Una delle caratteristiche del Bel Paese, parlando di antica rappresentazione del tempo, era quella di misurare le ore contandole da 1 a 24. Si potrebbe obiettare che in fondo non c’è nulla di diverso da quanto avvenga oggi, dato che tante sono le ore di una giornata. Ma in passato lo scadere della ventiquattresima ora non era su quella che noi chiamiamo oggi mezzanotte. E ben presto – con la sola eccezione degli astronomi – si ritenne che fosse più semplice dividere in due intervalli di dodici ore la scansione della giornata. Anche se i Paesi di espressione tedesca contavano anch’essi in 24, questo sistema è tipico degli antichi quadranti italiani. E proprio per questo si parla di “ore italiche” (ma talvolta potrete trovarlo anche scritto Hora Italica, in latino).
Stagione e latitudine
Le ore monastiche, chiamate anche canoniche, già dividevano il giorno dalla notte, assegnando ad ognuna di queste parti dodici ore uguali. Ne risultava, naturalmente, che d’estate le ore diurne fossero più lunghe di quelle notturne e che l’inverno invertisse le proporzioni. A complicare ulteriormente la cosa, il tutto era anche funzione della latitudine del luogo in cui si effettuava la misura, incrementando la differenza all’allontanarsi dall’equatore.
Gli orologi meccanici a pesi, per propria natura, segnano ore di uguale durata: anche se possibile, è comunque estremamente complesso creare un segnatempo che automaticamente tenga conto, seppure calcolato per una data latitudine, di questa variazione nell’arco dell’anno. Torneremo sul tema.
Il computo orario cosiddetto all’italiana – le antiche ore italiche, appunto – in più faceva coincidere la fine della giornata civile non con la mezzanotte, ma con il tramonto. In funzione delle regioni e dei momenti storici, la fine della giornata, contrassegnata dallo scoccare della ventiquattresima ora, poteva essere anticipata di una mezz’ora rispetto alla calata del sole, ma era fondamentalmente legata al tramonto, anch’esso funzione della latitudine e della stagione.
Le anomalie della grafica
Oltre che per questa loro rappresentazione in 24 ore in sequenza, gli antichi quadranti con le ore italiche ci colpiscono per il metodo grafico adottato. Negli esemplari più arcaici le cifre erano tracciate in numeri romani senza l’uso della modalità sottrattiva: il numero 4 non era il IV del mondo classico, ma era più ingenuamente riportato come IIII. Così le 19 non erano indicate come XIX, ma come XVIIII, ed analogamente per le altre ore. La posizione delle 24 non era definita in modo convenzionale: abbiamo esempi di quadranti antichi in cui il fine giornata si trova dove ora immaginiamo le ore 6, oppure le 3, oppure le 9.
I numeri romani non erano, come recente consuetudine, tracciati in modo che l’asse verticale del numero fosse allineato e sovrapposto al raggio corrispondente all’ora; erano invece scritti lungo il raggio stesso, con uno stile tutto italiano tecnicamente definito come “ad ore giacenti“, che stupisce sempre gli appassionati stranieri. Per fare un esempio, basti pensare al famoso orologio di Santa Maria del Fiore, a Firenze, con il quadrante dipinto da un grande artista dell’epoca, Paolo Uccello, nel 1443.
Inoltre, dividendo un quadrante in ventiquattro sezioni, a parità di diametro l’angolo disponibile per ogni ora è la metà di quello che l’osservatore vedrebbe se le ore indicate fossero solo dodici. In un’epoca in cui la lancetta era solitamente una sola, corrispondente alle ore, la risoluzione angolare offerta da un antico quadrante con l’ora italica permetteva una precisione inferiore nella stima della porzione d’ora, rispetto ad un più ampio e nitido quadrante in 12. Fortunatamente, nel mondo tardomedievale il concetto di puntualità era più lasco.
Le ore italiche in 12+12
Già nel XVI secolo si iniziò a notare anche che con le ore scandite in 24 dalla campana era facile perdere il conto dei rintocchi. Molti orologi furono così convertiti, talvolta modificando i rapporti tra le ruote e trasformando il quadrante in 12; oppure lasciando inalterato il moto della lancetta, ri-tracciando il quadrante in 12+12 e adeguando i rintocchi al nuovo metodo, ridotti alla sola dozzina. La suoneria in 2 x 12 risultava inoltre meno sollecitata meccanicamente e richiedeva meno fune di carica, a parità di durata.
Tutti italiani, e tipicamente legati allo Stato della Chiesa, sono anche i quadranti in 6. Ma di questi racconteremo in un’altra occasione…