Chiacchierata con Vittorio Colalillo, Ceo di LVMH Italia, e Andreas Albeck, Direttore marketing di TAG Heuer Italia. In serenità, al ristorante, dopo un buon piattone di pasta e niente vino perché poi si torna al lavoro. Il tema è quello – già affrontato – del mercato italiano degli orologi e, in particolare, dell’attenzione al compratore “locale”. Perché ora che i turisti sono merce rara anche nelle grandi città, a salvare capra e cavoli sono i negozianti di provincia e i loro clienti affezionati.
L’aspetto più interessante è che questo discorso viene finalmente recepito anche da una grande multinazionale del lusso, proprietaria di Bulgari, Zenith, Hublot e, appunto, TAG Heuer. Che sembra conoscere un periodo di forte crescita (la chiacchierata si è svolta in tempi pre-natalizi) forse proprio per questo atteggiamento. Che riporta direttamente ai valori della marca. Quelli veri, solidi. Valori del passato? Del futuro? Scusate il gioco di parole un po’ retorico, ma io parlerei di un tempo passato futuro.
Vittorio Colalillo: Sì, crediamo che i nostri clienti debbano vivere i valori della marca come propri. Viverli in prima persona: non basta più vedere l’orologio al polso di un testimonial che piace, e basta. Se vuoi costruire un futuro solido per il tuo marchio, devi capire (tu produttore, in primis) che una buona marca di orologi esprime specifici valori. Dopodiché questi valori devi trasmetterli al compratore finale con forme di comunicazione dirette e sincere. Dal marketing ai rapporti con la stampa e i negozianti devi saper chiudere un cerchio nel quale trovare questi valori. È così che il compratore finale può dare a ciascun marchio d’orologi un valore che sente appartenere a se stesso. Solo in questo modo puoi sentirti anche gratificato di essere proprietario di quel prodotto.
Un marchio che, come mi è capitato di scrivere proprio a proposito di TAG Heuer, avendo i tuoi stessi valori puoi considerare un amico “personale”.
Vittorio Colalillo: Sì, gli stessi valori. Come un compagno di crescita, un compagno di vita.
Anche perché l’amico non ti rifila fregature.
Vittorio Colalillo: Il tema della fregatura secondo me è sparito già da quando è iniziata la crisi. Ormai tutti, a qualunque livello, siamo interessati a comprare cose che ci diano certezze e solidità. Perché ci si rivolge sempre di più alle marche blasonate, a quelle “importanti”? Perché garantiscono sempre di più il ritrovarsi in qualcosa che senti come tuo. Un prodotto sicuro, che non ha intenzione né convenienza a fregarti. Un prodotto concepito piuttosto per farti vivere un certo tipo di esperienza, di emozione. E non parlo di emozioni transitorie, capricciose, ma di qualcosa che possa durare nel tempo, crescendo e cambiando nel tempo proprio come te. L’orologeria aborre l’obsolescenza programmata. Da sempre. E sono valori che stanno tornando, valori sempre più forti, con i quali costruire un rapporto si lunga durata. Se tu, compratore finale, lo desideri perché ti senti di condividere i valori del marchio.
Soprattutto in un mercato come quello italiano, che è abbastanza diffidente.
Vittorio Colalillo: Il mercato italiano secondo me sta avendo un ottimo ritorno, sta ripartendo molto bene. Sicuramente l’attenzione che oggi viene data al mondo dell’orologeria sta crescendo, tutte le marche stanno lavorando molto bene. E quindi anche il cliente finale lo percepisce, lo respira. E un po’ alla volta sta sicuramente tornando a essere più forte anche la curiosità, il desiderio per l’orologio in sé, come prodotto.
C’è, insomma, un lavoro meno egoistico da parte delle singole aziende: bisogna fare innanzitutto ciò che è bene per l’intero settore dell’orologeria svizzera. Non può far altro che bene, perché ci si ricomincia a informare in maniera seria, tramite strumenti importanti, strumenti ufficiali, anche attraverso i partner delle marche più importanti che sono in grado di trasferire non solo la storia del prodotto, ma anche, lo ripeto, i valori che esprime. Dopodiché il compratore finale farà le sue scelte, è chiaro. E qui entra in ballo la concorrenza fra le singole aziende, certo.
La mia impressione è che i compratori e gli appassionati scoprono in vari modi un orologio che attira la loro attenzione. Dopodiché la prima cosa che fanno è andare a informarsi sul sito del marchio, poi sulla rivista specializzata – su carta o digitale – di cui si fidano, e poi eventualmente vanno in negozio a verificare. Perché alcuni giornalisti – e noi fra loro – spieghiamo che se non lo tocchi, l’orologio, se non lo palpi, se non lo provi… come fai a scegliere? Questo risulta anche a voi?
Vittorio Colalillo: Sì, l’iter di acquisto è quello che hai descritto. Io credo moltissimo nella parte finale, che è quella del documentarsi e quella del rivenditore, perché più il negoziante è capace di far innamorare la persona del mondo, dell’ambiente, della piacevolezza di stare con lui nel suo negozio, più la vendita è facile. E soddisfacente per tutti. Perché per i rivenditori la vendita occasionale è benvenuta, ma il cliente affezionato è una soddisfazione totale. Il risultato del buon lavoro fatto.
Quindi anche per qualche multinazionale la figura del rivenditore sta tornando ad essere importante?
Vittorio Colalillo: Per me il rivenditore è fondamentale. Oggi, in questo mercato che il Covid sta letteralmente frullando, noi abbiamo visto negozianti che sono emersi e altri che sono un po’ finiti in secondo piano. Quelli che sono emersi sono più contemporanei, hanno lavorato tanto sul punto vendita, sulla preparazione, sulla piacevolezza delle vetrine. Prima vedevamo vetrine drammatiche, polverose, oggi invece troviamo vetrine più attraenti. Basta guardare quanto investe la moda sulle vetrine: Moncler, Prada, Vuitton, anche in casa… E noi perché no?
Andreas Albeck: Queste vetrine devono far sognare, devono creare una situazione che sappia farsi apprezzare. Ed è un lavoro che il marchio deve saper gestire e condividere con il negoziante. Questo punto è ancora fondamentale.
Vittorio Colalillo: Sì, paradossalmente questo problema nato col Covid ha riportato in primo piano l’importanza del rivenditore locale. Che è sempre stato fondamentale, certo. Ma c’è stato un periodo in cui si era un po’ persa l’attenzione, accecati da situazioni di mercato diverse, da momenti diversi, anche magari dalla volontà di pensare di poterli gestire solo su canali alternativi.
Comunque TAG Heuer, credo, ha sempre creduto che soprattutto in un mercato come quello italiano il rapporto che il cliente finale ha con il rivenditore sia fondamentale. E oggi questa tendenza è sempre più forte e solida. Molti negozianti hanno ripreso fiducia e stanno rilanciando anche con la bellezza del proprio negozio, stanno facendo degli investimenti. Il che sta riportando l’interesse: sta facendo sì che la gente passi dalla vetrina, si giri e si fermi a guardare. Ma bisogna ammettere che per certi versi alcuni negozianti stanno colmando una lacuna di alcune aziende.
Questa rinnovata attenzione ai rivenditori locali raddoppia il vostro lavoro, in un certo senso. Meno scrivania e più consumo di suole e pneumatici. Dovete correre di più in giro per tutta Italia…
Andreas Albeck: Certo! Ma è un raddoppio di lavoro anche per gli stessi rivenditori. Il punto è che oggi stiamo andando molto rapidamente, ogni fase del lavoro è più veloce e quindi non sempre è facile tenersi sempre sincronizzati con la necessaria rapidità. Anche se devo dire che in questo la tecnologia può essere di grande aiuto.
Quanto giorni passate in giro, di negozio in negozio, dai rivenditori TAG Heuer?
Andreas Albeck: Noi due generalmente giriamo tantissimo. Giriamo tanto e questo è sempre stato importante per percepire il clima, per tenere sotto controllo diretto la temperatura del mercato italiano.
Vittorio Colalillo: Che poi tutto ciò vada integrato con il nuovo mondo della comunicazione è fuor di dubbio. Però è, appunto, un’integrazione, un’aggiunta a quel che comunque deve essere la base focale del punto vendita. Lavorare in sintonia con i negozianti. Poi è ovvio che la strategia distributiva varia di marca in marca, ma quando hai la tua rete di distributori e rivenditori devi lavorare a stretto contatto. Sempre che tu voglia creare un rapporto onesto, e quindi solito, con i compratori finali.