Traslucido, completamente trasparente, o quasi: il J12 X-Ray ha la cassa, il quadrante, alcuni componenti del movimento e perfino il bracciale realizzati in vetro zaffiro. Come se fosse un orologio visto ai raggi X, appunto. Un esemplare senza precedenti, che festeggia i 20 anni della celebre collezione di Chanel Horlogerie (come il J12 Paradoxe). Notevole proprio per come è fatto.
Il vetro zaffiro è un materiale creato dall’uomo: un tipo di corindone sintetico (ossido di alluminio), estremamente duro (9 nella scala di Mohs, secondo solo al diamante) e difficile da lavorare. Ormai diffuso in alta orologeria, non lo si è mai visto però come nel J12 X-Ray: di solito è utilizzato per la cassa e il quadrante, mentre esistono pochi precedenti per le parti meccaniche. Riguardo al bracciale, poi… si tratta proprio di un unicum.
Ma, qualcuno può obiettare, il J12 è l’orologio in ceramica per eccellenza: non sarebbe più il J12 se non fosse fatto di ceramica. Ed è vero: anche se non è stato il primo in assoluto (già negli anni Ottanta c’erano i Rado), è stato però quello che ha trasformato la ceramica in una vera e propria caratteristica dell’orologeria del XXI secolo. Oltretutto Chanel se la produce “in casa”, nella manifattura Châtelain di La Chaux-de-Fonds. E la conosce a fondo, la padroneggia in tutte le fasi di produzione.
L’ha perfino applicata in via sperimentale alla micromeccanica: basti pensare al J12 Tourbillon Joaillerie del 2005. Un’edizione limitata il cui movimento – calibro 05-T1, a carica manuale – era montato su una platina in ceramica prodotta con tolleranze infinitesimali. Quindi, tranquilli: la ceramica resterà sempre il principale segno di identità del J12. Questo è certo.
E allora, come la mettiamo? Cosa c’entra la ceramica con il vetro zaffiro? In realtà diverse analogie li rendono più simili di quanto si possa immaginare. Entrambi sono prodotti in laboratorio, entrambi sono inscalfibili e praticamente inalterabili nel tempo. Ed entrambi sono pesi piuma, anche se a dire il vero il vetro zaffiro è quasi una volta e mezza più leggero della ceramica: l’ossido di alluminio ha una densità di 3,95 g/cm3, l’ossido di zirconio (che è alla base della ceramica) di 5,7.
Non c’è da stupirsi quindi che i tecnici Chanel, abituati a lavorare con materiali high-tech, non solo allarghino il campo d’azione, ma cerchino nuove applicazioni, spingano la ricerca al limite. Del resto lo fanno sempre, è tipico dell’orologeria Chanel. Di diverso c’è solo che il vetro zaffiro non è prodotto in casa, ma da un’azienda specializzata con cui la maison collabora (e su cui mantiene il più totale riserbo). Un fornitore esterno che, ci scommetto, deve aver sgranato tanto d’occhi quando si è visto commissionare i pezzi del J12 X-Ray. E imprecato non poco durante le fasi di realizzazione.
A cominciare dalla cassa: la carrure con le anse integrate, il quadrante, il fondello e perfino la corona sono ricavati da blocchi di vetro zaffiro. Che vengono scavati, intagliati o sagomati con frese e altri macchinari a punta diamantata (perché il diamante è appunto l’unico materiale più duro del vetro zaffiro, quindi in grado di lavorarlo). E infine lucidati con tecniche di microabrasione (getti d’olio ad alta pressione contenenti particelle di diamanti).
Al di là delle intrinseche difficoltà di lavorazione, qui il problema maggiore dev’essere stato prima di tutto riuscire a reperire porzioni di materiale integralmente perfette. Cioè pezzi di vetro zaffiro privi di difetti, di bolle d’aria, di intrusioni seppur minime, in tutta la superficie, così da ottenere un risultato finale impeccabile. E non dev’essere stato facile, in particolare per i componenti più grandi – come la cassa, ricavata da un blocco solo.
All’opposto, le difficoltà di lavorazione aumentano in modo esponenziale per i componenti più piccoli: cioè quelli del movimento. Il Calibro 3.1 – concepito e realizzato in casa (e dove, se no?) – ha infatti la platina e due ponti realizzati in vetro zaffiro. Il che significa… cavolacci amari. Per questioni di spessore, tolleranze, tecniche di lavorazione.
Fresare componenti così sottili comporta rischi enormi di rottura in relazione alla velocità della fresa stessa, alle conseguenti vibrazioni e al surriscaldamento del materiale (il vetro zaffiro, lo ricordo, è durissimo). Non oso immaginare quanti pezzi devono aver gettato via soprattutto all’inizio, durante i primi tentativi, quando ancora non erano stati messi a punto i giusti procedimenti. Il cosiddetto savoir-faire.
Anche le stesse fasi di assemblaggio devono essere state impegnative. Per montare elementi in vetro zaffiro con altri in metallo per mezzo di viti bisogna avere una grande sensibilità. Se si stringe troppo, si rischia di fratturare il materiale; troppo poco e si compromette la stabilità del sistema. E lo spessore ridotto del vetro zaffiro, così come le dimensioni delle viti, non fanno che accrescere le difficoltà. Quindi, chapeau alla manualità dell’orologiaio che ha assemblato il movimento del J12 X-Ray.
Infine il bracciale. Identico a quello in ceramica nella forma e nella struttura, dev’essere stato un’altra gran bella grana. I problemi sono di base gli stessi affrontati per la cassa: nessuna imperfezione nel vetro zaffiro di base – anche se i link sono per fortuna più piccoli di un fondello o di un quadrante. In compenso però sono più esposti all’attenzione di chi guarda; non hanno cioè sovrapposizioni o incastri che consentono di camuffare un difetto microscopico. Quindi il materiale deve essere il più puro possibile.
Non solo. Le maglie del bracciale sono molto numerose, hanno geometrie complesse, e poi ciascuna va forata per inserire le barrette di congiunzione. Insomma, aumentano notevolmente i rischi di rottura come pure le difficoltà di realizzazione. A quanto mi risulta nessuno finora si era mai spinto a tanto, per quanto ne so nessuno ci aveva mai provato. Ecco perché il bracciale in vetro zaffiro è stata la prima cosa che mi ha colpito.
Se si mette insieme tutto questo, si intuisce il motivo per cui il J12 X-Ray è realizzato in un’edizione limitata di 12 esemplari. Ed è già tanto che Chanel sia riuscita a ottenere questo numero. Mi auguro che la competenza raggiunta con il J12 X-Ray non vada sprecata, anzi sono certa che possa avere un seguito. Forse più d’uno. Perché l’orologeria Chanel sembra nata per stupire, e continuerà a farlo.