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Oscar Raggi, dal Wostep al futuro

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Si definisce “un traghettatore” Oscar Raggi, responsabile del laboratorio di assistenza tecnica della gioielleria Grande a Roma, rivenditore autorizzato dei più grandi marchi di orologeria. Dove sta formando quattro piccoli talenti: un lucidatore professionista, che lavora con lui da più di vent’anni, e tre orologiai. «Uno di loro arrivò nel mio laboratorio che aveva 16 anni e nessuna competenza. Oggi», riferisce Raggi con orgoglio, «sta per andare in Svizzera a percorrere la mia stessa strada».

In Svizzera, e precisamente a Neuchâtel, Oscar Raggi andò poco più che ventenne per frequentare “IL” corso di specializzazione in orologeria al Wostep, la più prestigiosa scuola del settore, che rilascia un diploma universalmente riconosciuto. Sebbene ancora non sufficientemente noto al di là della cerchia degli addetti ai lavori.

Lei è stato uno dei primi italiani a frequentare la scuola di orologeria indipendente della Fondazione Wostep. Come ci è arrivato?
Oscar Raggi: «Dopo avere imparato il mestiere da mio padre, che riparava orologi, iniziai ad avvertire l’esigenza di acquisire conoscenze teoriche e scientifiche. Chiesi ai colleghi e cercai su internet una scuola svizzera della buona orologeria che non fosse legata ad alcuna marca. Il mio obiettivo non era conoscere i prodotti, ma imparare l’arte dell’orologeria».

In effetti il Wostep nacque negli anni Sessanta, su richiesta del Governo americano a quello svizzero, con l’obiettivo di formare gli orologiai americani sulle tecniche della grande tradizione elvetica. E nel tempo la scuola è cresciuta non solo ampliando la propria offerta con corsi sempre più diversificati e approfonditi, ma anche sviluppando la propria vocazione internazionale in partnership con i maggiori istituti di orologeria a livello mondiale. Principale artefice di questo processo è stato Antoine Simonin, alla guida del Wostep dal 1976 al 2003, personaggio di rilievo nelle istituzioni orologiere nonché grande editore di libri specializzati. Ma torniamo a Oscar Raggi.

Ha sempre avvertito che gli orologi sarebbero stati il suo futuro?
Oscar Raggi: «Veramente da bambino sognavo di fare il calciatore, l’astronauta oppure il benzinaio. Dopo il liceo partii per il servizio militare. Al mio ritorno a Roma, dove sono nato e cresciuto, non avevo ancora le idee chiare. Mi affascinava il lavoro artigianale, che mantiene vivo corpo e mente (anche se noi orologiai assumiamo posizioni molto poco umane!). E sono sempre stato portato per l’applicazione delle materie scientifiche. Ho quindi iniziato ad affiancare papà. Ma dopo un po’ ho capito che quel lavoro si poteva fare in una maniera diversa. Compravo libri su meccaniche vecchie nei mercatini, e provavo a riproporre quello che leggevo. Finché non decisi di fare il salto andando al Wostep. E mi preparai per due anni».

Quali competenze erano richieste per entrare nella scuola?
Oscar Raggi: «In verità era previsto un test di ammissione soltanto per il corso biennale, che non avrei potuto sostenere economicamente. Mi iscrissi a quello semestrale che chiamavano “refresher course”, riservato ad orologiai già formati. Mentre io venivo dal lavoro artigianale “di strada”. Per questo dovetti studiare sodo».

Come si preparò?
Oscar Raggi: «Nel 1998, con un modem da 56 kb che impiegava cinquanta minuti a caricare una pagina, intercettai su internet un testo edito da Hoepli negli anni Ottanta, dal titolo Orologiaio riparatore. Nel frattempo andai tre volte in Svizzera per seguire i corsi del consorzio Eta su cronografia e movimenti di base, anche in inglese. Così iniziai a fare pratica con la lingua ufficiale del Wostep. E, confrontandomi con i colleghi, recuperai anche alcune fotocopie di testi di studio del Wostep. Partii nel 2002, a 23 anni».

Quell’esperienza ha soddisfatto le sue aspettative?
Oscar Raggi: «Le ha superate, di gran lunga. Mi trovai in una classe di dieci persone provenienti da tutte le parti del mondo. E dormivo in uno studentato con ragazzi originari di altri Paesi ancora. Oltre alla formazione orologiera, ottenni un grande arricchimento personale».

Soldi ben spesi, allora…
Oscar Raggi: «Sì, un ottimo investimento! A cui, fortunatamente, concorse in larga parte mia padre, donandomi 5 milioni di lire».

Ha mai pensato di continuare il suo lavoro in Svizzera?
Oscar Raggi: «No, la Svizzera non fa per me. Romano doc, mi considero un uomo del Sud: ho bisogno di sole, calore umano, relazioni. Sono tornato in Italia con il sogno di prendere in mano il business familiare e farlo diventare grande. Due anni dopo, invece, affittai un locale di 16 metri quadrati su viale Libia a Roma (riempendomi di debiti) e avviai un’attività in proprio. Sapevo che la strada sarebbe stata lunga. Ma nel giro di 15 anni avevo cinque dipendenti e le autorizzazioni ufficiali per i marchi più prestigiosi: da Jaeger-LeCoultre a Omega, da Iwc a Panerai».

Perché ha chiuso la sua attività?
Oscar Raggi: «Per il sogno di arrivare a Rolex. Da solo non ci sarei riuscito. Venni a sapere di un concessionario in ascesa (Grande, ndr) che voleva creare un laboratorio di assistenza. Chiesi un appuntamento al signor Grande, e gli dissi che le nostre esigenze si incontravano. E così la mia attività fu assorbita da Grande, che assunse me e il mio staff».

Un passo indietro oppure in avanti?
Oscar Raggi: «Decisamente in avanti. Da un piccolo laboratorio su strada sono passato al primo piano, dove metto in campo le miei qualità professionali per accogliere il cliente e coordinare gli interventi dei nostri tecnici, di cui curo la formazione. Mentre io stesso mi occupo della riparazione dei pezzi di alta orologeria».

Ci sta dando un buon segnale: ci sono giovani che vogliono imparare gli antichi mestieri?
Oscar Raggi: «Dipende dal maestro. Nessun giovane vorrebbe fare questo lavoro. Le prime domande che si pongono, quando iniziano a lavorare, sono “quanto si guadagna?”, “quante ore sarò impegnato?”. Bisogna appassionarli per aiutarli a vedere oltre. Ci vuole pazienza per fargli scoprire le meraviglie nascoste dentro una meccanica».

In Italia è riconosciuto il prestigio del diploma conseguito al Wostep?
Oscar Raggi: «Ni. I grandi gruppi hanno per molto tempo richiesto la formazione al Wostep per i loro dipendenti. Ma se un esterno bussava alla loro porta dicendo di avere il diploma Wostep rispondevano che non contava nulla. Questo rispecchia la logica commerciale per cui si assumono operatori meno cari e più facilmente sostituibili rispetto a un maestro orologiaio. Io ho giocato le mie carte facendomi mettere alla prova sulle mie competenze. Quello che conta è dimostrare di avere studiato e avere le competenze giuste».

Cosa intende quando si definisce traghettatore?
Oscar Raggi: «Credo di star traghettando il mestiere da quello che era una volta a quello che sarà in futuro».

E come sarà domani il mestiere dell’orologiaio?
Oscar Raggi: «Io ritengo che un maestro orologiaio servirà sempre. E dovrà essere sempre più bravo. Sarà, almeno in Italia, un mestiere ancora più di nicchia, che richiederà ancora più competenze. Perché dovrà interpretare quello che le macchine non possono fare. In un laboratorio potremo ad esempio avere dieci operatori e cinque orologiai: i primi sono come gli impiegati di McDonald’s, gli altri come gli chef».

Quale è il suo sogno nel cassetto?
Oscar Raggi: «Ho davanti un’importante scelta di vita. Spero di continuare a fare quello che sto facendo allargando il team di giovani da formare».