Protagonisti

Valeria Verga: colore ed empatia nel cuore di Milano

{"autoplay":"false","autoplay_speed":"3000","speed":"300","arrows":"true","dots":"true","loop":"true","nav_slide_column":5}
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image

«Chi entra in negozio non rischia certo di non riconoscermi: che io sia in tailleur o in abbigliamento formale, il mio colore di capelli non passa inosservato. Ormai fa parte non solo di me, ma anche del tocco personale che ho dato alla mia attività: basta vedere la nuova pagina pubblicitaria per capirlo». No che non passano inosservati i capelli fucsia di Valeria Verga, Presidente di Luigi Verga Orologi. Quel «colore decisamente non ordinario, che mi rappresenta in toto», come dice lei, è una firma grintosa nella boutique di orologeria e gioielleria di corso Vercelli a Milano, che nell’ultimo anno ha iniziato un restyling. «Per renderla ancora più vicino alla mia visione personale e capace di raccontare con coerenza la mia identità», spiega Valeria Verga in quest’intervista a tutto tondo tra l’andamento del business e le strategie di rilancio, racconti di vita e sogni. 

Estrosa ed estroversa: si riconosce in questi due aggettivi?
«Sono aggettivi che si legano molto bene alla mia personalità: mi ci rivedo molto, anche se la mia parte estroversa non sempre si esprime allo stesso modo, sa quando deve mediare. Quando lavori a contatto con il pubblico, devi avere la capacità di capire chi preferisce un approccio più formale e chi, invece, si esprime meglio quando si trova davanti una persona più aperta ed espansiva. Per quanto riguarda l’estrosità… ça va sans dire… basta guardarmi…».

L’accoglienza friendly è uno dei punti di forza della sua boutique? 
«Assolutamente sì: accoglienza ed empatia devono essere punti di forza imprescindibili. Chi entra in negozio − che sia un nuovo cliente o qualcuno che conosco da tempo − deve sempre avere la sensazione di sentirsi a casa e ben accolto. Mettere a proprio agio le persone le aiuta ad esprimersi meglio e permette anche a noi di comprendere più chiaramente le loro esigenze. In questo modo, non solo si crea un rapporto lavorativo solido, ma spesso nasce qualcosa che va oltre, e che molte volte si trasforma in una piacevole amicizia».

Un’amicizia nata in negozio?
«Ne potrei raccontare parecchie, limitarne una sola sarebbe riduttivo.
Quando si crea un fil rouge con la persona che hai di fronte, e da entrambe le parti c’è predisposizione all’ascolto e alla comunicazione, è naturale che la conversazione non si limiti all’orologeria. Si aprono mille porte, mille possibilità di scambio. E da lì nascono legami che, con il tempo e la fiducia, si trasformano in amicizie spesso molto forti e importanti. Tutto questo mi rende personalmente orgogliosa e profondamente felice».

Dopo l’esperienza del lockdown la componente umana è ancora più richiesta nella sua attività? O nota una maggiore chiusura da parte dei clienti?
«Subito dopo il lockdown, forse a causa del lungo periodo di isolamento, ho notato molta più diffidenza e timore nelle persone. Avevamo bisogno di riabituarci ad essere animali sociali, a ritrovare un po’ di fiducia in noi stessi e negli altri. Oggi, a distanza di anni, vedo invece una grande voglia di comunicare e di sentirsi parte di qualcosa. La mia realtà è piccola rispetto a molte altre, ma proprio per questo permette di creare legami autentici e un vero senso di appartenenza».

Le vendite stanno risentendo della congiuntura negativa? 
«Senza dubbio questo periodo rappresenta una sfida per molti settori, in particolare per quello del lusso. Non trattandosi di beni di prima necessità, è naturale che la nostra attività risenta maggiormente degli avvenimenti che accadono nel mondo e attorno a noi. Nonostante ciò, continuo a mantenere uno sguardo positivo: pur registrando un fisiologico, leggero calo, possiamo ritenerci soddisfatti di come stiamo affrontando questa fase. Il lavoro, fortunatamente, non manca e gli appassionati di orologi restano sempre curiosi di scoprire le novità e di venire a trovarci per un acquisto o una consulenza».

Quale strategia sta mettendo in atto per reagire?
«Affrontiamo il momento giorno per giorno: elaborare strategie a lungo termine avrebbe poco senso, poiché rischierebbero di dover essere modificate rapidamente. Stiamo investendo molto nella comunicazione, sia sulla stampa tradizionale sia sui social. Ci stiamo muovendo attivamente online e attraverso eventi, sia interni sia esterni al negozio. L’obiettivo è non perdere il contatto con il pubblico e coinvolgerlo in ogni nostra iniziativa».

Avete intanto avviato un rinnovamento della boutique.
«L’ultimo anno è stato un periodo di grande fermento, segnato da trasformazioni importanti e da un susseguirsi di iniziative che hanno dato nuova energia al nostro percorso. Tra i cambiamenti più significativi abbiamo avviato un restyling degli ambienti e un aggiornamento dell’immagine del negozio, Il progetto di rinnovamento è tuttora in evoluzione e nasce dal desiderio di creare uno spazio immediatamente riconoscibile, accogliente e in sintonia con chi lo vive. Parallelamente, continuiamo a sviluppare nuove collaborazioni, eventi e proposte. Prosegue anche la nostra partnership con il prestigioso Tennis Club Milano Alberto Bonacossa, cornice d’eccezione nella quale abbiamo vissuto un’esperienza particolarmente significativa in occasione dell’edizione 2025 del Trofeo Bonfiglio – Internazionali d’Italia Juniores».

In una precedente intervista al Giornale degli Orologi ha affermato di non avere alcun timore per la concorrenza digitale. Nel frattempo è cambiato qualcosa? Avete aperto la porta all’e-commerce e alle criptovalute?
«Rimango assolutamente della stessa idea di qualche anno fa: per vendere un orologio del genere devi poter raccontare una storia, spiegare le caratteristiche tecniche e non solo, devi saper creare un’emozione in chi lo indossa. L’orologio è un oggetto profondamente personale, parla di noi e ci rappresenta. Avere la possibilità di conoscerlo nei dettagli, comprenderne la creazione e poterlo provare sono, per me, caratteristiche indispensabili e imprescindibili. Non temo l’e-commerce, anche se so che il mondo evolve e che dobbiamo evolverci con lui. Per quanto riguarda le criptovalute, invece, non mi sento ancora predisposta: probabilmente perché non ho una preparazione adeguata nel settore, continuo a guardarle con un certo scetticismo».

La vostra clientela resta prevalentemente italiana? 
«Negli ultimi anni stiamo accogliendo con entusiasmo un pubblico sempre più internazionale, attratto dalla dimensione più riservata e genuina del nostro quartiere. La nostra clientela è estremamente variegata: ci sono gli abitanti della zona, i visitatori curiosi, gli appassionati che cercano marchi specifici e chi ama scoprire stili nuovi. In questo equilibrio si esprime la nostra visione: una boutique che vive profondamente il suo territorio e dialoga con il mondo».

I principali insegnamenti trasmessi da papà Valerio?
«Di insegnamenti ce ne sarebbero davvero tanti. Bastava guardarlo mentre lavorava, o ascoltarlo parlare e raccontare: ogni gesto, ogni parola era un insegnamento. Aveva quel modo tranquillo e misurato di raccontare che ti incantava, ti trascinava dentro le sue storie facendotele vivere come se fossi lì con lui. Tra i valori che più mi ha trasmesso ci sono sicuramente il rispetto, l’empatia, l’ascolto. Ma anche la professionalità, la serietà, l’onestà – personale e professionale. Potrei andare avanti ancora a lungo, ma non voglio annoiare nessuno… La verità è che non potrò mai aspirare a diventare come lui, ma mi basterebbe assomigliargli anche solo un pochino».

Ricorda la prima volta che ha affiancato suo padre al bancone?
«Purtroppo non ho avuto molte occasioni di passare del tempo dietro il bancone con papà, ma in quelle rare volte in cui è accaduto potevi solo ascoltarlo, osservare ogni suo gesto e assisterlo durante la vendita. Cercavi di assorbire il più possibile: conoscenze sull’orologeria, modi di fare, insegnamenti di lavoro e di vita. Non ricordo la primissima volta in assoluto, ma ogni volta con lui è sempre stata come una prima volta».

Studi in biotecnologie, specializzazione al Cnr… Valeria Verga si stava preparando a un futuro completamente diverso. Poi cosa è successo?
«Ho studiato biotecnologie a indirizzo medico e ho frequentato il Cnr per la specializzazione in medicina, ma purtroppo non ho portato a termine il percorso universitario. Dico “purtroppo” perché mi sarebbe davvero piaciuto proseguire su quella strada, ma a volte la vita ti mette davanti a un bivio. Nel mio caso, la scelta era tra continuare gli studi o aiutare papà nel negozio di corso Vercelli, in un momento in cui c’era bisogno di qualcuno della famiglia in rappresentanza. Sono felice della decisione che ho preso, anche se a volte mi chiedo quale sliding door avrei incontrato se avessi scelto diversamente. Non mi pento di nulla: anzi, oggi quella scelta mi fa sentire ancora più vicino a lui».

“Portare avanti la tradizione familiare, una scelta morale”, mi disse…
«E lo ripeto con assoluta convinzione. Portare avanti un’eredità che da anni fa parte della storia di Milano è sì un onore, ma anche un grande onere. Eppure ti fa sentire parte di qualcosa di bello, di solido, di profondamente radicato nella città e nel cuore dei milanesi».

Dagli studi medici le è rimasta la predisposizione a cercare di capire le persone?
«Sempre. E, se ci penso, il progetto iniziale era medicina, con specializzazione in cardiologia o neurologia. La mia curiosità per ciò che abita tra i pensieri e il cuore delle persone è rimasta la stessa: un tempo sognavo di poter togliere il “brutto” da quelle parti del corpo e curarle; oggi cerco di fare qualcosa di simile, ma attraverso l’ascolto. Non posso dire di comprendere tutto e tutti, ma il desiderio di farlo non mi manca mai».

La richiesta più strana e il cliente più “curioso” che ha ricevuto.
«Mamma mia… come rispondere a una domanda del genere? Forse è più complicata delle altre, proprio nella sua semplicità. Diciamo che ogni persona, a modo suo, è unica e speciale: ognuno può risultare particolare o curioso. Non esistono davvero richieste “strane”. Esiste un ventaglio infinito di desideri e domande che, a seconda di chi le osserva e le ascolta, possono sembrare più o meno insolite».

In cosa principalmente è cambiato il suo mestiere in questi vent’anni?
«Il mondo si evolve e noi dobbiamo evolverci con lui. Vent’anni fa il lavoro era decisamente diverso, così come il contatto con il pubblico. Tuttavia, da questo punto di vista, il cambiamento non è stato così radicale: le persone continuano a desiderare un rapporto umano. Forse oggi è solo diventato più complesso, perché tutto ruota attorno ai social. Il modo di comunicare è cambiato e anche il linguaggio dei giovani è diverso; ma una volta compresa questa nuova grammatica e imparato a padroneggiarla, tutto diventa più semplice.

Sono nata in un’epoca in cui il digitale stava appena emergendo e non posso dire di essere del tutto pratica. Proprio per questo mi affido a persone che possano supportarmi: ragazzi giovani che mi affiancano e mi aiutano. Uno degli insegnamenti più preziosi che ho ricevuto è l’importanza di dare spazio ai giovani, perché rappresentano la nostra nuova linfa. Unendo le mie competenze alla loro freschezza e alla loro dimestichezza con il digitale, si creano sinergie capaci di parlare a un pubblico a 360 gradi, sia online sia di persona».

Cosa sogna oggi Valeria Verga per sé stessa e per la sua attività?
«Qui potremmo davvero scrivere un libro lungo quanto Il Signore degli Anelli… o forse anche Shantaram.
Sogno molte cose, dal poter viaggiare e vedere il mondo conoscendo nuove culture al vivere in una casetta nel bosco come Biancaneve. Amo perdermi nella natura in solitudine: mi rigenera e ricarica, per me è un momento catartico che mi aiuta a ricaricare le energie. Di sogni ne ho moltissimi nel cassetto: chissà che un giorno tirandone fuori uno alla volta non si possano avverare tutti, prima o poi.

Per la mia attività ovviamente sogno che si evolva sempre al meglio, che si radichi sempre di più nel cuore delle persone – esse siano cittadini milanesi o del mondo. Vorrei vederla prosperare e avere da essa sempre maggiori soddisfazioni: non è un gioco, è parte della mia vita. E quindi sogno in grande per lei e per me».