Storia e storie

Il Beta 21, il CEH e la corsa al quarzo – parte 2: l’industralizzazione

Proseguiamo il discorso sulla nascita del primo movimento al quarzo di fabbricazione svizzera. Dopo le vicende degli esordi, entriamo nel vivo della produzione e vediamo chi (e come) ha utilizzato il Beta 21…

Per la produzione industriale del Beta 21 le case svizzere avevano avviato un consorzio nel 1968 e la realizzazione era affidata a tre diverse industrie. Il CEH stesso produceva il modulo elettronico col circuito integrato, il motore col risonatore era prodotto da Omega, mentre la parte meccanica usciva dalla fabbrica della Ebauches S.A.

Il costo industriale del Beta 21 non era da meno del Seiko: migliaia di franchi. Come previsto fu relegato nella fascia alta di mercato, tanto che quasi tutti i produttori lo hanno incassato in oro, il che ne provocherà la prematura sparizione dal mercato negli anni seguenti. Oggi è pressoché impossibile trovare esemplari dei modelli con cassa in oro e con un marchio che non abbia un proprio valore riconosciuto. Se è ancora fattibile trovare i Rolex non c’è praticamente un solo Bulova che si sia salvato dal crogiolo del fonditore.

Chi monta il Beta 21

Il calibro Beta 21 è incassato da ben 16 marche. Fin da subito però i bassi volumi e gli alti costi rendono chiaro a tutti che questo è solo un prodotto di transizione, commercializzato così com’è nell’attesa che le conoscenze acquisite tramite CEH si riversino in qualcosa di più maturo e personalizzato. Il fatto che il movimento sia uguale per tutti in un mondo poco abituato alla collaborazione lo fa sentire un estraneo a qualsiasi segmento di clientela. Al giorno d’oggi che molti orologi montano calibri tutti uguali, spesso di provenienza orientale, non ci si farebbe neanche caso.

Alla fine i numeri saranno bassi ma non minuscoli: 6.000 esemplari di Beta 21 e 50.000 di Beta 22. Quest’ultimo è venduto solo da Omega con i nomi di 1301 e 1302, e presenta solo aggiornamenti all’elettronica che seguono il progresso nella miniaturizzazione dei componenti. Per riscontro, il Seiko 35SQ è stato prodotto in soli 1.800 esemplari. A parte Omega e IWC, tutti gli altri produttori metteranno sul mercato un solo lotto di orologi ricavato dalla loro parte dei 6.000 calibri. Qualcuno – come Bulova e Longines – si fermerà alla produzione di prototipi. Alcuni, tra cui Rolex, usciranno dal CEH per dedicarsi allo sviluppo di calibri in proprio.

I produttori

Omega

Omega sarà alla fine il maggior produttore, con oltre 50.000 esemplari. La prima versione viene denominata Omega 1300, incassata in un massiccio Constellation di forma rettangolare e con la corona a sinistra.

Successivamente produrrà il calibro 1301, sempre per la linea Constellation, in cassa forse ancora più massiccia ma con quadrante rotondo. La corona passa a destra. La differenza col 1300 si limita all’elettronica evoluta, ma comunque intercambiabile con la precendente versione, e al disco della data con i numeri leggermente sfalsati rispetto al precedente per adattarsi al montaggio ruotato di 180°. Il datario resta comunque al 6. Il diminuito consumo permette di montare una pila più bassa.

Infine, il calibro 1302, privo di datario e sfera secondi. L’albero dei secondi è presente ma tappato da un rubino incastrato nel corrispondente foro nella sfera dei minuti. Lo scopo era di avere un movimento più piccolo (la ruota del datario fuoriesce dal profilo rettangolare) e soprattutto più basso (mancando il ponte del datario), tanto che le misure dei 1302 non si discostano da quelle usuali del periodo.

IWC

Anche IWC produrrà più lotti, col nome di Quartz Electronic. Prenderanno i nomi di C.2001 nel 1971 e C.2002 nel 1974. Il primo lotto uscirà in elegante cassa di forma: in acciaio, oro bianco, giallo e platino, in 150 esemplari per tipo di metallo. Il secondo lotto vedrà una massiccia cassa con bracciale integrato della linea Da Vinci. IWC iInfine sarà l’unico produttore a ricavarne un orologio da tasca. La produzione del 2002 alla fine conterà 9.600 pezzi.

Longines

La Casa della Clessidra alata produsse il Quartz-Chron, un orologio abbastanza massiccio. Non è chiaro se sia rimasto allo stadio di prototipo o se abbia effettivamente raggiunto il mercato, poiché la maison era spaventata dal costo della soluzione offerta dal CEH, specialmente del chip integrato. Per questo motivo non aveva mai abbandonato il lavoro in proprio.

Da tempo si dedicava infatti alla ricerca col segretissimo “progetto clessidra”, che già nel 1962 aveva dato luogo al calibro L400 elettronico con bilanciere, per esemplari da polso, e nel 1965 al calibro 800 al quarzo per gli apparati di bordo. Alla fine il sodalizio con il CEH non è comunque vano. Molti dei concetti finiscono nel 6512: un calibro che ha un aspetto ancora più “sperimentale” del Beta 21, una vera meraviglia di saldature. D’altronde, quello che non metti nel chip lo devi pur montare sotto forma di componenti discreti.

Bulova

La Casa americana è uscita con una limitata produzione, chiamata come la precedente generazione: Accuquartz. Il calibro 10EACD era montato in orologi dall’aspetto molto massiccio, con cassa in oro e corona a sinistra.

Bulova in un primo momento aveva adattato il quarzo all’attuale linea di produzione dei diapason: presentò così il calibro 224 Accuquartz, in cui il diapason perde la funzione di cadenzare il tempo e funziona da solo motore alla stessa guisa del risonatore CEH. Nel 1977 presenta il 242, un movimento al quarzo “classico”, in realtà prodotto da Citizen.

Rolex

Inizialmente il Rolex 5100 sembra un successo. I primi 1.000 pezzi vengono esauriti addirittura in prevendita, ma sarà un fuoco di paglia. L’interesse scema subito. Le cause sono da ricercare nel design poco riuscito, molto massiccio (40 mm) a causa della forma e dimensioni del calibro, e diverso dalla produzione del periodo, tanto che sul quadrante riporta solo la scritta “Quartz” e non “Oyster”. L’aspetto gli farà guadagnare il nomignolo di “Texano”.

Infine, il fondello a scatto fa ulteriormente storcere il naso al pubblico. Il vero problema era però culturale: sia per la Casa che per la clientela non era un vero Rolex. Eppure, tra i suoi pregi, sarà per esempio il primo Rolex a montare un vetro zaffiro. E poi l’acquisto della seconda e ultima serie numerata, realizzata dalla Casa, dà diritto all’iscrizione al Rolex Quartz Club e a visitare la sede di Ginevra.

Alla fine ne verranno prodotti 900 esemplari in oro giallo e 99 (c’è chi dice 100) in oro bianco. La produzione cessa nel 1972. La Casa della Corona abbandonerà anche il consorzio CEH nello stesso anno e nel 1977 presenterà il calibro 5035-5055 “Oysterquartz”, che verrà prodotto in 25.000 esemplari ininterrottamente fino al 2001.

Altri marchi

Passiamo in rassegna velocemente la produzione di altri marchi. A cominciare da Rado, che realizza il Rado Quartz 8192, calibro 412A, in 400 esemplari.
Jaeger-LeCoultre produce 200 pezzi col nome, poi riutilizzato, di “Masterquartz”. Non è dato sapere se siano stati effettivamente messi in vendita.
Bucherer fabbrica dei modelli chiamati semplicemente “Quartz”; quello con la cassa poligonale misura ben 46 mm di diametro.
Patek Philippe produce il Calibro 2420 su base Beta 21 e Beta 22, in varie fogge, tutte in oro (bianco o giallo).
Piaget si serve sia del Beta 21 che del 22, fino al 1976, quando esce con il proprio calibro al quarzo.

La tecnica del Beta 21

Il movimento è composto (anche visivamente) da tre parti distinte. La prima è il modulo elettronico, montato su una schedina la cui faccia superiore è occupata dal circuito integrato che contiene i divisori e l’alimentazione del motore. I divisori sono soltanto 5 perché si deve passare dagli 8192 Hz del quarzo ai 256 del motore. Oggi sono 15, perché si passa da 32.768 Hz a 1.

Poi c’è la faccia inferiore, che nella prima versione è occupata interamente dal tubo del quarzo, che nelle versioni successive della schedina – se ne conoscono almeno 4 – si ridurrà progressivamente di dimensioni. Il motore, come detto, è composto da un risuonatore fissato elasticamente al ponte. A un estremo ha un magnete permanente, dall’altra un contrappeso. A un quarto circa della lunghezza, dal lato del contrappeso, è fissato il cricchetto con rubino in cima che impegna una piccola ruota (3 mm) con 200 denti. Due bobine fissate al ponte sono attraversate dalla corrente elettrica 256 volte al secondo, mettendo in vibrazione il risuonatore.

La terza e ultima parte è il modulo meccanico, con o senza datario. Il datario avanza premendo la corona e ruotandola in senso antiorario.

Conclusioni

Questa invenzione ha un’importanza che va al di là dei numeri di vendita o della sua durata: 4 anni di produzione per 56.000 esemplari non sono di per sé cifre da storia dell’orologeria. È evidente che il CEH abbia messo in vendita un progetto ancora immaturo allo scopo di monetizzare gli 8 anni di ricerca fin lì spesi e soprattutto non farsi battere sul tempo dai giapponesi.

Tuttavia, contano soprattutto le ricadute su tutti i progetti successivi, che alla fine sono affinamenti e miniaturizzazioni di componenti che qui sono già presenti – fatto salvo il motore passo-passo, che grazie al costo e consumo di corrente diminuito sarà possibile montare al posto del risonatore. Quest’ultimo passo verrà compiuto dall’industria svizzera l’anno successivo da Girard-Perregaux col calibro 350. Se avete fatto caso questo nome è l’unico che non ho ancora citato. Fin da subito la Manifattura non è salita sul treno del consorzio CEH, ma si è sviluppata in casa il proprio movimento al quarzo. Questa però è un’altra storia: ne parleremo presto…