Approfondimenti

Dietro le quinte. Orologeria italiana: il Rinascimento?

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Confesso che non me lo aspettavo. Ho proprio sbagliato. Mi sembrava fossimo stati addirittura temerari, a parlare di orologeria italiana, e invece…

Alessandro: “Finalmente torna in vita il calibro di Morezzi!”

Marco: “Una buona notizia. Ci vorranno anche certificazioni atte a confermare il Made in Italy del calibro. Quindi la relativa documentazione della filiera produttiva e degli input esterni”.

Diego: “Verrà implementato su un orologio totalmente nuovo o rimpiazzerà il movimento di una delle serie già esistenti?”

Nunzio: “Possiamo farlo e bene! Non tradite però la locuzione Made in Italy, se volete il rispetto degli appassionati. Ricordate di mantenere fede al proposito e in bocca al lupo”.

E così via. L’articolo su OISA e l’orologeria italiana ha scatenato una bella quantità di commenti sui social. Certo, c’è anche chi chiede la prova che non si tratti di una “cinesata” – la forniremo, certo –, ma complessivamente l’impressione è che stia tornando ad alzare la testa l’orgoglio per quel che noi italiani sappiamo fare. L’idea di una orologeria italiana parallela a quella di altre nazioni, Svizzera compresa, viene finalmente vissuta bene. Forse smentendo quel “nemo propheta in patria” pronunciato da Gesù in Nazareth per stigmatizzare la fredda accoglienza dei suoi conterranei, che di solito porta una sfiga di cui possiamo fare a meno.

Cito il Dizionario Treccani, come al solito: “Parole tratte dalla frase nemo propheta acceptus est in patria sua, nessun profeta è gradito in patria, riferita dai Vangeli (Luca 4, 24; cfr. anche Matteo 13, 57, Marco 6, 4, Giovanni 4, 44). Di solito è usata per significare che difficilmente si possono vedere riconosciuti i proprî meriti, o comunque i meriti di una persona, nel proprio paese (dove si è per lo più conosciuti come uomini comuni, e con le debolezze di questi); o per lamentare il fatto che spesso le invidie e l’incomprensione dei proprî conterranei costringono gli uomini di valore a cercare il successo lontano dal proprio paese”.

Ma partiamo con un minimo di storia – recente – per capire come e perché l’idea di una orologeria italiana cominci a piacere anche agli stessi italiani.

I precursori

La Svizzera e l’Italia

Che il concetto di orologeria italiana abbia un senso lo dice anche la storia recente. Oltre a quella antica, di cui parleremo in futuro. L’Italia, del resto, ha avuto un ruolo fondamentale e sotto forme diverse. Quando non si poteva parlare di orologeria italiana (anche perché in Svizzera c’erano leggi protezionistiche comprensibilmente ferree), esistevano comunque marche svizzere, ma con dentro tanta Italia.

Cito un po’ di esempi. Eberhard & Co., tanto per cominciare, ma anche tutto il lavoro delle generazioni Binda, con Wyler Vetta, certo, ma anche Hip Hop, Breil. Anche Hublot è collegato, tramite Carlo Crocco, che ha inventato marchio e orologio, alla famiglia Binda. Cui si devono, per un certo periodo, anche non pochi modelli Longines. Ma poi ci sono Paul Picot e ovviamente Locman, il primo marchio ad esibire discretamente il Tricolore sul quadrante. E poi sono arrivati Dolce&Gabbana, che per fare i propri orologi molto, ma molto italiani, hanno comprato una fabbrica di movimenti a Ginevra, ma guardano con simpatia ed interesse alla rinascita di OISA. E altri piccoli produttori che stiamo tenendo sott’occhio, alcuni dei quali stanno già cominciando a proporre moduli specializzati da aggiungere a movimenti di base – di produzione svizzera.

È una bella situazione magmatica in cui il vulcano dell’orologeria italiana si prepara a dar vita a qualcosa che potrebbe avere conseguenze interessanti. Ero ieri sera alla Biblioteca Ambrosiana, a Milano, alla quale Dolce&Gabbana ha donato una riproduzione di un orologio da torre ispirato dai disegni di Leonardo da Vinci. L’interesse era palpabile e il commento più sussurrato era: “Non sapevo che l’orologeria italiana avesse avuto un ruolo storico”. E quando si muove un colosso come Dolce&Gabbana – con rispetto per la nostra tradizione, con riferimenti chiari e forti alla nostra cultura, con strumenti e persone italiane -, le possibilità diventano davvero interessanti.

Cosa potrebbe accadere all’orologeria italiana?

Beh, come orologeria dichiaratamente italiana c’è già il grande lavoro che Locman sta portando avanti da decenni. Sembrava una follia dire “quest’orologio è fatto in Italia”, eppure ha funzionato. Locman è una realtà italiana non soltanto per una questione di design, ma anche per la capacità di far sventolare – insieme al Tricolore – la bandiera dell’innovazione tecnologica. E oggi partecipa attivamente alla rinascita dell’OISA, appunto. Che – ripeto – non sarà una cinesata e – certo – sarà nostra cura controllare e riferire. Anche se qualcosa già sappiamo, ma bisognerà attendere ancora qualche mese.

Per ora, comunque, si sa che la filiera del Made in Italy sarà rispettata, ad eccezione di parti provenienti dalla Svizzera. Non perché sia impossibile farle in Italia, ma perché sarebbe ancora impossibile produrre un organo regolatore o un sistema antiurto a prezzi ragionevoli. Da quel che ho visto il nuovo OISA monta un ottimo, davvero ottimo bilanciere Atokalpa con sistema antiurto Kif. Roba da leccarsi i baffi, insomma.

Vedremo cosa si riuscirà a fare con i prezzi. Il movimento non sarà comunque economico, questo è certo, ma sono disposto a scommettere che i prezzi saranno concorrenziali perché avremo tutti gli occhi addosso. Tutti i critici pronti a fustigarci per ogni dettaglio meno convincente. Dovremo fare meglio e di più. L’Italia sta attraversando un ottimo periodo, nella considerazione da parte del pubblico internazionale, ma ho l’impressione che dover ammettere “però se son bravi, questi italiani” faccia venire l’orticaria a chiunque covi sotto la cenere l’immagine dell’Italia tutta pizza, mafia e mandolini.

La realtà è diversa. Siamo qui, noi dell’orologeria italiana, e ci siamo per restarci. Per costruire. Per rialzare la testa con intelligenza e capacità. Anche per questo vorrei concludere un serio invito a smetterla di guardare con diffidenza ai “modaioli” – come sprezzantemente qualcuno definisce i marchi di moda – che producono orologi. Dolce&Gabbana producono orologi veri. Con movimenti veri. Magari possono non piacervi quelli più complessi, quelli più decorati. Ma devono comunque essere guardati con il massimo rispetto, perché Dolce&Gabbana (ma attenti: anche Giorgio Armani sta scaldando i motori…) hanno oggi una funzione essenziale come ambasciatori della cultura italiana nel mondo. Pensateci su. E andate a dare un’occhiata, ad esempio, ai DG7. E se non trovate qualcosa che vi piace, allora avete un problema di banali preconcetti. L’orologeria italiana, il Rinascimento dell’orologeria italiana passa anche per l’eliminazione dei nostri stessi preconcetti, non solo quelli degli altri.