Storia e storie

Gli orologi pneumatici, l’antico sistema dell’ora pubblica di Parigi

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La rivoluzione industriale, nata nell’Inghilterra del XVIII secolo, vide nell’Ottocento il proprio secolo d’oro. All’energia generata dal vapore ben presto si unirono le quasi infinite possibilità dell’elettricità. Non molti sanno, però, che per lungo tempo, in Francia, l’elettricità ebbe come principale concorrente, anche in termini di versatilità, l’aria compressa. Mentre altre nazioni sperimentavano reti urbane di orologi elettrici, a Parigi si creò una rete di orologi pneumatici.

Il concetto di master e slave

Se per le esigenze antiche potevano bastare gli orologi di torri e campanili, per il mondo sempre più frenetico del XIX secolo divenne imperativo garantire la coerenza dell’ora pubblica. Per poterla ottenere, indipendentemente dal tipo di segnale usato per la trasmissione, si introdussero il concetto di master e di slave.

Un orologio di alta precisione, affidabile, mantenuto preciso, detto master, fungeva da riferimento. Attraverso una rete, ogni minuto, un segnale era contemporaneamente inviato a tutti gli orologi asserviti, distribuiti territorialmente, per far avanzare di un minuto gli stessi. Queste unità secondarie prendevano il nome di slaves, schiavi, servi appunto.

L’invenzione degli orologi pneumatici

Il brevetto per una rete di orologi pubblici in cui il segnale di sincronizzazione fosse costituito da un impulso di aria compressa risaliva al 1877. Portava la firma di Popp, Resch e Mayrhofer ed era stato depositato a Vienna. Proprio nella capitale austriaca vide la luce la prima rete di orologi cittadini azionati attraverso la distribuzione di aria compressa. A questo primo esperimento, di successo, fece eco tutta la stampa dell’epoca.

La Francia, naturalmente, non poteva vedersi sorpassata: uno dei tre inventori, Viktor Popp, con mossa spregiudicata fondò proprio a Parigi la Compagnie des Horloges Pneumatiques. A tale neonata società fu affidato, in esclusiva, il compito di creare la rete di orologi pneumatici della città.

Popp si era mosso in autonomia, incurante del fatto che Resch a Mayrhofer fossero anch’essi cointestatari del brevetto. Intravvedendo lauti guadagni, aveva giocato d’anticipo: ma questa mossa si rivelò ben presto sventurata. Resch e Mayrhofer gli fecero causa e, ancor peggio, Popp si rivelò un maldestro imprenditore. Ben presto, la Compagnie des Horloges Pneumatiques passò di mano e divenne di proprietà di un gruppo di banche.

Una struttura incredibile

Perché ricordare gli orologi pneumatici di Parigi? Sicuramente per due caratteristiche straordinarie: la capillarità della distribuzione e l’estensione della rete. Se gli orologi pubblici elettrici che in varie città si stavano sperimentando erano sempre limitati a poche unità, al massimo qualche decina, tutti posti lungo le strade principali, a Parigi le cose andarono diversamente.

La rete ideata da Popp, infatti, non solo portava il segnale a unità segnatempo periferiche distribuite in strade e piazze, ma fece molto di più. Attraverso una fittissima rete di tubazioni, necessarie per convogliare l’aria compressa, gli orologi periferici trovarono posto all’interno di grandi edifici, di stazioni, di complessi industriali e persino di abitazioni private.

La Centrale

Il sistema era complesso, costituito da serbatoi di aria compressa in cascata. Volendo semplificare, l’impulso, consistente in un getto d’aria, liberato dall’orologio-campione allo scadere del minuto, attraverso tubazioni in ferro raggiungeva le unità satelliti e le faceva avanzare di un minuto.

L’ora campione era fornita da un imponente orologio da torre centrale, sincronizzato con il segnale dell’Osservatorio Astronomico in modo molto artigianale. Un incaricato, detto “controllore”, si recava personalmente ogni giorno all’Observatoire a “prendere” l’ora esatta, a mezzogiorno.

L’orologio da torre master era modificato per pilotare l’invio dei segnali di pressione attraverso la rete. In realtà, gli orologi master erano due: l’intero sistema era duplicato, per fare in modo che non ci fossero interruzioni di servizio in caso di guasto. Come si noterà, il concetto di ridondanza era già noto ed applicato anche a quei tempi.

I limiti del sistema degli orologi pneumatici

Chi ha un minimo di familiarità con la tecnologia osserverà che elettrico e pneumatico non sono la stessa cosa. La velocità di trasmissione dell’impulso di pressione era molto inferiore a quella che si poteva ottenere elettricamente. Questa fu una delle più pesanti critiche sollevate dai detrattori del sistema. Gli abili commerciali, però, rispondevano all’obiezione suggerendo ai clienti, se avevano bisogno di una precisione maggiore, di rivolgersi all’Osservatorio Astronomico!

Il tempo di propagazione non era trascurabile e la cosa non poteva essere ignorata.
Inoltre, la caduta di pressione dovuta all’estensione della rete rese di fatto impossibile gestire l’intera città con una sola centrale. Di fatto, si dovette ricorrere a una serie di sotto-master: si pensi che l’estensione delle tubazioni, quasi tutte collocate lungo la rete fognaria, era di diverse centinaia di chilometri.

Gli orologi slave, cioè i ricevitori del segnale, erano unità semplificate, in cui il moto della lancetta dei minuti era ottenuto grazie all’impulso di pressione, trasmesso dalla tubazione a una sorta di piccolo “polmone” interno al ricevitore.

Numeri incredibili, storie incredibili

Il successo dell’ora pneumatica a Parigi fu eclatante. Nel 1890, tra installazioni pubbliche, aziendali e private si calcola fossero serviti più di 10.000 orologi. Essere collegati all’ora pneumatica richiedeva un abbonamento, il cui costo era funzione del numero di orologi connessi. Addirittura, erano forniti orologi per uso domestico, pneumatici, dotati di suoneria.

Cosa ben più inquietante, ricordo di aver letto, sui giornali dell’epoca, una cosa tremenda. La Societé des Horloges Pneumatiques offriva ai privati, a basso costo, la trasformazione degli orologi tradizionali, meccanici, in esemplari idonei alla ricezione del segnale di pressione. La meccanica originale (ahimè) veniva cestinata e sostituita con i tre ingranaggi e il polmoncino. Non oso pensare a quanti begli orologi siano stati sacrificati sull’altare del Progresso!

La parabola discendente degli orologi pneumatici

Verso il 1910, però, la competizione aria compressa-elettricità volse al termine. I vantaggi dell’elettrico, sia per la potenza che per il segnale, erano decisamente superiori. Alla fine degli anni Venti, l’intera rete di distribuzione dell’ora pneumatica parigina fu dismessa, segnando la fine di un’epoca. Ogni tanto, raramente, sul mercato dell’usato si trova ancora qualche movimento di unità periferica: vestigia di un mondo e di una tecnologia scomparsi per sempre.