A seguito dell’approfondimento sul Chronomètre à Resonance di François-Paul Journe, riprendiamo il discorso sul fenomeno della risonanza. Per inquadrarlo dal punto di vista storico
François-Paul Journe è francese e la Francia, insieme all’Inghilterra, è la patria dei migliori orologi in assoluto, almeno fino alla metà circa dell’Ottocento. La passione per l’orologeria Journe comincia ad esercitarla come restauratore, come altri grandi artisti dell’orologeria contemporanea – Michel Parmigiani, tanto per citarne uno. Restaurare orologi vuol dire capirne l’intima essenza; vuol dire comprendere e far proprio il percorso tecnico e logico che ha condotto fino ad una serie di capolavori indiscutibili. Taglio al nero, come direbbe uno sceneggiatore.
Assolvenza sull’olandese Christiaan Huygens: fisico, matematico, astronomo e orologiaio vissuto dal 1629 al 1695. È proprio lui il primo a notare il fenomeno della risonanza. Elaborando la teoria ondulatoria della luce osservava un fatto curioso: se si montavano sulla stessa parete due pendole, a distanza ravvicinatissima, il pendolo di ciascuno dei due orologi tendeva a sincronizzare il proprio movimento ondulatorio con l’altro, come “volessero assumere lo stesso ritmo”. Huygens lo individua subito come fenomeno acustico e pochi anni dopo la sua morte (1711) il musicista inglese John Shore utilizza il fenomeno della risonanza per creare il diapason. Che, qualche secolo più tardi, sarà alla base degli orologi Bulova Accutron.
Dissolvenza e lenta apertura sul meraviglioso ghigno sarcastico di François-Marie Arouet, meglio conosciuto come Voltaire (1694-1778). Personaggio centrale della cultura francese del proprio tempo e benefattore dei neuroni di chiunque, ancor oggi, si prenda la briga di leggerne le opere. Voltaire era ben odiato dal clero perché sosteneva, fra l’altro, che Dio fosse il Grande Orologiaio dell’universo con il quale, per vivere nel migliore dei mondi possibili, era necessario mettersi in sintonia. Per risonanza, magari. Voltaire, fra l’altro, provò a creare una propria fabbrica di orologi al confine con la Svizzera, per utilizzare la manodopera elvetica che all’epoca costava niente perché gli orologi svizzeri erano allora il peggio del peggio, secondo francesi ed inglesi. L’impresa finì male, ma sul lato francese dell’aeroporto di Ginevra c’è ancor oggi la cittadina di Ferney Voltaire, meno di novemila anime. Sarà mica un caso.
Vortice visivo che tende a rimbecillire lo spettatore per staccare su John Harrison (1693-1776), l’inventore del cronometro da marina. L’orologio che consentirà di calcolare in mare la longitudine e rendere quindi più brevi e sicuri i viaggi in mare. Se osservate uno dei suoi cronometri (ancora oggi conservati al museo di Greenwich e perfettamente funzionanti), noterete due strane sfere montate su bracci mobili. Senza farla lunga, si trattava di un sistema per rendere costante la forza trasmessa dalla molla. Forza che solitamente è massima a piena carica e varia man mano che l’energia viene ceduta, fino a raggiungere livelli pericolosamente bassi per la precisione, a fine carica. È un dispositivo “a forza costante” che sostituisce quello a catena e conoide utilizzato nei secoli precedenti. Non c’entra niente con la risonanza, ma molto con gli orologi “a risonanza”. Taglio al nero – sempre immaginando una sequenza cinematografica.
Piccolo salto in avanti nel tempo per arrivare ad Antide Janvier (1751-1835) e alle pendole a risonanza da lui inventate. Di una delle quali è orgoglioso proprietario proprio François-Paul Journe. Restauratore che a questo punto comincia ad essere in possesso di un bagaglio tecnico/storico di enorme valore.
Caduto in disgrazia dopo la Rivoluzione Francese e depresso per la morte della moglie (1792), Antide Janvier decise di vendere i propri orologi e i relativi disegni ad Abraham-Louis Breguet (1747-1823) che sembra li avesse pagati una piccola fortuna. Comunque verso gli ultimi anni della sua vita Antide Janvier fu riabilitato da Carlo X, re di Francia, che nel 1826 gli concesse una piccola pensione. Morì comunque in povertà, lasciando però un’eredità tecnica di fenomenale importanza.
Abraham-Louis Breguet, che fra l’altro era un abile imprenditore, vendette (anche a proprio nome) gli orologi acquistati da Janvier e proseguì poi sulla strada del cronometro a risonanza. Arrivò ad essere il primo in grado di realizzarne alcuni nelle dimensioni (straordinariamente miniaturizzate, per i tempi) di orologi da tasca.
E alla fine arriva François-Paul Journe con il suo Chronomètre à Résonance. Da polso. Se osserviamo il prototipo del 1983, Journe copia evidentemente l’impostazione data a suo tempo da Breguet. È una tipica azione da artista (i pittori copiano per anni coloro che considerano i propri maestri, prima di elaborare una tecnica personale), in cui si innesta l’esperienza del restauratore. Un percorso lento, corretto, logico.
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“Chi si loda si imbroda”, è vero. Però mi ha fatto piacere il commento di François-Paul Journe al precedente articolo. Lo condivido con chi legge: “Ho apprezzato molto l’articolo. Augusto è uno dei pochi capaci di comprendermi pienamente e quel che lui scrive è probabilmente quanto di meglio si possa esprimere”.
Ma dal momento che anch’io, come Journe, sono un bel rompiscatole, l’ho ringraziato per i complimenti ricordandogli però che non ero soddisfatto della mia spiegazione sul Remontoir d’égalité, a proposito del quale avrei voluto maggiore chiarezza.
Journe ha risposto*: “Ciascun Remontoir d’égalité si carica ogni secondo ed è per questo che i due Remontoir d’égalité sono posizionati prima delle rispettive ruote dei secondi. Le molle che immagazzinano la forza sono lame dritte (molle lineari, ndr). Il loro movimento è molto piccolo, cosa che quasi non modifica la forza applicata agli scappamenti. Ci sono due volani che rendono visibile ogni carica al secondo”. Aggiungo solo che i volani sono quei piccoli elementi a T che si vedono sulla parte superiore di ciascun Remontoir d’égalité.
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Dopo Antide Janvier e Abraham-Louis Breguet altri orologiai si sono cimentati con gli orologi a risonanza. In particolare ci sono state ricerche molto interessanti per quanto riguarda i materiali usati per il pendolo. Un problema ben noto sta nel fatto che sia lo stelo, sia il pendolo stesso sono ovviamente sensibili alle variazioni di temperatura (ma anche di pressione, che modifica la densità dell’aria in cui si muovono). Nel tempo sono stati elaborati sistemi assai complessi per compensare queste variazioni in funzione del luogo in cui la pendola era piazzata. Una volta eseguita la regolazione, la pendola risultava quasi perfettamente stabile se collocata lontano da fonti luminose (calore) e in ambienti in qualche modo costanti. Non a caso per le grandi pendole di riferimento si sceglievano grotte ad umidità e temperatura costanti. Ma come fare per compensare le stesse variabili in un orologio da tasca?
Si cercò di fare quanto meglio fosse possibile. È straordinario un “risonanza” eseguito come tesi di diploma da Albert G. Piguet (1914-2000) nel 1933. Albert Piguet non è un tecnico qualunque: dopo essersi diplomato alla Scuola d’orologeria di Le Sentier, trova lavoro presso la Lemania di cui fu Direttore Tecnico dal 1948 fino al 1980. (Panoramica in senso geografico: Le Sentier è il villaggio in cui ha sede Jaeger-LeCoultre, a poche centinaia di metri da Le Brassus, dove si trovano tra l’altro Lemania e Audemars Piguet. Tanto per capirci). Durante la sua carriera Albert Piguet contribuì alla progettazione di parecchi movimenti: fra cui quel Calibro Lemania 321 (era nei primi Moonwatch di Omega, che lo chiamò appunto così), che come Calibro Lemania 2310 verrà poi usato come base persino da marchi tipo Patek Philippe e Vacheron Constantin.
Per il suo “risonanza” Albert Piguet realizza un movimento di soli 38 millimetri di diametro usando un solo bariletto, per evitare asimmetrie nella cessione d’energia. Una impostazione seguita anche (dopo Journe) nel “risonanza” da polso di Philippe Dufour. Ah, incidentalmente, dopo Journe almeno altri tre creatori hanno realizzato “risonanza” da polso: Dufour, appunto, Armin Strom e Beat Haldimann. Journe ha abbandonato a malincuore l’impostazione tecnica data da Breguet e solo di recente è passato al bariletto unico.
In effetti per quanto riguarda i “risonanza” di Journe le eventuali asimmetrie vengono di fatto compensate dalla presenza di un Remontoir d’égalité per lato; ancor più se – come ha fatto Journe – il Remontoir esercita la sua capacità di compensazione direttamente sulla ruota dei secondi. Ma il passaggio al bariletto unico consente un sia pur quasi impercettibile miglioramento della simmetria; consente di allocare meglio la corona di carica e – chissà – lascia uno spazio per eventuali nuovi dispositivi da aggiungere nel futuro. E la storia continua…
P.S. Se osservate bene la foto del “tasca” di Alfred Piguet noterete che non ostante la rodiatura alcune parti del movimento si sono rovinate, nel tempo. Sebbene le rodiature attuali siano di gran lunga più spesse e stabili di quelle consentite dalla tecnologia di qualche decennio fa, Journe ha comunque preferito tagliare la testa al toro e usare direttamente l’oro, per i suoi movimenti.
*Qui la versione originale in francese della risposta di F-P Journe: “Les Remontoirs d’Egalités se remontent chaque seconde, c’est pour cela qu’ils sont placés avant les roues de secondes. Les ressorts qui emmagasines la force sont des lames droites. Leurs mouvement est très petit se qui ne modifie quasiment pas la force appliqué aux échappements. Il y a deux volants qui matérialises visuellement chaque remontage par seconde”.