Attualità

Fridays for Future: Rolex Perpetual Planet

{"autoplay":"false","autoplay_speed":"3000","speed":"300","arrows":"true","dots":"true","loop":"true","nav_slide_column":5}
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image

Tutti conoscono Rolex. Ma forse non tutti sanno che appartiene alla Fondation Hans Wilsdorf, una fondazione senza scopo di lucro con sede a Ginevra. Il cui statuto stabilisce che gli utili d’impresa debbano essere reinvestiti all’interno dell’azienda, per esempio in ricerca e sviluppo; oppure destinati a opere di beneficienza: dalla filantropia al mecenatismo fino alla protezione dell’ambiente. E sono proprio queste ultime attività che Rolex ha riunito nel progetto Perpetual Planet, lanciato lo scorso anno.

Del resto lo stesso Hans Wilsdorf (1881/1960, il “papà” di Rolex e Tudor), possedeva una profonda sensibilità ambientale – anche se all’epoca non si parlava né di surriscaldamento globale né di disastro ecologico. Consapevole che il mondo rappresentasse “un laboratorio a cielo aperto”, come si legge sul sito ufficiale della marca, “cominciò a collaudare i suoi orologi in condizioni reali sin dagli anni Trenta”; e per testarli li inviò “nei luoghi più estremi, al polso dei pionieri che partivano alla scoperta dell’ignoto”.

Qualche esempio? Nel 1933 Rolex fa parte dell’equipaggiamento della spedizione britannica sull’Everest. Nel ’53 lo si ritrova di nuovo sulla vetta più alta del mondo, al polso di Sir Edmund Hillary e del gruppo di scalatori guidato da Sir John Hunt. Mentre nel ’60 scende nelle profondità dell’oceano: raggiunge i – 10.994 metri della Fossa delle Marianne con il batiscafo Trieste di Jacques Piccard e Don Walsh. Impresa ripetuta in tempi più recenti, nel 2012, con il mini-sommergibile Deepsea Challenge di James Cameron. Fatti noti, soprattutto ai fans della Casa della corona.

E l’epopea prosegue ai giorni nostri. Anche se ormai le spedizioni scientifiche (non solo in questo caso), più che dal desiderio di esplorazione, sono dettate dalla volontà di studiare l’ambiente per cercare di preservarlo… Come nelle tre missioni Under the Pole, organizzate dal 2010 al 2017 con il sostegno di Rolex per indagare sull’equilibrio climatico della parte sommersa di Artide e Antartide. Oppure nelle operazioni dell’Our World – Underwater Scholarship Society: un gruppo internazionale di scienziati, dedito alla ricerca negli ecosistemi oceanici – anche grazie all’appoggio di Rolex che ne finanzia i giovani borsisti.

In quest’ottica si inserisce appunto la campagna Perpetual Planet: volta a sostenere l’impegno di chi si sforza per garantire un futuro al Pianeta. Un “avvenire perpetuo”, appunto, per usare un aggettivo caro alla maison. Al di là delle innumerevoli partnership di Rolex (che restano comunque attive), l’azione di Perpetual Planet per ora si concentra su tre fronti: la collaborazione con la National Geographic Society; l’iniziativa Mission Blue di Sylvia Earle; e i Rolex Awards for Enterprise.

La National Geographic Society, si sa, è una delle maggiori istituzioni scientifiche no-profit. Nata alla fine dell’Ottocento per la promozione e la ricerca nell’ambito delle “scienze naturali” in senso lato, da sempre rivolge i propri interessi in molteplici direzioni: dalla cartografia all’archeologia, dalla fotografia alla biologia, per citarne solo alcune; e in ciascuna ha sempre finalità didattiche e divulgative. Ma il motto ne chiarisce senza ombra di dubbio gli obiettivi principali: “Ispirare le persone a prendersi cura del Pianeta”.

Rolex è a fianco della National Geographic Society fin dal 1954; nel 2017 ha rinnovato la partnership e l’ha estesa proprio per promuovere l’esplorazione tesa alla salvaguardia della Terra. All’interno di questa collaborazione, la nuova campagna Perpetual Planet prevede tre spedizioni entro il 2024; compiute con grandi scienziati e tecnologie modernissime, servono a monitorare i cambiamenti climatici nelle zone più estreme del mondo. La prima delle tre Perpetual Planet Extreme Expeditions è stata realizzata da aprile a giugno 2019, e ha avuto come meta (di nuovo) l’Everest. Le prossime due toccheranno invece le foreste pluviali e gli oceani.

Proprio la tutela delle profondità marine è al centro anche dell’iniziativa Mission Blue di Sylvia Earle. Ambasciatrice Rolex fin dal 1982, l’oceanografa americana – biologa, autrice di numerose pubblicazioni nonché acquanauta con diversi record di immersione – da 50 anni è in prima fila nello studio dei fondali. Così come nella lotta verso le tante minacce che gravano sulla vita sottomarina: dai rifiuti tossici all’eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche.

Per questo, dal 2010, Sylvia Earle lavora per stipulare accordi con i governi e le autorità locali, finalizzati a un piano di sviluppo di aree marine protette, da lei definite “Hope Spot” (luoghi di speranza). Aree oceaniche fondamentali per la conservazione delle specie, per la biodiversità ma anche per la sopravvivenza di intere comunità legate a un ecosistema marino “sano”. Con l’ausilio di Rolex, che sostiene Mission Blue dal 2014, gli Hope Spot sono passati da 50 a 112 negli ultimi cinque anni. L’obiettivo della scienziata però  è arrivare a proteggere il 30 per cento degli oceani nel mondo entro il 2030. Cosa non da poco, se si pensa che oggi siamo all’8 per cento.

Ma l’impegno del programma Rolex Perpetual Planet non finisce qui. Presto vi racconterò anche Royal Awards for Enterprise. Alla prossima.