Capitolo primo – L’eredità Breguet
Promettendo di occuparmi un giorno della vera storia di Breguet – al netto dell’agiografia compiacente –, comincio con un assaggio d’attualità. Che si può sintetizzare così: ogni orologio Breguet attuale è frutto di un procedimento che spinge molte persone, dal progettista a chi fa il controllo finale, a fare il proprio lavoro continuando a chiedersi: «Ma come lo farebbe Abraham-Louis Breguet?». La risposta in certi casi è più facile, in altri meno. Prendiamo i due Breguet oggetto di questo articolo: il Classique 7337 e il Classique 7137.
Basta guardare le immagini per rendersi conto che la disposizione delle informazioni sul quadrante è uguale o comunque coerente con i modelli del passato. Le differenze sono dovute più che altro alla necessità di utilizzare come base un movimento già esistente per evidenti ragioni commerciali: nemmeno Breguet e l’Alta Orologeria in generale possono esagerare con i prezzi. Ai tempi di Abraham-Louis i prezzi erano folli, ma in compenso era possibile “personalizzare” ogni orologio prodotto, se la cosa veniva richiesta. Oggi è possibile farlo, ma di solito comporta l’uso di moduli specializzati che non solo costano cari, ma per giunta aumentano lo spessore.
Un esempio? Mettiamo a confronto il Breguet Classique 7337 con il suo “antenato”, un orologio da tasca del 1823. Nel nuovo Classique 7337 è diversa la posizione del quadrantino dei secondi continui; e sulla sinistra non troviamo il misuratore graduato, ma l’indicazione del giorno della settimana. Ciò è dovuto appunto alla volontà di diminuire al massimo le modifiche. Oltretutto spostare i secondi continui dall’altra parte sarebbe stato sì possibile, ma avrebbe interferito con l’indicazione del giorno della settimana.
Vi chiederei anche di osservare quanto siano più eleganti le lancette attuali, più in linea con i colori, rispetto al pur splendido modello del passato. E vi chiederei – ancora – di osservare la superiore qualità delle decorazioni applicate alle fasi di luna; e (in generale, sempre tenendo conto che stiamo confrontando parametri nelle dimensioni di un “tasca” a fianco di un “polso”) quella del guilloché sul quadrante, dei pattern incisi manualmente. Il che porta l’amato lettore al…
Capitolo secondo – Il quadrante
Cambia poco: dirà qualcuno. Errore, vi risponderò io.
È vero: si parte comunque da una lamina d’oro, incisa a mano usando una complessa macchina. La macchina consiste in un “credenzone” collegato ad un essere umano, un artigiano paziente, esperto e con la mano ferma. L’artigiano sostanzialmente deve seguire, con una specie di penna, il disegno tracciato su un modello di dimensioni ben più grandi. Una roba ben complessa, dal momento che il “processore” di questo computer grafico ante litteram è un essere umano. Che deve gestire contemporaneamente il moto diretto con cui la mano segue il disegno, ma anche alcune “sfumature” tracciate con servomotori e persino un pedale, un po’ come fanno anche gli organisti.
Se mi chiedete perché l’oro, la risposta non è “spreco”. Non è come in una vecchia splendida canzone di Paul Simon (“Diamonds on the Sole of Her Shoes”, l’album era “Graceland” del 1986), in cui una ragazza è così ricca da avere diamanti persino sulle suole delle proprie scarpe… Ma sto divagando. Non è spreco, no, ma il fatto che l’oro è “morbido” da incidere, è pressoché inossidabile – e quindi pur argentato tende a non invecchiare. È perfetto per un super orologio come sono quasi sempre stati i Breguet. Certo: pattern come quelli che trovi sul quadrante di un Breguet puoi farli anche stampando una lamina di ottone. Ma non avrai mai quella qualità, non avrai mai quella profondità di incisione che porta ancor oggi Breguet ed altre poche marche a preferire il lavoro con macchine specifiche.
Che però creano un grosso problema. I quadranti guilloché degli orologi Breguet sono forse la parte più lenta da produrre. Attenti: questo incide relativamente poco sulla produzione degli orologi complicati e sulle serie limitate, che comunque richiedono tempi lunghi. Qui la cosa peggiore è si allungano i tempi di produzione e consegna degli orologi relativamente più facili da produrre e commercializzare. E questo è un problema serio perché vuol dire ritardi che fanno arrabbiare tutta la catena commerciale, compratori finali compresi.
Marc Hayek – responsabile delle marche d’alta orologeria appartenenti (come Breguet) a Swatch Group – è una persona molto pratica, per cui si rimbocca le maniche e ramazza sul mercato tutte le macchine “antiche” per incidere i quadranti come si deve. Le paga un occhio della testa perché ce ne sono poche e i marchi contendenti sono anch’essi di gran peso. Il tutto finisce in una gara al rialzo che consente a Breguet di respirare – direi – un poco, ma per poco.
Il problema quindi si ripropone e Marc, secondo una leggenda che appare piuttosto concreta, affida ad una ditta specializzata progettazione e realizzazione di una macchina in grado di eseguire i migliori guilloché possibili. La ditta progetta, crea prototipi, ma Marc Hayek non è soddisfatto. Dopo una lunga serie di tentativi appare chiaro che le vecchie macchine, i vecchi torni “à guillocher” restano imbattibili. E allora Marc cambia strada. Prende una preziosissima macchina antica e dice: «Ora me la rifate così, pezzo per pezzo, introducendo novità solo quando è strettamente necessario e non peggiora la qualità dei quadranti».
Non al primo colpo, sembra, ma la cosa funziona. E si riesce a realizzare una macchina per il guilloché che non è antica, perché di antiche non ce ne sono più manco a pagarle a peso d’oro; ma funziona come una antica, pur dovendola pagare quasi a peso d’oro. Dire che il problema sia risolto è un’utopica speranza, perché comunque poi bisogna allenare le persone in grado di usarla, quella macchina, ma sempre meglio di un calcio negli stinchi. Tutto risolto? Nemmeno per sogno! E questo porta me e lo stimato lettore verso il conclusivo…
Capitolo terzo – Il movimento
Bene: con il Classique 7337 (e 7137) abbiamo uno splendido progetto storico trasformato in un progetto moderno, contemporaneo; (secondo me altrettanto splendido se non di più: ma decidete voi perché di gusti personali non m’impiccio). E abbiamo un quadrante… Beh, come sopra. Ma non basta. Per fare un orologio serve una cassa (ne accenno nelle didascalie) che ospiti un movimento. Nel caso del Classique 7337, un movimento di qualità pari alla fama di Breguet, alla genialità di Abraham-Louis, alla qualità e genialità del quadrante, e così via. Di fatto (ma il discorso vale più o meno per tutte le marche di Alta Orologeria) si tratta di un altro “imbuto”, un’altra difficoltà che impedisce una produzione in più vasta scala a costi “umani” – come direbbe il ragionier Fracchia.
Nicolas G. Hayek comprò Breguet più che per la marca in sé, per La Nouvelle Lemania, fabbrica di movimenti “annessa”. Acquistare La Nouvelle Lemania per Hayek voleva dire riprendersi la fabbrica che produceva il movimento del Moonwatch di Omega, mica pizza e fichi. Era in grado di produrre anche altri buoni movimenti, ma per Breguet (la faccio breve) si poteva e si doveva fare di più. Fu quindi trasformata in una manifattura per i movimenti complicati integrati, per alcuni moduli specializzati e per le modifiche ad alcuni movimenti prodotti da fabbriche dello stesso Swatch Group, ma altamente personalizzati.
Ecco arrivare quello che originariamente era il Calibro 71 di Frédéric Piguet. Che, in buona sostanza, vuol dire Blancpain (i legami fra Frédéric Piguet e Blancpain sono un’altra bella storia). Originariamente è un calibro nato nel 1988, figlio del precedente Calibro 70. La stragrande maggioranza dei tecnici considera ancora oggi il Calibro 71 (riconoscibile per il rotore decentrato) come uno dei migliori movimenti solo tempo. E questo per la sua qualità in rapporto alla capacità di trasformarsi, grazie all’aggiunta di moduli specializzati e a lavorazioni particolari come la scheletratura. Il Fregoli dell’orologeria moderna. (Leopoldo Fregoli era un attore trasformista diventato mitico negli anni a cavallo fra l’800 e il ‘900; il bisnonno di Arturo Brachetti).
Brevemente: all’interno del Classique 7337 c’è il Calibro 502.3 QSE1, un movimento meccanico a carica automatica. 12 linee, con i suoi 3,80 mm di spessore può essere definito un movimento extra-piatto; come il Calibro 71 da cui deriva, che ha uno spessore di 2,4 millimetri. È montato su 35 rubini, conta 236 componenti ed ha un’autonomia di 45 ore. Il rotore di carica (massa oscillante) è realizzato in oro e inciso a mano con le stesse macchine usate per il quadrante.
La modifica più importante, rispetto al calibro di derivazione, è la sostituzione dell’organo regolatore. Che è composto da un esclusivo bilanciere a inerzia variabile; da una molla a spirale piatta in silicio (Breguet è stata una delle prime marche d’Alta Orologeria ad adottare la spirale in silicio) con curva finale altrettanto esclusiva; e un proprio scappamento ad àncora invertita con componenti in silicio. Un movimento che molti tecnici amano per la sua qualità complessiva, ma soprattutto per il suo saper coniugare passato prossimo e futuro. Il tutto condito da una prelibata salsa al passato remoto: questo è Breguet, signori!