Approfondimenti

L’avventurina e la Trilogia 1966 Orion di Girard-Perregaux

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Scriveva a proposito dell’avventurina il vetraio seicentesco Giovanni Darduin: “La si dimanda Venturina, et con ragione, perché sortisse più da ventura che da scienza”.

Per “complicazione” in orologeria si intende qualunque dispositivo aggiunga funzioni ad un movimento meccanico “di base”. In teoria sono complicazioni anche il datario, i piccoli secondi decentrati e così via, in una scala crescente che arriva alla ripetizione dei minuti (indicazione sonora delle ore, dei quarti d’ora e dei minuti eccedenti i quarti) e ovviamente alla combinazione di complicazioni multiple. Girard-Perregaux tutte queste strade le ha già percorse con successo e sono certo che in futuro sarà in grado di continuare a stupirci.

Ma è giusto considerare come complicazioni anche altre caratteristiche di certi orologi: penso ai bariletti multipli (che servono a dare maggiore autonomia e quindi maggiore precisione nel tempo), a certi ruotismi “elastici”, penso anche allo spessore contenuto, tanto per fare qualche esempio. E però da qualche tempo trovo sia giusto considerare come complicazioni anche caratteristiche per così dire “esterne”, come la cassa in vetro zaffiro o altri materiali difficilissimi da gestire. E penso a certi quadranti, fra i quali – lo confesso – trovo meravigliosi quelli in avventurina, finora riservati solo agli orologi più costosi.

Girard-Perregaux sta mettendo in commercio proprio in questi giorni tre varianti della collezione 1966 (una trilogia che si chiama Orion) con il quadrante in avventurina. E santo cielo vi consiglio di andarle a vedere; provvisti di una lente (quella può mettervela a disposizione il negoziante) e anche di una piccola torcia a led. Perché l’avventurina è pura magia, credetemi. L’avventurina è il cielo stellato, l’avventurina è il sogno, l’avventurina ipnotizza occhio e anima.
Ma cos’è l’avventurina?

In realtà ce ne sono due: la prima è una pietra dura (quarzo calcedonio) traslucida, con inclusioni di mica che la rendono scintillante. Ce n’è di vari colori e quella blu è ormai quasi introvabile. Per me, però, è quasi più preziosa la seconda avventurina, quella artificiale prodotta a Murano da pochissimi Maestri vetrai.

Un piccolo aneddoto. Tanti anni fa, militare in Marina (allora erano ben due anni), un incubo mentre eri lì, ma poi ti rendevi conto che era una scuola di vita e non solo. Con la nave sono a Venezia per sei mesi e giro, giro, respiro la Laguna e le sue meraviglie. Solo soletto vado a Murano e sbircio le vetrerie. In una mi fanno entrare, mi accolgono, mi mostrano quel che fanno, mi perdo nelle magie della sabbia fusa. Vedo un grosso ciottolo in un angolo e resto a bocca aperta: ha dentro l’intero cielo stellato.

Decido di investire tutto quel che ho, ma loro me la regalano. Belle persone che avevano capito quanto possa far bene all’anima un gesto del genere. E la osservo al sole e la osservo controluce, la mia pietra magica. E la mostro alla mia fidanzatina veneziana che si stupisce, mi spiega, mi racconta, mi fa capire quanto sia importante. E gliela regalo non tanto per carpirne le grazie, ma perché lei comprendeva e sapeva apprezzare ancor meglio di me. Era giusto.

Saccheggio il sito di una delle più importanti fornaci di Murano, quella di Franco Schiavon, appartenente ad una vera e propria dinastia di Mastri Vetrai: “L’avventurina è un tipo di vetro, il più prezioso di tutta la storia del vetro di Murano, che risale alla prima metà del XVII secolo. Il nome stesso deriva dal termine “ventura”, a ricordare come la sua invenzione fosse inizialmente dovuta al caso e a sottolineare le difficoltà che persino i maestri più abili incontravano durante la sua lavorazione.

La storia racconta che un vetraio, intento a fondere insieme le varie componenti del vetro, per un qualche contrattempo abbandonò la fusione facendo fallire così l’operazione, e che si dovette aspettare un’intera settimana per il completo raffreddamento dei paioli e di tutto il forno; con grande stupore, poi, spaccando i paioli, il vetraio stesso trovò una materia meravigliosa. La prima ricetta che insegna a fare l’avventurina risale al 1644, si dovette però aspettare il 1860 per conoscere il segreto per soffiare l’avventurina.

L’avventurina è un tipo di vetro nel quale sono inglobati piccolissimi cristalli di rame (precipitato durante il raffreddamento del fuso) che si disperdono in modo omogeneo dando al materiale una lucentezza metallica. Per far sì che la produzione dell’avventurina dia risultati positivi bisogna aggiungere, conclusa la fusione e in più riprese, giuste quantità di materie prime riducenti come battitura di ferro, silicio metallico e carbone, fino a che il rame non sia precipitato.

Durante il ciclo di raffreddamento, della durata di alcune ore, si verifica la lenta e quasi completa separazione del rame dal vetro di base. La qualità di questo vetro dipende al grado di uniformità con il quale si distribuiscono i cristalli di rame e dalle loro dimensioni, che in alcuni casi possono raggiungere il millimetro.

L’avventurina viene estratta in blocchi dal forno, già raffreddato, e la sua rifusione può pregiudicare il suo caratteristico aspetto. Viene tagliata a freddo come fosse pietra dura e la sua lavorazione a caldo richiede particolari accorgimenti. La preparazione dell’avventurina è un’operazione lenta e assai delicata; nel corso dei secoli è sempre stata segreto di pochi abili tecnici compositori”.

E ora torniamo ai Girard Perregaux Orion della collezione 1966. Tre modelli: uno con cassa in acciaio naturale, uno con cassa in acciaio reso nero tramite un trattamento Dlc (Diamond-like Carbon, carbonio dalla durezza paragonabile al diamante), ed uno con cassa in oro rosa. Quelli in oro e acciaio con il quadrante di avventurina blu, quello Dlc con avventurina nera. Chi lo osserva con la lente nota che il quadrante è leggermente bombato e ciò rende ancora più profondo e “magico” il cielo stellato. E ancora più difficile da realizzare.

I quadranti in avventurina sono rari e comunque di solito riservati ad orologi molto costosi perché il materiale vitreo va lavorato come una pietra dura. Va tagliato in sottili dischi che poi vengono fissati ad una superficie metallica con collanti ad altissima tenuta. Per ricavare un disco bombato bisogna partire da un disco di maggiore spessore (e costo), che viene lavorato con enorme attenzione perché le inclusioni metalliche costituiscono di fatto punti deboli in cui l’avventurina si può rompere. Ma l’effetto è ancor più impressionante: un microcosmo tridimensionale.

Il movimento, infine, è l’ormai classico Calibro GP 3300, presentato inizialmente nel 1994 e nato sotto una buona stella. È molto robusto (è montato anche negli orologi sportivi di Girard-Perregaux), e al tempo stesso sottile (3,6 millimetri di spessore) così da poter essere usato per moduli aggiuntivi con complicazioni; vanta alcuni accorgimenti (come la ruota mediana sostituita da un doppio ingranaggio coassiale) che consentono di garantire una buona autonomia (46 ore) per via del bariletto maggiorato. Uno di quei movimenti di manifattura che costituiscono da trent’anni un’assoluta garanzia di qualità ed affidabilità. Anche senza il quadrante in avventurina i prezzi sarebbero già concorrenziali, per l’alta orologeria.