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“Early American Pocket Watches”: antichi orologi americani in mostra

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Nei giorni scorsi, nei locali della celebre Horological Society di New York, si è aperta una mostra per molti aspetti unica e avvincente. Intitolata Early American Pocket Watches, tratta dei primi orologi da tasca statunitensi, compresi alcuni realizzati in America prima che nascessero gli Stati Uniti.

Sono tutti esemplari prodotti, o quantomeno assemblati o commercializzati, sul territorio d’Oltreoceano nel periodo che va dagli inizi del Seicento, epoca della prima colonizzazione, fino ai primi anni dopo la Dichiarazione di Indipendenza, datata 1776. Early American Pocket Watches riunisce buona parte della raccolta a tema di un grande collezionista, Richard Newman, la più ricca a livello globale. Il Giornale degli Orologi ha avuto l’onore di intervistarlo, e di raccogliere quindi dalla sua voce testimonianze e informazioni preziose. Ma, prima di avventurarci a scoprire cosa c’era nelle tasche degli americani d’antan, penso sia opportuno presentare il contesto.

La Horological Society of New York

La Horological Society of New York (HSNY) è un’importante associazione statunitense che raduna gli appassionati di storia dell’orologeria degli States. Fondata nel lontano 1866, aggrega tutti coloro che hanno a che fare, ad alto livello, con l’arte della misura del tempo. Uno dei suoi punti d’orgoglio è la magnifica biblioteca, che con oltre 25.000 volumi sul tema è sicuramente una delle più complete del Pianeta. Conosciuta e apprezzata dagli appassionati, l’HSNY è un punto di riferimento anche per l’incessante attività divulgativa, che prevede l’organizzazione di mostre, conferenze, workshop, incontri con i protagonisti del settore.

Tra i suoi membri, troviamo i più qualificati specialisti americani in materia di orologeria. Uno di loro è proprio Richard Newman, che è anche mio collega nella prestigiosa Confraternita inglese degli Orologiai, la Clockmakers Company. Approfittando di questo legame, e dato che avevo avuto in passato scambi epistolari con Rich per ragioni di studio di un suo pezzo italiano, ho potuto fare quattro chiacchiere con lui a proposito della mostra Early American Pocket Watches.

Chi è Richard Newman

Richard Newman non è solo il proprietario dei pezzi esposti, ma è anche il curatore della mostra e l’autore del testo del catalogo, corredato da eccellenti fotografie, in cui ha magistralmente descritto ogni pezzo. Forte di un Master in Business Administration (MBA), Rich ha lavorato per tutta la vita nel settore bancario, iniziando come Information Technology Manager nella Sears World Trade di Chicago e ricoprendo per oltre 35 anni il ruolo di Managing Director nella First Chicago Bank e in JP Morgan Chase, per i Capital Markets e le International Commerce Cards.

Fine conoscitore della meccanica, Rich è anche un sincero appassionato di tutto quell’universo di significati che un orologio porta con sé: l’autore, l’epoca, il contesto sociale, il significato e anche il valore di testimonianza, a volte persino politica o confessionale. Il catalogo, di conseguenza, riflette proprio il suo personale approccio all’orologio. Analizza con pari competenza ogni pezzo, la specifica storia e il contesto in cui è stato creato. Di fatto è fra i massimi esperti – oserei dire, il massimo esperto – nella storia dell’orologeria statunitense, un campo di ricerca di nicchia.

Ma cosa ha fatto scaturire in lui questa passione? «Amo fare ricerca e condividerla con altri: ammetto di essere rimasto stupito nel constatare quanto carente fosse la ricerca sull’orologeria americana», mi ha risposto prontamente Rich. «Mi sono reso conto che era un settore negletto, forse perché – ingiustamente – ritenuto di poco interesse e ancor minore importanza. Man mano che reperivo notizie e informazioni sui primi orologiai, attivi in quelle che erano le colonie americane, cresceva in me la convinzione che avrei dovuto raccontare le loro storie, i loro contributi alla costruzione di una Nazione che non era ancora nata. Mi sembrava doveroso tributare loro il rispetto e l’ammirazione che certamente meritavano».

Rich Newman racconta Early American Pocket Watches

La raccolta di un collezionista di lunga data non può che incuriosirci – e parlo anche a nome della redazione. Quindi vogliamo sapere come e quando ha iniziato a raccogliere simili esemplari. Il suo primo pezzo, per esempio, è qui in mostra? «Ero a un raduno della NAWCC (la più grande associazione di orologeria statunitense, che vede Newman a capo della sezione dedicata all’orologeria inglese, NdR), venticinque anni fa. Avevo seguito con interesse una conferenza di David Cooper ed ebbi l’occasione di prendere in mano un orologio da tasca sul cui movimento compariva la parola “Boston”: risaliva a 250 anni prima.

Fu un’illuminazione: mi resi conto che il tema era affascinante, e che non se ne sapeva quasi nulla. Fu proprio con l’aiuto di Cooper che acquistai il mio primo American Watch, costruito in America da John Cairns di Providence (Rhode Island), datato 1800. È qui esposto, insieme a un altro pezzo dello stesso autore, di poco precedente. Non sappiamo quanti orologi abbia realizzato Cairns: di certo, se ne conoscono tre, e due sono qui».

Nelle teche di Earl American Pocket Watches si trovano 42 pezzi in totale: sono una selezione dalla sua raccolta, o la ha presentata al completo? «Questi in mostra sono la maggior parte dei miei pezzi. Ho raccolto anche un buon numero di movimenti, che mi interessano soprattutto per ragioni di studio, e di orologi americani che risalgono a un periodo posteriore rispetto a quello che si è voluto trattare in questa occasione».

Gli highlight della mostra

Rich e io amiamo scavare alla ricerca di informazioni sui nostri amati orologi. Dietro ogni oggetto c’è una storia, ci sono gli uomini che lo hanno progettato, realizzato, commercializzato, venduto e posseduto. Gli chiedo dunque di accompagnarci alla scoperta dei pezzi di Early American Pocket Watches che ritiene più affascinanti. «Il primo è sicuramente l’orologio realizzato da John Wright, presente al numero 1 del catalogo. L’ho scoperto nel 2011: l’importanza deriva dall’epoca in cui è stato creato. Testimonia, infatti, che sul territorio americano esistevano veri orologiai, costruttori, che dovevano contare su importazioni regolari di materiali e attrezzature dall’Europa, per poter lavorare. Fino alla sua scoperta, si era ritenuto che la costruzione autoctona di orologi in America fosse iniziata molto più tardi».

E poi? «Direi l’orologio che compare al numero 3 del catalogo, firmato Joshua Lockwood. Un esempio, rarissimo, di orologio che apparteneva a un uomo ricco, che aveva molti schiavi nelle proprie piantagioni. È una testimonianza di quella che poteva essere la migliore qualità disponibile, in fatto di orologi, in quei tempi a Charlestown.
Aggiungerei anche il numero 7, un Nautical Watch, cioè un orologio destinato ad aiutare i naviganti, a firma Robert Leslie. Anche qui il significato storico è preminente: si tratta del primo esemplare creato da un americano. Proprio dalla scoperta di questo pezzo presero l’avvio gli studi su Leslie, che oggi consideriamo il più importante orologiaio americano del XVIII secolo. Il suo ricordo era andato perduto: tutto ricominciò dopo che scrissi il mio primo articolo su di lui, cui fece seguito un pezzo, scritto da altri, su Antiquarian Horology, la rivista dell’Antiquarian Horological Society inglese».

Tecnologie d’epoca

Appassionante: ma quando gli orologiai Americani iniziarono a cercare di rivaleggiare con gli Europei, anche a livello di raffinatezza meccanica? «Le consiglierei di soffermarsi – insieme ai suoi lettori – sull’orologio numero 11. L’autore è americano, anche stavolta, ed è Moses Morse. Il suo orologio utilizza un raro tipo di scappamento, detto di Debaufre. Anche il numero 38, a firma Baldwin & Jones, era per i propri tempi un prodigio di modernità e tecnologia. Si basa su quello che ai tempi era lo scappamento di più recente invenzione, il Massey 1. Un pezzo come questo dimostra anche l’attenzione della committenza, che desiderava avere un esemplare davvero al passo con quello che la tecnologia poteva offrire».

Leggendo lo splendido catalogo, ho però anche notato che molti calibri erano, di fatto, importati dall’Europa e poi rifiniti, incassati e firmati in America. La circolazione dei movimenti non finiti era pratica comune anche in Europa, all’epoca. A quando risale il più antico degli orologi made in USA che lei è riuscito a identificare? Si trova nella sua collezione? «Non possiamo dire di avere prove certe, ma gli esperti che hanno esaminato l’orologio di John Wright, che risale al 1715 circa, sospettano che Wright lo abbia rifinito a New York. Una notizia curiosa: esiste ancora la documentazione contabile di un suo parente, tale Richard Wright, che nello stesso periodo lavorava a Cronton, vicino a Prescot, in Inghilterra. Con ogni probabilità era lui il fornitore di John. Parliamo sempre dell’orologio al numero 1 del catalogo».

Ho notato che diversi pezzi del primo periodo “federale”, cioè subito dopo la Dichiarazione di Indipendenza, quali i numeri 36, 38 e 40 portano incisa sul piede del coq, il ponte del bilanciere, l’indicazione Patent (brevetto). Qual è il brevetto cui fanno riferimento? «Sono orologi che montano alcune varianti di uno scappamento libero di precisione, progettato in modo da ridurre al minimo gli attriti. Sono tutte varianti dello scappamento di Massey, tra cui troviamo anche un esempio del tipo più antico, quello che viene tecnicamente definito come Tipo 1».

Uno sguardo più ampio

Tutti gli orologi in mostra sono firmati da orologiai, o distributori, di origini britanniche. Non c’erano italiani orologiai, in quel periodo, in America? «Non ne ho mai trovato traccia. Sicuramente, ragioni economiche e religiose spinsero orologiai francesi, tedeschi e inglesi a emigrare in America. Fra l’altro, numerosi soldati inglesi venuti qui durante la Guerra di Indipendenza, tra i quali molti abili orologiai, decisero poi di stabilirsi in via definitiva. Sarebbe interessante confrontare le loro condizioni di vita e di lavoro con quelle degli orologiai in Italia, nel medesimo periodo…».

Credo che la mostra Early American Pocket Watches, grazie alla sua incessante attività di ricerca dei rari pezzi sopravvissuti e delle loro storie, costituisca un contributo importante per l’aumento della consapevolezza del patrimonio orologiero. Cosa importante, sia per gli specialisti che per coloro che si avvicinano a quest’Arte per la prima volta. Far conoscere le capacità degli uomini che li hanno creati, illustrare il loro valore di testimonianze storiche, è cosa meritoria.

Quindi chiedo a Rich se riscontera segni di un aumento di interesse verso questi orologi, o verso gli orologi da tasca in generale, nell’America degli ultimi anni. «Il fenomeno della passione per l’orologeria da polso, per i brand e per la loro storia sta generando un rinnovato interesse verso l’orologeria da tasca antica. La capacità artigianale, l’arte, la tecnologia e la moda sono fenomeni iterativi. L’orologeria ne è una dimostrazione evidente. Quanto a me, sono felice quando posso imparare qualcosa di nuovo e incontrare altri collezionisti».

Early American Pocket Watches: ulteriori informazioni

«Vorrei invitare tutti i lettori del GdO a venire a New York per trascorrere qualche ora nella sede della HSNY, per poter visitare la mostra, ma anche per accedere alla biblioteca o seguire una lezione di orologeria pratica», conclude Newman. «Sarebbe perfetto se potessero con l’occasione anche recarsi alla National Convention della NAWCC che si terrà a giugno a York, in Pennsylvania. È la più grande fiera didattico-commerciale del mondo, nel settore dell’orologeria: ci saranno oltre 500 espositori, 20 conferenze e laboratori, con oltre 1000 partecipanti. Poco lontano si può anche visitare il National Watch and Clock Museum, il più importante degli Stati Uniti».

Non ci resta che ringraziare Richard Newman per la cortesia, per l’invito e per la generosità con cui ci ha concesso le immagini e i materiali per le foto nella gallery.
La mostra Early American Pocket Watches resterà aperta fino alla fine di dicembre 2025. Ulteriori informazioni possono essere trovate sul sito dell’HSNY. L’ingresso è gratuito.