La storia del Giappone ci presenta una Nazione chiusa in un feudalesimo tradizionalista, nel più totale isolazionismo materiale e intellettuale, sino al XVI secolo. Fu in quell’epoca che l’Occidente cominciò a entrare in contatto con una cultura millenaria, quella nipponica, ricca di tradizioni raffinate ma in cui mancavano completamente gli orologi meccanici. Non esistevano antichi orologi giapponesi.
L’arrivo di un orologio meccanico
Una leggenda vuole che sia stato San Francesco Saverio (1506/1552) a donare allo Shogun Tokugawa Ieyasu un orologio meccanico a lanterna. Dall’analisi e dalla replica del semplice esemplare, che venne studiato e compreso dai tecnici locali, nacquero gli antichi orologi giapponesi. Il pendolo non era ancora stato inventato.
Nel 1639 iniziò per il Paese del Sol Levante un nuovo periodo di chiusura culturale verso l’estero, che lo isolò che per oltre due secoli. Come conseguenza, gli antichi orologi giapponesi continuarono a ispirarsi a soluzioni che in Occidente erano state superate, in compenso adattandole ingegnosamente all’uso locale, molto interessante, di misurare il tempo.
Il computo delle ore nella tradizione nipponica
La giornata era composta da dodici ore: le ore di luce del giorno erano sei, e altrettante erano le ore della notte. Ogni ora nipponica durava l’equivalente di due ore occidentali. Il computo delle ore alla giapponese avveniva da 9 a 4, in progressione decrescente, da mezzogiorno alla mezzanotte. Non si utilizzavano però le ore da 1 a 3 per ragioni religiose, dato che i rintocchi da 1 a 3 colpi erano tradizionalmente utilizzati dai monaci buddisti per chiamare alla preghiera.
Le ore in sequenza inversa derivavano dall’antico metodo di misura del tempo ottenuto mediante bastoncini di incenso accesi, che si consumavano, divenendo più corti, man mano che il tempo passava. L’alba e il tramonto corrispondevano, nel sistema giapponese, alle ore 6.
Le ore variabili degli antichi orologi giapponesi
Le ore in Giappone seguivano il criterio detto delle “ore temporali“: la durata del giorno e della notte era suddivisa in un numero uguale di ore, pari a sei, che alle diverse latitudini e nelle varie stagioni avevano durate differenti. Questo metodo, utilizzato anche in Europa per il computo delle ore canoniche nella vita monastica – anche se basato su due sequenze di dodici ore -, prende appunto il nome di “ore temporali”. Le ore temporali sono così chiamate per distinguerle dalle ore equinoziali, nelle quali in ogni stagione dell’anno ognuna delle ore ha la stessa durata, come nei giorni degli equinozi.
Inoltre, a ogni ora della giornata giapponese era associato un segno dello Zodiaco orientale. A partire dall’alba, le sei ore in cui era divisa la giornata di luce erano, per le ore del giorno così caratterizzate:
Ora giapponese | Segno zodiacale | Momento della giornata |
6 | Lepre | Alba |
5 | Drago | |
4 | Serpente | |
9 | Cavallo | Mezzogiorno |
8 | Ariete | |
7 | Scimmia |
E corrispondentemente, per le ore della notte:
Ora giapponese | Segno zodiacale | Momento della giornata |
6 | Gallo | Tramonto |
5 | Cane | |
4 | Cinghiale | |
9 | Topo | Mezzanotte |
8 | Bue | |
7 | Tigre |
Orologi di tipo diverso, derivati da un unico archetipo
Le tipologie degli antichi orologi giapponesi sono, sostanzialmente, cinque. Prima di tutto gli orologi da interni da appoggiare a terra, su un piedistallo sovente a forma di tronco di piramide quadrata, a pesi. Poi quelli da interni da mensola, sempre a pesi. Quindi la versione da appoggio, a molla. Ancora, gli orologi da parete di forma verticale, detti in inglese stick, anch’essi azionati a molla. E infine gli orologi da persona, da portare legati alla cintola, custoditi in preziosi contenitori, chiamati inro.
Pur se di diverse forme e dimensioni, si trattava di modelli tutti derivanti da un medesimo prototipo. Era presente una campana per la suoneria, di rado qualche complicazione: di solito, il calendario.
Alcuni si avevano un doppio foliot, cioè due bilancieri a barra, uno in azione durante il giorno e l’altro durante la notte. Era così possibile associare frequenze di oscillazione diverse, adattate alle diverse durate del periodo di luce e del periodo di buio. Le tipologie più comuni, in ogni caso, avevano un unico regolatore: sempre un foliot, oppure un bilanciere anulare.
La trovata geniale degli antichi orologi giapponesi
Affinché l’ora indicata dall’orologio riflettesse durante tutto l’anno l’ora tradizionale giapponese, in qualche modo si doveva variare la durata delle ore stesse, partendo da un dispositivo meccanico che conteggiava battiti sempre identici: la soluzione fu originale.
L’orologiaio doveva recarsi ogni quindici giorni presso il proprietario dell’esemplare per spostare le indicazioni delle ore sul quadrante, agendo sulla loro spaziatura. Le ore, infatti, anziché essere indicate in posizione fissa, come nei nostri quadranti, erano incise su cartigli mobili, che potevano scorrere lungo la fascia oraria. Era quindi possibile allontanarli o ravvicinarli, per rendere conto della maggior o minore lunghezza delle ore della giornata.
Nelle mire dei collezionisti
Gli orologi giapponesi tradizionali furono sempre realizzati per una committenza di alto rango: sono quindi rari e, in misura relativa alla loro qualità e al loro stato di conservazione, sempre pregiati. Più frequenti nelle aste internazionali, compaiono di rado sul mercato italiano, ambiti dai collezionisti di orologeria ma anche dagli appassionati di arte nipponica.