Protocollo. È la parola chiave.
Per chi, come me, da qualche mese si deve confrontare con seri problemi di salute (per i più curiosi: un tumore, un mieloma con il quale sembra possibile scendere a patti), la parola protocollo assume significati nuovi e importanti.
Un primo esempio banale: prima della somministrazione d’ogni medicinale (e sono davvero tanti) lo straordinario personale della nostra Sanità mi chiede nome, cognome e data di nascita, con una implacabilità che all’inizio mi porta a ritenere che stessero calcolando il mio grado di rincoglionimento rispetto al protocollo sanitario, appunto. In realtà verificano che la mia risposta corrisponda a quanto scritto sui medicinali stessi tramite un codice a barre, con una conseguente riduzione delle possibilità d’errore. Il medico che dirige il gruppo di lavoro incaricato di occuparsi di me può farsi un fine settimana o una vacanza proprio perché lascia al resto del gruppo un protocollo operativo che lui stesso (e in caso di assenza o di emergenza chi nel gruppo ne assume la responsabilità) conosce e applica. Solo perché esiste, appunto, un protocollo.
In questi mesi qualcuno avrà notato che ho scritto molto poco. Una vera impossibilità anche fisica che però mi ha consentito di pensare, di pensare a molte cose. Domande, soprattutto. Una di queste suona così: è possibile esportare in orologeria il concetto di protocollo? Non parlo delle fasi produttive, del lavoro in fabbrica: lì già c’è. No, parlo di noi stessi, noi che ci occupiamo – a diverso titolo – di orologi e comunicazione. E non è possibile che questo protocollo venga condiviso ed elaborato con quanti dicono di essere o sono davvero “appassionati” di orologeria? La domanda è ovviamente retorica e implica un altrettanto ovvio sì. Vediamo un po’.
Il protocollo nasce dalle domande
La prima cose è collegare il cervello e ragionare con calma. Nessuna fretta. Perché bisogna cominciare dalle domande, quelle giuste, e le domande non sono mai una cosa facile.
Credo dovremmo iniziare dalle banalità e rivederle in chiave moderna.
Ad esempio: a cosa serve un orologio? La prima risposta che verrebbe alle labbra potrebbe essere: serve per dirmi che ora è, nella maniera più esatta possibile.
Beh, anche se la funzione primaria è questa, oggi nulla può battere l’indicazione di un dispositivo elettronico. Nemmeno il più straordinario orologio meccanico. E altrettanto vale per “complicazioni” che vanno dal cronografo al calendario perpetuo. Gli orologi – quelli da polso – sono spesso anche in grado di replicare, elettronicamente, funzioni di grande utilità. Uno dei miei miti, il Tissot T-Touch, è persino in grado di superare senza patemi d’animo quasi tutte le limitazioni relative alla durata della batteria. Lo trovo ancor oggi insuperabile.
La domanda, quindi, diviene: a cosa serve, oggi, un orologio da polso, specialmente se con movimento meccanico? Vi chiedo risposta. Fatelo come volete: una mail, un commento al post di oggi sui nostri social. Sono consentite dosi moderate di insulti (e però dovete concederci diritto di replica altrettanto ricca di insulti: vi conviene?)… Ma esprimetevi, per favore: non sprecate una buona occasione per dire la vostra, in maniera né troppo scema né troppo incazzosa.
L’importante è chiedersi perché
Ho chiesto come si crea un protocollo efficace, e mi è stato risposto che le fondamenta devono poggiarsi su un solido mare di perché. Sappiamo tutti che la nostra burocrazia è storicamente poco agile perché cavillosa, sempre tesa a pararsi le spalle piuttosto che dare strumenti, magari su più livelli, ai cittadini. Così fosse anche in materia di protocolli sanitari, i pazienti farebbero in tempo a morire tutti prima di iniziare qualunque cura. Qualcuno di voi mi dirà che è proprio quel che accade e si dichiarerà disposto a fornirmene le prove. Non ne dubito.
Nella Sanità, come altrove, ci sono cose che non vanno anche nelle eccellenze più invidiabili. Poniamo che ci sia un 80% di cose che vanno bene, un 20% di cose che non vanno e, all’interno di questo 20%, una buona metà sia in realtà costituita da cose che non abbiamo capito. Anche perché ognuno fa il proprio mestiere. Se noi partiamo dal 10% di negatività, giudicando per questo tutto in negativo, non ne usciremo mai. E la medicina, come tanti altri settori essenziali, non è una scienza esatta. Anche se lo vorremmo tanto. Ma se proviamo a partire dal tanto, tantissimo che c’è di positivo, allora la prospettiva cambia radicalmente. Specie se cerchiamo di comprendere meglio i perché positivi dei protocolli.
Altrettanto dovremmo fare (e vi invito a farlo) sull’orologeria. La cosa è ancora più importante dal momento che l’orologeria svizzera di qualità sta mutando in maniera tanto sensibile che alcuni produttori “esoterici” stanno addirittura eliminando i propri punti vendita per offrire ai collezionisti un rapporto diretto e personalizzato. Certo, ciò comporta spesso aumenti di prezzo difficili da comprendere. Che però – alcuni cominciano a capirlo – non nascono tanto dal desiderio di maggiori guadagni, quanto dall’aumento delle spese, come sono certo vedremo presto in uno dei prossimi articoli sui protocolli in orologeria.
Vi invito, quindi, ad abbuffarci di perché, dei quali ovviamente poi discutere di volta in volta. Perché costituiranno la spina dorsale di un codice (un protocollo) che sarà utile a tutti per comprendere meglio i cambiamenti in atto, ma senza passare da un’incazzatura all’altra. Al contrario, avvicinandoci ad un modo più artistico e meno commerciale di intendere l’arte della micromeccanica.