Approfondimenti

Il 5370P: Patek Philippe e le acrobazie dello sdoppiante blu

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Io lo chiamo sdoppiante, perché la lancetta dei secondi si divide in due, a comando. I francesi lo chiamano à rattrapante, perché dopo un altro comando le due lancette si riuniscono (rattraper, in francese). I tedeschi lo chiamano doppel chronograph perché di fatto è un cronografo doppio. Sempre e comunque si parla di una complicazione squisita e difficile da progettare ed eseguire. Quando poi c’è di mezzo Patek Philippe non bisogna stupirsi se il suo sdoppiante, la Ref. 5370P, costa quanto un signor appartamento: 242.660 euro, per la precisione. La domanda, come al solito è: ma li vale? E la risposta, come al solito, è sì: il nuovo sdoppiante Patek Philippe 5370P (parente prossimo dell’esemplare presentato nel 2015, che allora costava circa 230.000 euro) vale ogni centesimo del suo prezzo stellare.

Patek Philippe è Patek Philippe proprio perché non ti frega mai. Basti pensare che i rari esemplari in vendita del precedente modello veleggiano su valutazioni più o meno doppie rispetto al prezzo originale. Se Patek volesse giocare sporco potrebbe aumentare i prezzi, diminuire la produzione (destinando risorse ad altri orologi complicati, magari) e guadagnare di più. Ma non sarebbe onesto. C’è di più: né il modello del 2015 né questo 5370P sono prodotti in serie numerata e limitata. La quantità viene naturalmente limitata dalle possibilità pratiche di produzione. Non sarebbe certo stato difficile porre limiti precisi, aumentando ulteriormente i prezzi. Ma sarebbe stato contrario allo spirito di Patek Philippe.

Cos’è un cronografo sdoppiante? Per definirlo si fa prima ad illustrarne il funzionamento. Premi il pulsante al 2 e attivi le funzioni crono. Parte la lancetta dei secondi e inizia il rilevamento. I minuti crono vengono totalizzati (con scatto istantaneo) sul quadrantino al 3, mentre al 9 abbiamo i secondi continui. Torni a premere il pulsante al 2 e la lancetta centrale dei secondi si arresta. Premi il pulsante al 4 e le indicazioni cronografiche si azzerano. Questo è il normale cronografo. Ma se tu volessi non solo misurare la durata di una gara, ma anche il tempo sul giro di un evento che si svolge su più giri? Ecco lo sdoppiante: premi il pulsante al 2 e le funzioni crono partono regolarmente. Quando finisce il primo giro non arresti il rilevamento tornando a premere il pulsante al 2, ma premi quello al 3, coassiale con la corona di carica.

A questo punto scopri che il 5370P, come tutti gli sdoppianti, possiede due lancette dei secondi sovrapposte, una delle quali si arresta premendo, appunto, il pulsante coassiale, mentre il rilevamento procede normalmente. La lancetta ferma ti consente di rilevare il tempo sul giro, dopodiché torni a premere il pulsante al 3 e le due lancette dei secondi si riuniscono, proseguendo insieme la propria corsa fin quando la gara termina (magari dopo più rilevamenti dei tempi parziali) e premi il pulsante al 2 per concludere l’operazione. Con il pulsante al 4, poi, azzeri le lancette e sei pronto a un nuovo rilevamento. Il cronografo sdoppiante, in pratica, è un cronografo che consente di rilevare tempi parziali all’interno di un evento totale. Per l’elettronica è un gioco da ragazzi, per l’orologeria meccanica una vera e propria acrobazia tecnica.

Nelle note tecniche del movimento che anima il 5370P, il Calibro CHR 29-535 PS, Patek Philippe con la solita serena trasparenza indica un dato molto interessante da considerare. Parla di un’autonomia massima di 65 ore e minima di 55. Tu mi dirai: cosa diavolo vuol dire quella differenza (quasi il 20 per cento) e cosa c’è di trasparente nel dichiararla?
Beh, il punto è che – contrariamente a quanto la maggioranza degli appassionati crede – non esiste orologio meno preciso di un cronografo. Qualunque cronografo.

Perché ogni volta che si azionano le funzioni cronografiche il bariletto subisce una improvvisa e consistente richiesta d’energia che varia l’amplitudine del bilanciere. L’amplitudine è l’ampio angolo che il bilanciere compie ruotando su se stesso. È fondamentale che l’amplitudine sia costante per ottenere maggior regolarità di marcia e quindi maggior precisione. Anche altri dispositivi (a partire dal datario, salendo su fino ai calendari perpetui, mentre proprio per questa ragione i ripetizione minuti hanno di solito un secondo bariletto dedicato) producono maggiori richieste di energia, ma in maniera prevedibile e quindi regolabile con relativa facilità. Nei cronografi no, non è possibile perché nessuno può prevedere quando e quante volte le funzioni crono saranno attivate.

È quindi importante ricordare che i cronometri sono orologi di elevata precisione – di solito certificata da specifici test. I cronografi sono invece orologi scarsamente precisi in generale, ma molto precisi quando si tratta di effettuare rilevazioni di intervalli di tempo. Se poi il cronografo è anche sdoppiante, va da sé che con l’imprevedibilità di cosa farete aumenta anche l’imprecisione dovuta alle maggiori richieste d’energia. È per questo che Patek Philippe, con rara trasparenza, indica in 65 ore l’autonomia massima (quando non fate rilevamenti), che scende a 55 ore se giocate come pazzi con le funzioni crono. La maggior parte degli altri produttori glissa su questo particolare come sul ghiaccio i pattinatori.

Interessante è anche notare come Patek Philippe fornisca un’indicazione di massima sul consumo d’energia di un cronografo sdoppiante (intorno al 20 per cento, dicevamo). Pur essendo molto scarsa la letteratura diffusa su questo argomento, si sa (non ufficialmente, è chiaro) che cronografi di altre marche “consumano” molto di più. Diciamo che le variazioni possono superare il 50 per cento, laddove i migliori movimenti integrati (El Primero, ad esempio, ma è notevole, sotto questo punto di vista, il nuovo movimento cronografico di Audemars Piguet) si attestano intorno al 30/35 per cento. A cosa è dovuta a differenza? E qui i tecnici iniziano a godere, mentre noi cominciamo a comprendere la meravigliosa pedanteria di Patek Philippe. È tutta una questione di ingranaggi. O, più precisamente, di quale forma viene scelta per i denti degli ingranaggi coinvolti nei dispositivi cronografici.

Come al solito cerco di metterla giù semplice e comprensibile, anche se è tutta una storia molto complessa. Il percorso del treno d’ingranaggi relativi al dispositivo di cronografo è lungo e articolato; ed ogni elemento (non solo le ruote dentate, ovviamente) causa attriti che, di fatto, corrispondono a richieste d’energia. A complicare ulteriormente la faccenda c’è il fatto che questi attriti mutano al mutare di una serie di parametri: dal diametro delle ruote alla loro velocità, fino al tipo d’ingaggio (compresa la variabile costante/improvviso) con altre ruote o altri elementi. La scelta degli accorgimenti per limitare gli attriti è una vera e propria forma d’arte tecnologica che pochi praticano con il fervore di Patek.

E c’è da comprenderli: realizzare una piccola quantità di ruote “speciali” (perché sono pochi gli orologi che le usano) vuol dire essere costretti a rinunciare a economie di scala per ripagarsi delle costose macchine che li producono e dell’altrettanto costosa fase di finitura. Ed ecco da dove nascono i prezzi di Patek Philippe. Il suo ragionamento di base è la ricerca del massimo. E poi, solo alla fine, vediamo i costi. È giusto? È sbagliato? Sappiamo tutti qual è la risposta, anche se fa male sapere che pochi, pochissimi potranno permetterseli. Se non altro questo tipo d’orologi, poco appariscente, finisce di solito ai “polsi giusti”, polsi di (ricchi) intenditori.

Una considerazione finale va dedicata ad un effetto secondario di questa incontentabilità da parte di Patek. Ho avuto la fortuna di poter azionare i pulsanti sia del modello del 2015 che del nuovo 5370P e la sensazione di cedevolezza (arrendevole, ma non troppo) trasmette immediatamente la sensazione di una qualità davvero superiore del movimento. Gli innesti sicuri e precisi, la costanza con cui i pulsanti affondano nella cassa creano sensazioni che non sono un semplice piacere d’uso, ma la dimostrazione che l’arte dell’orologeria riesce ancora a stupire, a colpire corde profonde. Certo: invidio chi potrà permettersi il 5370P di Patek e il suo quadrante in raro smalto blu. Ma al tempo stesso sono felice perché se questo tipo d’intenditori non esistesse, allora Patek non sarebbe indotta a superare se stessa, giorno dopo giorno.