Viaggio semiserio fra i testi di musica leggera, italiana e non, alla ricerca di riferimenti orari e orologieri. Un repertorio sull’idea del tempo nelle canzoni, compilato da Ranieri Polese. Con cui iniziamo una divertente (e divertita) collaborazione
Il tempo nelle canzoni: gli orologi
Le canzoni italiane (e non solo) hanno qualche problema con gli orologi. Nelle parole delle canzoni di Sanremo, dal 1952 al 2020, “orologio” compare solo 11 volte. E una volta sola, si deduce, si tratta di un orologio da polso: in Lentamente (Il primo che passa), 2019, Arisa cantava di «quell’orologio fermo / che hai lasciato sopra il letto». Lui, si capisce, ha passato la notte con lei e se n’è andato. Per sempre. Senza l’orologio, che si è fermato e «si è sciolto sopra al letto». Attenzione: non lasciare mai orologi sul letto se non volete che diventino liquidi come quelli di Dalí.
Eppure il tempo è un elemento importante nelle canzoni. Un tempo che si può misurare, a volte, ma spesso è una dimensione soggettiva: minuti che durano un’eternità (Eternità, Ornella Vanoni), attimi senza fine (Senza fine, Gino Paoli), amori che fermano lo scorrere delle ore, addii che spezzano l’anima e arrestano le lancette degli orologi. Lontano dal Festival, nel 1968, Caterina Caselli cantava L’orologio che nel refrain ripeteva la domanda: «Ma dimmi per favore che ore sono al tuo orologio».
Il tempo nelle canzoni: mezzanotte
Eppure ci sono alcune ore canoniche di cui bisogna tener conto. Come mezzanotte, momento magico per l’amore come sapeva Joe Sentieri: «È mezzanotte, anzi lo era, fra un bacio e l’altro già rintoccano le due (…) fammi restare abbracciato con te fino alle tre» (È mezzanotte, Sanremo 1960). Ma se tre ore vi sembran poche, allora vale la pena di ricordare Bill Haley che nel 1954 cantava Rock Around the Clock, manifesto del rock nascente che di ore ne contava dodici facendo, appunto, il giro completo del quadrante: «One, two, three o’clock, four o’clock rock. / Five, six, seven o’clock, eight o’clock rock. / Nine, ten, eleven o’clock, twelve o’clock rock».
Certo, mezzanotte è anche un’ora pericolosa, per esempio per le signorine italiane che non si devono «fidar di un bacio a mezzanotte» perché, complici le «stelle galeotte», lui si può spingere un po’ troppo in là e lei rischia di non essere più l’illibata fidanzatina che il maschio italiano porterà all’altare (Un bacio a mezzanotte, 1952). La pretesa dell’italiano di essere il primo e l’unico è dura a morire, come dimostra Adriano Celentano (Una carezza in un pugno, 1968): «A mezzanotte sai che io ti penserò, ovunque tu sarai sei mia»; ma ecco il dubbio e la minaccia: «Ma non vorrei che tu a mezzanotte e tre stai già pensando a un altro uomo (…) e la mia mano è diventata un pugno».
Mezzanotte, comunque, sconta i postumi di una fama sinistra. Per Caterina Caselli (di nuovo L’orologio) è l’ora delle streghe, forse perché ricordava il celebre inizio de Il trovatore di Verdi, quando le guardie di notte ascoltano il pauroso racconto di Ferrando che ricorda come lo spirito maledetto di una vecchia strega continui ad apparire a mezzanotte. E in quel momento l’orologio del castello batte i dodici rintocchi! C’è poi Bruno Martino che, quando incide Dracula cha cha cha (dal film Tempi duri per i vampiri, di Steno, 1959) aggiunge un parlato che introduce la canzone: «È mezzanotte! L’ora dei vampiri. Dracula, aaaah!».
Insomma, a quell’ora i morti viventi escono dalla tomba, i vampiri cominciano la loro caccia, le streghe si scatenano. Quindi, sarà anche l’ora dell’amore, ma dovete stare molto attenti. Perché si possono fare dei brutti incontri, tra gufi (Verso il sole, Al Bano 1997) e scarafaggi (Scarafaggi, Goffredo Canarini, 1975). Ed è soprattutto l’ora dei cuori solitari, che si aggirano come zombi romantici, perché sono stati abbandonati. Come Stefano Sani, che cantava: «Guardo l’orologio: Mezzanotte batte già, / ma la mia buonanotte, adesso chi me la dà?/ Lisa se n’è andata via» (Lisa, 1982). A mezzanotte Cenerentola, dopo aver ballato con il principe, perde la scarpina; e Milva, che non ha incontrato il principe, perde l’ultimo tram dopo una serata sbagliata (L’ultimo tram, 1964).
Il tempo nelle canzoni: mezzogiorno
Molto più povero il repertorio di mezzogiorno, un’ora che va bene per il western (Mezzogiorno di fuoco/High Noon, 1952) ma è poco adatta all’amore. A quell’ora le famiglie in vacanza al mare vanno a pranzo, ci si contenta di poco perché è Un giorno popolare (Viola Valentino, 1981). Un brano che ci dice molte più cose dei cosiddetti saggi socio-antropologici sugli italiani: «È mezzogiorno di un giorno popolare / nel ristorante gestione familiare, / e dopo uno spaghetto scarso e scivoloso / tutti speriamo in un secondo muscoloso. / E in questa situazione balneare / e mentre tutti pensano a mangiare / io penso agli affari miei».
Canzoni e letteratura (alta)
A volte, anche se le occasioni non sono tante, per indicare l’ora si ricorre a un testo letterario. Così fa Milva: complice la registrazione di Arnoldo Foà (metà anni ’50, un milione di copie vendute), che aveva reso popolare Federico García Lorca e il suo Lamento por Ignacio Sánchez Mejías, canta in Flamenco Rock: «Alle cinque della sera / non c’è il toro nell’arena, / alle cinque della sera sono a letto i matador. / Alle cinque della sera non si vede una mantilla / sui bastioni di Siviglia fanno il rock sì! Fanno il rock!».
Comunque si giudichi il risultato, questo comunque è uno dei casi in cui la letteratura alta si travasa nelle canzoni. E lo fa con un poeta moderno, Lorca, quando qui, da noi, si tornava sempre al Medioevo e a Dante: «Ora nona, suona suona / e dimmi ancora è tardi non verrà», Borgo antico, il primo successo di Claudio Villa, 1949. L’ora nona, nelle regole monastiche, corrisponde alle 15; Dante, già citato nella canzone (il poeta che immortalò Paolo e Francesca), per esempio, facendo parlare l’antenato Cacciaguida (Paradiso, XV) scriveva: «Fiorenza dentro de la cerchia antica / ond’ella toglie ancora terza e nona».
Claudio Villa, è vero, era “antico”, però, Quando, quando, quando (1962), successo mondiale del “moderno” Tony Renis, secondo alcuni acuti filologi si rifà a un celebre sonetto di Petrarca. «Dimmi (…) l’anno, il giorno e l’ora in cui», così la canzone; «Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, et l’anno / et la stagione, e ’l tempo, et l’ora, et ’l punto», così il Canzoniere, LXI. (Continua…)