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Dietro le quinte. I prezzi degli orologi svizzeri

È un’opinione diffusa, nei discorsi tra la gente come sui social o sui forum. E succede tutti i giorni: qualcuno si lamenta dei prezzi degli orologi. Troppo elevati. Ma è vero o è falso? Sì e no, è la risposta.

Nel senso che bisogna distinguere fra due fasi: due periodi diversi nella “vita” di un orologio, prima della vendita al pubblico. Innanzitutto la fase svizzera: dal momento in cui l’orologio è prodotto in fabbrica fino a quando varca il confine per l’esportazione. Dopodiché bisogna vedere cosa succede quando l’orologio entra nel paese di destinazione – nel nostro caso l’Italia. Ecco perché divideremo questo articolo in due parti, cominciando proprio da quello che succede in Svizzera.

Per capirci meglio è importante fare una subito una considerazione: quando si parla di orologeria svizzera, tutti (o almeno molti) sono convinti che si tratti di una voce importante nel mercato mondiale delle lancette. Proverbialmente la maggiore, o almeno una delle più grandi. Ma guardiamo i numeri del 2021 – che è stato un buon anno per il settore.

Le cifre del 2021

Secondo le statistiche della FHS, l’anno scorso la Confederazione ha esportato orologi per 21 miliardi di franchi svizzeri. Il numero complessivo degli orologi prodotti è di circa 16 milioni, e di questi 16 milioni circa l’1,8 per cento ha un prezzo superiore ai 3mila franchi svizzeri. (Stiamo sempre parlando di dati dentro la Svizzera, sia chiaro). La cosa interessante è che gli orologi di prezzo superiore ai 3mila franchi svizzeri – considerati generalmente la soglia di entrata nel mondo del lusso – hanno raggiunto complessivamente un fatturato di 15,5 miliardi di franchi svizzeri. Ripeto: 15,5 miliardi sui 21 miliardi e rotti del totale. Come a dire che la stragrande maggioranza del fatturato dell’orologeria Svizzera è composto da “orologi di lusso”.

Abbiamo detto ancora che il numero complessivo degli orologi esportati dalla Svizzera è di circa 16 milioni. Ma anche qui è importante rendersi conto del contesto generale e vedere i numeri su scala mondiale. Le dimensioni di produzione della sola Citizen, colosso giapponese, vengono valutate in circa 400 milioni di orologi l’anno. Stiamo parlando di 16 milioni di orologi svizzeri contro 400 milioni di una singola marca giapponese – rendetevene conto.

Si tratta di stime, certo, perché nessuno fornisce realmente dati sulla propria produzione. Le stime dicono anche che Casio dovrebbe produrre circa 100 milioni di orologi, mentre Seiko si aggirerebbe su circa 50 milioni di orologi l’anno. (Anche se sull’esattezza di queste cifre non scommetterei molto, tutto sommato riescono a dare il senso delle proporzioni). Il che vuol dire che la Svizzera degli orologi produce complessivamente 1/3 circa della sola Seiko, 1/6 di Casio, 1/25 di Citizen. Se ne può dedurre quindi che la produzione Svizzera è un segmento di élite nel mercato totale dell’orologeria.

Gli orologi “di lusso”

Un’altra considerazione interessante riguarda la convenienza a produrre orologi di lusso. Faccio due esempi per spiegarmi meglio. Di recente François Pinault ha di fatto “regalato” Girard-Perregaux e Ulysse Nardin ai dirigenti che se ne occupavano (cioè Patrick Pruniaux). Per essere chiari, si è liberato di due marche di orologi che, pur essendo importanti sia per la loro storia che per il loro contenuto tecnico, non producono abbastanza utili per il suo gruppo finanziario. Ricordo che Kering Group differenzia la propria identità in aziende che spaziano dalla moda alla gioielleria, all’orologeria appunto.

In passato abbiamo visto che anche per quanto riguarda Richemont negli ultimi vent’anni le marche orologiere “pure” non hanno dato utili né consistenti né tantomeno in rialzo nel tempo. E questo non ostante i responsabili delle marche abbiano fatto generalmente un buon lavoro per portare in primo piano le proprie aziende. Funzionano meglio Cartier e Van Cleef & Arpels che hanno una produzione “ibrida” composta anche da gioielli (e nel caso di Cartier, profumi, pelletteria, accessori in senso lato).

Diversa è la situazione delle cosiddette “marche indipendenti”: fra le quali, attenzione, dobbiamo in qualche modo considerare i colossi Rolex/Tudor e Swatch Group. Rolex e la costola Tudor (quest’ultima in forte rialzo anche sulla quantità degli orologi prodotti) hanno dimensioni decisamente considerevoli. Rolex ad esempio è accreditata di una produzione fra gli 800mila orologi all’anno e il milione. Il che sui 16 milioni complessivi è un bel segmento…

Swatch Group, da parte sua, può essere considerata una marca indipendente sia per il fatto di appartenere fondamentalmente ad una sola famiglia, sia perché contrariamente ai gruppi finanziari non differenzia la propria produzione. Il core business di Swatch Group sono e restano gli orologi – anche se una buona parte del fatturato deriva dalla vendita di movimenti ceduti a terzi. In questo caso ad impressionare sono sia i numeri del fatturato, circa 8 miliardi di franchi svizzeri, sia i numeri degli orologi. Basti pensare che la sola Omega è più o meno pari a Rolex, mentre a entità come Longines vengono attribuiti circa 4 milioni di orologi.

A questo punto, mi dirai tu, quello che ci hai raccontato è interessante, ma quando ci parli dei prezzi degli orologi?

I prezzi degli orologi: i costi

Il punto è che, negli ultimi anni, l’orologeria Svizzera si è sempre più spostata verso l’alto di gamma, che infatti percentualmente è un segmento in continua crescita. Le piccole marche sono aumentate in maniera enorme con realtà che producono dai 200 ai 5mila esemplari l’anno. Per fare qualche altro esempio: sempre secondo stime, Panerai produce poco più di 10mila orologi l’anno; mentre A. Lange & Soehne (che ok sta in Germania, ma il discorso non cambia) sta intorno ai 5mila esemplari, più o meno come Breguet o come Richard Mille. Questo vuol dire che le enormi spese di produzione finiscono per essere ripartite tra pochi orologi. Quindi influiscono sul prezzo del singolo orologio.

Per farla breve, sui prezzi degli orologi gravano una serie di spese che ciascuna marca deve affrontare (volente o nolente, e anche se ha una produzione limitata). Fondamentalmente la parte più consistente delle spese è quella per le macchine, tanto più costose quanto più moderne ed efficienti; e insieme quella per il personale, che in Svizzera già costa caro di per sé, ma nell’orologeria supera di molto la media per la necessità di una specializzazione di altissimo livello. Un buon progettista, un buon tecnico, lo stipendio se lo fa da sé.

Dopodiché ci sono ovviamente le spese commerciali: dalla contabilità alla gestione dei pezzi di ricambio, fino alle spese per la comunicazione, il marketing e la pubblicità. Beh, quando produci pochi orologi l’anno devi a tutti i costi farti conoscere; e ti devi far conoscere in tutto il mondo. Detto così sembra poca roba, ma in pratica non lo è: pensate ai testimonial e alle sponsorizzazioni degli eventi sportivi (da quelli più piccoli a quelli di richiamo internazionale, tipo la Formula 1 o i mondiali di calcio). In passato le marche organizzavano grandi eventi di lancio delle nuove collezioni con ospiti (giornalisti, rivenditori) provenienti da tutto il mondo; oggi devono alimentare i social, che richiedono continui investimenti sia per la produzione dei contenuti che per la loro pubblicità.

A tutto questo devo aggiungere che negli ultimi anni la geografia della produzione è totalmente cambiata. Per poter fare economia di scala si sono moltiplicate piccole aziende che producono componenti “speciali”. Ovviamente non le producono per una sola marca di orologi, ma riescono a sopravvivere per l’elasticità del produrre a misura di ciascun cliente. Costa certo meno comprare componenti già fatti da produttori specializzati piuttosto che farseli da sé (la cosa richiederebbe investimenti enormi fra macchinari e tecnici, come sopra); ma la singola marca comunque questi componenti li deve pagare (in proporzione alla quantità ordinata). Insomma, anche questi sono costi che in qualche modo incidono sui prezzi degli orologi.

Conclusioni

Siamo in una fase di transizione, il cui futuro verrà delineato da un piccolo gruppo di dirigenti che stanno dimostrando grandi capacità – e più grandi ancora dovranno averne più avanti nel tempo. Ma i prezzi non diminuiranno, ripeto: non diminuiranno. È sicuro. Del resto non è che in giro ci siano molti cali di prezzi, nemmeno in altri settori, per oggetti diversi.

La cosa più impressionante e che sembrano totalmente tradite le aspettative dei grandi gruppi finanziari. Come dicevo, recentemente François Pinault ha ceduto due marche storiche al proprio gruppo dirigente proprio perché la lentezza della crescita in relazione alla necessità di investimenti non era compatibile con quella delle altre marche dello stesso gruppo.

Si sa che le marche di pura orologeria di Richemont non godono di grandissima salute né di incrementi nelle vendite. I maggiori introiti sembrano venire essenzialmente dall’aumento dei prezzi, ma la redditività è sostanzialmente ferma da molti anni. Leggermente diversa la situazione di LVMH, che sembra si stia preparando per dare alle proprie marche una specifica struttura orologiera. Il futuro è tutto da scrivere. È chiaro però che l’atto rivoluzionario rivoluzionario fatto da Pinault apre nuove strade e nuove ipotesi, di enorme interesse.

Per ora mi fermo qui. L’analisi di quello che succede all’interno dei confini della Svizzera mi sembra conclusa. La prossima volta vedremo invece che cosa accade ai prezzi degli orologi una volta superato il confine. E anche lì ci sarà molto da dire.