Approfondimenti

Richard Mille RM 52-05 Tourbillon Pharrell Williams – parte II

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Fantasia e realtà. Leggerezza e resistenza. Materiali avveniristici e tecniche antiche. Nell’orologio realizzato da Richard Mille e Pharrell Williams gli opposti coesistono per dar vita a un insieme senza precedenti

Che Pharrell Williams fosse un artista poliedrico lo sapevo. Ma non sapevo che fosse anche in grado di disegnare orologi. Certo, il nuovo RM 52-05 Tourbillon Pharrel Williams non è tutta farina del suo sacco, sicuramente è stato realizzato insieme ai progettisti di Richard Mille. Ma il soggetto è talmente particolare (come ha ben spiegato Stefania Cubello qui) da rimandare direttamente a lui. Alla sua immaginazione di artista visionario, appassionato di fantascienza e di saghe spaziali. Ma allo stesso tempo l’orologio è del tutto in linea con le creazioni più estrose cui ci ha abituato da qualche tempo Richard Mille. Basta pensare alla collezione Bonbon per capire che ormai lo stupore fa parte del gioco.

L’RM 52-05, un orologio da analizzare

Quanto alla costruzione dell’RM 52-05 Tourbillon, beh, è tipica di Richard Mille. Cassa tonneau in materiali avveniristici, calibro a carica manuale con tourbillon e altre diavolerie (quelle consuete e qualcosa in più), quadrante istoriato con tecniche sopraffine per ritrarre il sogno/la visione marziani di Pharrell. Roba da intenditori, come appunto pare sia lo stesso Williams. Tant’è: l’orologio è realizzato in un’edizione limitata di 30 esemplari – che chissà se vedremo mai in Italia: forse ne arriverà qualche pezzo, se richiesto, nella boutique di Milano.

E allora perché ne parliamo qui? Perché “non è il possesso, realtà di pochi e gioia dei collezionisti, a contare; ma è la conoscenza di un mondo straordinario racchiuso in un quadrante”. (Non sono parole mie: le scrive Alessandro Cannavò nel lucido, toccante editoriale dell’ultimo speciale Orologi del Corriere della Sera). E l’RM 52-05 Tourbillon Pharrell Williams merita davvero un’analisi, ricco com’è di peculiari caratteristiche costruttive. A cominciare dal quadrante, appunto, interamente realizzato a mano da maestri artigiani.

Il quadrante I: la visiera

L’équipe di Pierre-Alain Lozeron, infatti, ha utilizzato diversi mestieri d’arte per riprodurre in modo meticoloso l’inedito soggetto. Ovvero il casco di un astronauta, con la visiera che riflette la Terra e il suolo del Pianeta Rosso, sullo sfondo dello spazio cosmico. Ed è proprio la visiera la parte più interessante, perché è il risultato di numerose lavorazioni. In sintesi si tratta di una piastra ellittica in oro rosso, leggermente ricurva, che è stata dapprima incisa a mano con piccoli bulini creati ad hoc; poi smaltata con la tecnica del Grand Feu (complicata ulteriormente dalla leggera bombatura della visiera); quindi dipinta con pennelli sempre di dimensioni microscopiche.

Lo smalto Grand Feu, voglio ricordarlo, è un’antica tecnica di decorazione che si basa sul passaggio in forno ad alte temperature (850° circa). Difficile come tutte le tecniche di smaltatura, si basa sull’esperienza e sulle capacità del maestro smaltatore – aiutato solo in parte dalle moderne tecnologie. Per esempio, il forno con il controllo elettronico della temperatura garantisce sì un’assoluta accuratezza termica, ma non evita i rischi insiti nella cottura stessa: crepe, rigonfiamenti con conseguenti rotture, viraggi cromatici e altri accidenti irreversibili, che causano l’irrimediabile perdita del lavoro. Per cui è necessario eliminare il pezzo e ricominciare tutto daccapo.

Nell’RM 52-05 questi pericoli si sono letteralmente moltiplicati. Mentre in genere per ricreare le diverse sfumature si aggiungono semplicemente i pigmenti colorati, qui l’intensità delle cromie è ottenuta con una sovrapposizione di strati di colore, ciascuno seguito da una successiva fase di cottura. Il metodo scelto prevede quindi molti più passaggi al forno del solito e di conseguenza implica maggiori rischi. Ma raggiunge risultati migliori: le fenditure nella roccia sono molto più realistiche. E più verosimile è il paesaggio delle Valles Marineris (scoperte nel 1971 dalla sonda Mariner 9, da cui il nome), quegli enormi canaloni marziani di cui ancora oggi non si conosce con certezza la genesi.

Il quadrante II: il casco

Per passare alla figura dell’astronauta, il casco è stato modellato in titanio grado 5 (un metallo leggero, scelto per non appesantire il quadrante, ma allo stesso tempo resistente, quindi non facile da lavorare). Ed è stato poi dipinto di bianco con uno speciale aerografo, sviluppato dalla maison qualche anno fa durante la collaborazione con “l’artista di strada” Cyril Kongo. Uno