In orologeria le persone sono importanti. Ed è importante, in orologeria, fidarsi delle persone – anche quando fanno qualcosa che non capiamo. Come nel caso di Nicola Andreatta, Ceo di Roger Dubuis. Che ci spiega il perché dell’Excalibur Superbia
Beh, non passa certo inosservato, il Roger Dubuis Superbia. Le seicento pietre preziose di cui è ricoperta la cassa di questo esemplare unico si fanno notare, direi. E fanno venir voglia di catalogare il Roger Dubuis Superbia come orologio per ricchi Superboni – se qualcuno ricordasse ancora il personaggio di un archeologico fumetto italiano. Che si chiamava Superbon de’ Superboni, appunto (una sorta di Richie Rich nostrano che somigliava come una goccia d’acqua a Donald Trump). E infine posso capire che la prima reazione, di fronte al Roger Dubuis Superbia, sia di stizzoso menefreghismo: sarà mica un orologio anche quello?
Errore. Errore. Quantomeno errore di presunzione. Che ho commesso anch’io. Poi ho pensato che le persone contano e che Nicola Andreatta, Ceo di Roger Dubuis, non è il tipo che fa le cose tanto per mettere insieme un mucchietto di pietre preziose e venderle a chi si fa intortare dalle cose che luccicano, come una gazza. Non lo faceva nemmeno quando era Vicepresidente e General Manager di Tiffany & Co. Swiss Watch. Il suo CT60 è stato la dimostrazione di come una persona di cultura possa trovare una vena creativa solida anche all’interno di una marca famosa per la propria gioielleria. Avevamo trovato in passato una condivisione di argomenti – culturali, appunto – che non poteva essere solo un episodio. E quindi ne abbiamo parlato.
Sia chiaro: con questo voglio dire che Nicola Andreatta ed io siamo persone colte? No, certo che no: nessuno di noi è un intellettuale. Siamo piuttosto persone con un discreto bagaglio di cultura personale usato per il nostro mestiere e usato con la maggiore onestà intellettuale possibile. Io cerco di essere un buon cronista, Nicola cerca di essere un buon dirigente. Ricordate però che un buon dirigente “tecnico” fornirà risultati per aumentare i fatturati, ma “a tempo determinato” perché il suo metodo tecnico funzionerà alla grande fino al primo imprevisto. Per questo i dirigenti “tecnici” cambiano spesso di casacca.
Invece un dirigente con un buon bagaglio culturale saprà creare prodotti secondo una linea di pensiero coerente, anche in tempi di crisi, prodotti destinati a durare. Sta ai vertici decidere chi fra i due scegliere. Io non avrei dubbi. Ma io sono soltanto un cronista divulgatore che vuol condividere con voi – sempre in un’ottica di serena trasparenza – una chiacchierata che aiuterà alcuni a comprendere certi percorsi dell’orologeria. Altri rimarranno rocciosamente ancorati al proprio “chissenefrega tecnico” e mi dispiace per loro. Le buone intenzioni esistono e vanno in qualche modo premiate. Almeno con un sorriso. Altrimenti tutto è più banale.
A.V.: Un esemplare unico, il Roger Dubuis Superbia, con seicento fra zaffiri e diamanti, e movimento scheletrato con doppio tourbillon e bariletto ”volante”. Novecentomila euro. Tanta roba…
Nicola Andreatta: Se ci limitiamo al riassunto sì, me ne rendo conto. Ma quale libro si giudica attraverso un riassunto? Dobbiamo partire dalla nostra organizzazione, da quel che abbiamo fatto nel passato e da come siamo strutturati. Dobbiamo partire dai nostri tempi per lo sviluppo di nuovi prodotti, dal nostro tipo di clientela… Pensa che persino la necessità di avere il Punzone di Ginevra ci crea qualche problema. E allora, sebbene limiti la nostra libertà data l’obsolescenza delle regole, ci siamo permessi di aprire un dialogo con loro per una evoluzione che consenta di spaziare, pur rispettando lo spirito della certificazione. Come abbiamo fatto per il movimento in carbonio.
In questo senso torniamo al nostro spirito che è sempre quello di mettere in discussione regole e convenzioni, perché noi siamo in perenne bilico fra tradizione e innovazione. A ben vedere il Superbia è del resto un’evoluzione quasi automatica di quel che abbiamo fatto fino ad oggi: concentrazione su quel sappiamo far bene, e senza diluire risorse che non abbiamo. Noi siamo più piccoli di tanti altri marchi e quindi dobbiamo fare in modo che questa dimensione non sia più un limite, ma un punto di forza, un vantaggio. Dobbiamo quindi focalizzarci per elevare, migliorare, mettere ancor più in evidenza le nostre capacità tecniche, artistiche o se vuoi espressive. È la miglior strada per consolidare la nostra identità di marca.
Credo che negli ultimi tempi abbiamo fatto un ottimo lavoro nel raggiungere una clientela che vuole vivere in una certa maniera, vuole vivere certe emozioni, vuole anche sentirsi raccontare delle storie diverse dal solito. È una corrente dell’orologeria della quale siamo, in un certo senso, “soci fondatori”, lo sai. Io sto cercando di inserire una dimensione con un sostegno culturale, sempre nell’ambito compatibile con la nostra identità. È una cosa che ci appassiona e che ha avuto un primo esempio nel Roger Dubuis Excalibur Diabolus in Machina e in tutto il lavoro che abbiamo fatto sui toni dei gong per cambiare la maniera di suonare di una ripetizione minuti. Tanta fatica, tanta davvero, solo per avere un suono inedito. Piegare la meccanica apparentemente immutabile, ad esigenze nuove.
Poi arriva il Superbia e con lui Tommaso d’Aquino e tutti i ragionamenti che si possono fare sulla superbia come vizio, certo, ma anche come virtù. Per noi, infatti, l’obbiettivo era trasportare il concetto di superbia in una dimensione più positiva, fino a un memento mori divertentissimo, per quanto possa essere difficile da credere. Senza complessi, senza pregiudizi.
A.V.: E non dimentichiamo che più tardi, dal Rinascimento in poi, gli orologi venivano considerati “oggetti di vanità”. Espressione con cui a quei tempi si identificavano oggetti – e non solo – che stimolavano la curiosità intellettuale, il desiderio di conoscenza. Si trattava di oggetti costosi, perché richiedevano molto lavoro o perché provenivano da Paesi lontani, e che quindi erano riservati alle persone più ricche. C’è un orologio nel ritratto di un componente della famiglia de’ Medici e anche più tardi troveremo parecchi orologi nei ritratti dipinti da Tiziano Vecellio in tarda età. I potenti che lui ritraeva tenevano accanto gli oggetti più preziosi che avevano, fra cui gli orologi. Quando serve ad illustrare la propria curiosità intellettuale la connotazione degli oggetti di vanità…
Nicola Andreatta: …Non è necessariamente negativa, esatto. Il problema è che deve trattarsi di una curiosità vitale. A me piace molto definizione. In un certo senso Roger Dubuis è l’Andrea Sperelli (è il protagonista del romanzo “Il Piacere”, di Gabriele d’Annunzio. N.d.R.) dell’alta orologeria, combattuto fra due amori e due concezioni dell’orologeria. Il problema è quando si cade nel decadentismo, è quando ci si innamora fin troppo della propria eccellenza e quindi ci si eleva al livello di divinità. In Roger Dubuis non abbiamo questo tipo di ambizione, sia chiaro, ma allo stesso tempo ci rendiamo contro che nel portare innovazione sia dal punto di vista tecnico ci avviciniamo all’eccellenza e ci piace, ne siamo fieri. Non a caso superbia è molto spesso sinonimo di fierezza. Per me non è necessariamente così. Noi siamo fieri di quel che facciamo e della maniera in cui lo facciamo. Senza superbia, però.
A.V.: Semmai siete consapevoli di quel che sapete fare, ma come base per superare voi stessi.
Nicola Andreatta: Certo, in questo senso. E però non basta perché in definitiva se non vuoi distaccarti dalla realtà devi comprendere che il punto focale del discorso sta nella percezione di chi ti guarda. È il percepito fa la vera differenza, perché possiamo stare tutto il giorno a raccontarci e parlarci di quel che siamo, ma se lo spirito della tua azione viene percepito in maniera negativa… Per ora ci sembra che il percepito sia stato prevalentemente positivo.
A.V.: Per sintetizzare al massimo, l’impressione è che voi stiate scegliendo con maggiore definizione, con maggiore consapevolezza il tipo di cliente cui rivolgersi.
Nicola Andreatta: Sì, e credo che Roger Dubuis sia nella posizione di poterlo fare. Un orologio Roger Dubuis non è per tutti e non lo è mai stato. E non potrà esserlo nemmeno nel futuro: non avrebbe senso. Però – e ritorno a quello che dicevo prima sulla percezione – stiamo cambiando il nostro modo di proporre orologi. La nostra proposta è differente.
Ho fatto un lavoro divertentissimo quest’estate, visitando tutti i forum che in qualche modo parlano di Roger Dubuis, e ho notato che ancora una volta la visione non è per tutti. Chi è legato al classico dell’orologeria spesso non ci ama, pur apprezzando il nostro bagaglio tecnico. Ma io non ho nessuna intenzione di cambiare la testa alla gente, io non voglio necessariamente entrare in competizione con i grandi classici dell’orologeria perché la mia è una proposta che si evolve esteticamente con il tempo. Sì, certo, è radicata nei canoni dell’orologeria tradizionale – e infatti abbiamo il Punzone di Ginevra – ma contemporaneamente sto cercando nuove strade.
In questo senso penso di poter dire che sì, cerchiamo un cliente diverso come diversi siamo noi; e proprio in questo senso proviamo a “scegliere” i nostri compagni di viaggio. Mi piace pensare che la “tribù” di cui parliamo spesso – i nostri clienti, gli amici che si avvicinano al brand – sia composta da persone per le quali lo scontrino non sia l’unico motivo di ingresso. Si dice spesso che marchi come Roger Dubuis non abbiano altra destinazione se non un club di eletti, un club al quale solo pochi possono avvicinarsi perché solo pochi possono permettersi un Roger Dubuis. Ci sta, ma io vorrei pensare che all’interno di questo nostro mondo non esistano solo gli ultraricchi in quanto tali. Molti di loro posseggono anche una notevole profondità culturale e con loro ci piace dialogare.
Assodato che tecnicamente abbiamo tutte le carte in regola, vogliamo aggiungere una dimensione estetica che avvicini all’arte “l’oggetto di vanità”. Ma per far questo dobbiamo renderci conto di come sia cambiata l’arte contemporanea. Oggi nessuno si fa fare un ritratto “alla Tiziano” perché la concezione estetica dell’arte è radicalmente cambiata. La scelta di Kaz Shirane è esemplare, credo, sotto questo punto di vista.
E cambia totalmente le carte in tavola: non cerco il cliente che compra un Roger Dubuis in quanto simbolo di ricchezza. A me interessa chi comprende e condivide un percorso che ha ben altri significati. Un tipo diverso di clientela cui rivolgiamo un discorso che spero possa sfociare, in futuro, una base solida con cui condividere iniziativa. Siamo all’inizio di questo nuovo percorso, qui in Roger Dubuis, ma già ci piace moltissimo.