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Swatch 1983 Bioreloaded. Ritorno alle origini, passando per il futuro

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Pensi a Swatch e pensi a plastica colorata. Pensi a plastica e pensi a isole immarcescibili di zozzerie che ammazzano gli animali marini, che avvelenano il nostro pianeta. L’unico che abbiamo a disposizione. Swatch lo sa. O meglio, lo sa bene l’intero Swatch Group: a guardar bene la somma delle tante marche del gruppo ti rendi conto che l’impegno per l’ambiente è una cosa seria, per Swatch Group. Lo ha ribadito un paio d’anni fa inaugurando una nuova sede a Bienne, tutta realizzata in materiali riciclabili, con legno preso da alberi prontamente ripiantati e con impatto energetico pari a zero, anche se già si pensa a modifiche tali da rendere positivo il saldo. Ma resta la plastica Swatch, mi dirai. Vero, ti dico, ma per poco. È uscito infatti lo Swatch 1983 Bioreloaded, preludio a una serie di novità – tra cui il Sistem51 Bioreloaded. 

E comunque – facci caso – nessuno o quasi butta mai via uno Swatch. Magari lo lasci in un cassetto in attesa di cambiare la batteria, ma a meno che non ti sia finito sotto qualche peso distruttivo, lo Swatch te lo tieni da parte. Perché funzionano sempre, questi Swatch. E comunque ci sono un bel po’ di collezionisti, anche se senza più i clamori d’una volta. Collezionismo maturo. Ok, e la plastica? Che diavolo è lo Swatch 1983 Bioreloaded?

Pochi sanno che fra le aziende che fanno capo a Swatch Group ce ne sono alcune specializzate nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie e nuovi materiali. Con una particolare attenzione al rispetto dell’ambiente. Già da un pezzo, ad esempio, il gruppo utilizza solo carta riciclata oppure proveniente – con la certificazione FSC – da produzione che rispetta severe regole ecologiche. La FSC (ossia il  Forest Stewardship Council) è una organizzazione tedesca senza fini di lucro che ha per obiettivo “la corretta gestione forestale e la tracciabilità dei prodotti derivati”. Ha sede a Bonn e opera dal 1993.

Bene. A partire proprio dallo Swatch 1983 Bioreloaded, di cui parlo fra poco, tutte le confezioni e l’imballaggio degli orologi Swatch sono realizzati con materiali, alcuni dei quali esclusivi, forniti di certificato FSC. La parte interna della confezione, quella protettiva, viene ricavata da una schiuma di Paper Foam, ottenuta da amido di patate e tapioca. “Biodegradabile e riciclabile insieme ai rifiuti di carta o persino compostabile direttamente a casa propria”, come dice il comunicato stampa. Niente più plastica da buttar via, sia pure riciclandola, ma solo materiali biodegradabili e prodotti in modo responsabile. E poi c’è la plastica vera e propria. Quella dell’orologio.

In pratica si tratta di un materiale sintetico a base di semi di ricino. Due materiali biologici, usati per cassa e fibbia (che necessitano di rigidezza e resistenza) e per il cinturino. Che in più deve essere abbastanza elastico, per meglio adattarsi al polso senza creare fastidi né disagi. Confesso che di primo impatto ho avuto qualche dubbio solo su questo secondo materiale, che mi sembrava un po’ troppo rigido. Mi sono messo al polso uno Swatch Sistem51 Bioreloaded e ho scoperto che in capo a pochi giorni il cinturino prende (ma senza deformarsi) il profilo del polso. Un po’ come certi bracciali che inizialmente appaiono un po’ rigidi, ma che poi si adattano perfettamente e senza cigolii o eccessivo gioco fra gli elementi che lo compongono. Molto soddisfacente.

E l’impressione è che questo sia solo l’inizio di un percorso che – tanto per cominciare – vedrà la progressiva sostituzione di tutte le confezioni di Swatch e Flik Flak, seguita dall’uso dei nuovi materiali per cassa, fibbia e cinturino di altre collezioni. Dopodiché… Io scommetto che avremo nuove sorprese positive. Il prezzo da pagare? 65 euro per gli Swatch 1983 Bioreloaded Gent (34 mm di diametro) e 75 per i New Gent (da 41 millimetri). Non un centesimo in più rispetto ai modelli in plastica “tradizionale”.