande, in acciaio, è piaciuto molto e proprio a un pubblico più giovane. Un Calatrava veramente ringiovanito, il 5212: che mantiene la propria identità, il proprio Dna, ma sempre senza esagerazioni. Patek Philippe vuole continuare a investire su tutte le proprie collezioni e non concentrarsi su quelle che vengono considerate solo status symbol. Perché per noi il nostro vero cliente apprezza Patek Philippe nella sua totalità. Senza dimenticare che il nostro fatturato nasce soprattutto dalle complicazioni.

Ed è con la ricerca sulle nuove complicazioni che si creano soluzioni tecniche innovative, brevetti e dispositivi inediti…
Laura Gervasoni: Certo. Patek ogni anno ottiene una notevole quantità di brevetti tecnici. Ma se vai a vedere bene negli ultimi anni abbiamo anche introdotto novità estetiche: quadranti e persino nuove forme per la cassa. E poi anse traforate, nuovi sistemi di finitura… No, non ci fermiamo.

Torniamo al mercato italiano. Al netto del calo dovuto alla mancanza di turisti, sembra che i numeri siano buoni, relativamente all’andamento medio europeo. Può essere questa, la chiave per costruire un mercato internazionale più solido? La salute delle singole nazioni?
Laura Gervasoni: Per noi la strategia di base non cambia. Mutano i modi: ad esempio con un buon uso dei mezzi telematici. Ma una delle cose fondamentali è tenere sempre sotto controllo il sell-out, ossia quanti modelli e quali  vengono venduti dai negozi, e a chi. È davvero importante conoscere a fondo cosa viene comprato dai clienti locali e cosa dai turisti. Solo così la Casa madre, in Svizzera, può calibrare le consegne ai nostri concessionari; e di conseguenza decidere una ripartizione in percentuale, in base a quanto il mercato locale può assorbire e quanto vogliamo destinare alla clientela straniera.

Già molti anni fa Philippe Stern, il padre di Thierry, mi aveva detto: «Noi ci basiamo sull’equilibrio dei singoli mercati. Il resto è un optional sul quale investire, sì, ma entro certi limiti, per evitare fluttuazioni troppo elevate».
Laura Gervasoni: Esatto. È la classica ciliegina sulla torta, lo straniero che visita il nostro Paese. Piacevole, certo, ma la vera torta è il proprio bacino d’utenza locale. È l’unico sul quale puoi contare, come abbiamo visto recentemente. Ripeto: è un lavoro che negli ultimi anni abbiamo voluto rifocalizzare con maggior precisione, ma sta portando risultati davvero soddisfacenti e soprattutto solidi. Certo, il repentino calo del pubblico straniero ha creato problemi nelle città a maggiore vocazione turistica, ma stiamo vedendo che i risultati sono buoni. Specialmente in relazione alla capacità di cambiare mentalità da parte dei concessionari, che però ci ha piacevolmente sorpresi.