Un po’ romantico e sognatore? Tutt’altro. L’ultimo complicato di Hermès è un modello consistente, con il suo bel perché anche sul fronte della tecnica
L’ultimo Salon International de la Haute Horlogerie di Ginevra non ha certo brillato per il livello pirotecnico delle novità andate in scena, e questo è innegabile. Ma chiuderne la pratica relegandolo negli archivi della memoria, idealmente avvolto in un faldone con la dicitura “non pervenuto”, è forse una presa di posizione fin troppo ingiusta. Perché a guardar bene qualcosa salta sempre fuori. A patto di saper cercare, ma anche di saper scavare un po’ in profondità, cioè di saper andare oltre l’apparenza consegnata da un semplice aspetto estetico. L’orologio, d’altronde, resta pur sempre un oggetto meccanico, e come tale andrebbe osservato prima dentro che fuori. Specie in quei casi in cui, dietro ad un seppur valido e notevole “effetto wow” garantito da materiali o finiture di prim’ordine, si celano contenuti tecnici se possibile ancor più seducenti. Ignorati perché, paradossalmente… non comunicati.
Bene la filippica, si potrà pensare, ma ora fuori nomi e cognomi. E allora eccoli qua: Arceau L’heure de la lune, Hermès. Uno su tutti. Preso non tanto come capro espiatorio ma, al contrario, come esempio di un orologio meritevole, il cui notevole interesse tecnico ha finito con l’essere oscurato dalla romantica descrizione della sua dimensione estetica. Diciamoci la verità: un vero peccato, perché quando pur non essendo “nativo” del settore riesci a guadagnarti credibilità e reputazione a suon di realizzazioni di sicuro interesse, quando ti imbarchi in un progetto lungo anni investendo tempo e denaro, quando ti affidi per la meccanica ai massimi luminari di settore, e poi del tuo orologio promuovi solo il lato espressivo, per tutta l’orologeria, non solo la “tua” orologeria, è un’occasione persa. Ma Hermès al tempo (quello misurabile) ha sempre dato un’interpretazione giocosa se non addirittura onirica – almeno in epoca recente.
E quindi va bene così, ma resta un peccato. Perché raccontare un orologio è una cosa importante, specie se dalla sua può vantare signore credenziali. E all’Arceau L’heure de la lune gli argomenti non mancano di certo. In Hermès lo hanno messo in cantiere tre anni fa con un obiettivo (non dichiarato): farlo collimare con il cinquantenario dello sbarco sulla Luna destinato a cadere proprio in questo 2019. Anno in cui il satellite terrestre si sarebbe ritrovato al centro di una sovraesposizione mediatica senza precedenti. Da qui la volontà di ribaltarne le canoniche prospettive, portando le fasi di luna (complicazione generalmente relegata in una finestrella di servizio) in primo piano. Un’idea ambiziosa che, come detto, ha richiesto un bel triennio di sviluppo per passare dalla mente alla carta e da questa al prodotto finale. Ma anche i servigi di un talento del settore, ovvero Jean-François Mojon.
Uno che con la sua Chronode SA ha messo il suo sapere al servizio di marchi come MB&F, HYT, Harry Winston, Cyrus, Czapek, Manufacture Contemporaine du Temps, giusto per citarne alcuni. Ed Hermès naturalmente. Già, ma cosa ha fatto per Hermès? Ha studiato un modulo che consentisse a due contatori (uno per ore e minuti, l’altro per la data) di “orbitare” attorno al quadrante per simulare l’effetto dell’ombra proiettata dalla terra sul suolo lunare, in modo da riprodurne le fasi su due dischi in madreperla posti sul quadrante principale. Per farlo ha prima dovuto trovare un movimento di partenza sottile a sufficienza da poter sostenere l’altezza del modulo entro ingombri accettabili. Scelta ricaduta sul calibro automatico H1837 (Vaucher, di cui Hermès possiede il 25% delle quote) e sui suoi 3,7 mm di spessore. Poi si è messo al lavoro per costruire sopra di esso, al di là del quadrante, la propria “giostra”, facendo ricorso ad ingranaggi planetari.
Ingranaggi disposti in linea, in modo da collegare il pignone calzante centrale, tramite opportune derivazioni, con i contatori di ore e minuti e della data. Ma anche con una cremagliera circolare nascosta sotto al réhaut, “binario guida” per l’orbita dei contatori stessi (per comprenderne l’architettura consigliamo di fare ricorso alle immagini della gallery sovrastante), “trucco” alla base delle fasi lunari, elemento centrale dell’Arceau L’heure de la lune. Il tutto alimentato dall’energia di un unico bariletto. Un sistema energeticamente dispendioso. Specie a mezzanotte, quando ore, minuti e data scattano contemporaneamente, mentre i dischi sono chiamati ad avanzare di uno dei 59 scatti (circa 6°) che consentono loro di fare un giro completo del quadrante in altrettanti giorni, pari circa a due mesi lunari. Motivo per cui proprio l’avanzamento dei due contatori è stato posticipato alle 2.30 AM, per evitare picchi di richiesta energetica difficilmente gestibili.
Un altro mistero ufficialmente non svelato riguarda poi la posizione invertita della visualizzazione della luna dai due emisferi. Quella osservata dall’emisfero nord sta a sud del quadrante, e viceversa. Inusuale, al punto da aver richiesto un’apposita inscrizione chiarificatrice sulle stesse. Anche qui (nonostante la chiave di lettura fornita dalla maison: “Un ribaltamento che invita a perdere l’orientamento”) il perché è presto detto. Nell’emisfero nord la luna si oscura da destra a sinistra. In quello sud da sinistra a destra. Un dato di fatto che, unito all’esigenza di far orbitare i contatori in senso orario, ha portato all’adozione di questa soluzione obbligata. Insomma, dietro alla magia di un quadrante in avventurina o in meteorite, dietro alla fantasia di un Pegaso disegnato da Dimitri Rybaltchenko, dietro alla favola di una cassa con anse asimmetriche concepita da Henri d’Origny nel 1978, c’è molto molto di più. Dettagli qualificanti che, se spiegati, per l’Arceau L’heure de la lune, di sicuro pagherebbero i dividendi molto più di un’onirica fiaba fine a se stessa.