Attualità

Royal Oak: i 50 anni di un’icona e le celebrazioni di Audemars Piguet

{"autoplay":"false","autoplay_speed":"3000","speed":"300","arrows":"true","dots":"true","loop":"true","nav_slide_column":5}
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image
Slider Nav Image

Il 2022 è una data da sottolineare per il Royal Oak di Audemars Piguet, visto che di quell’orologio ricorre non un anniversario qualsiasi, ma il 50° di nascita. Mezzo secolo di vita è cifra bella e altamente simbolica. Niente a che vedere con certe ricorrenze tirate per i capelli cui spesso si assiste in orologeria, un mondo che proprio per sua natura ama le celebrazioni, spesso occasioni – molto gradite dai collezionisti – per l’edizione di serie speciali.

Del Royal Oak tanto si è detto e altrettanto si è scritto in questi cinque lustri. Ragion per cui queste righe non si rivolgono al fenomeno di tendenza e costume con protagonista il fortunato modello, ma alle circostanze della sua celebrazione.

L’evento a Torino

In primis l’evento privato, che di recente ha avuto come palcoscenico la Venaria Reale, a Torino. La splendida reggia dei Savoia, costruita a cavallo tra il ‘600 e il ‘700 su progetto di Amedeo di Castellamonte e Michelangelo Garove, per poi essere ridefinita dal celeberrimo Filippo Juvarra (sua anche la Basilica di Superga). Una delle tante residenze dei regnanti sabaudi che, nonostante l’epoca, non indulge al barocco, ma esprime magnificenza con ampi spazi, sorprendenti prospettive, colori chiari e tanto rigore nelle architetture. Le strutture comprendono, oltre a gallerie d’arte e saloni reali, anche giardini, caserme, scuderie e una chiesa gentilizia. Ed è l’immensa limonaia, dove d’inverno i giardinieri reali ricoveravano le piante, a prestarsi come location per l’occasione.

I drappeggi dell’ingresso si aprivano su un tappeto rosso che conduceva all’installazione-simbolo della celebrazione: il numero 50 e la sagoma del Royal Oak. Un richiamo all’inconfondibile (e allora inedita) lunetta ottagonale fissata con otto viti a vista, completata dal rigoroso quadrante guilloché con indici e lancette a bastone. Qui, era esposta in vetrina l’intera collezione del Royal Oak (dai primi agli ultimi modelli, sempre molto diversi e altrettanto uguali a se stessi), mentre uno schermo proiettava le tappe della sua storia.

Accanto, un tavolo con un prezioso quaderno. Raccontato da Sébastian Vivas, Direttore del museo e del patrimonio della Maison, custodiva gelosamente documenti, lettere, disegni, schemi tecnici e fotografie di varia mondanità. Che, in quel fatidico 1972 e negli anni immediatamente seguenti, hanno segnato la nascita del Royal Oak.

Dall’album dei ricordi

Nelle prime pagine tanto spazio a Georges Golay e Gérald Genta, allora rispettivamente apprezzato Direttore della manifattura e quotatissimo designer d’orologeria. A loro si deve la materializzazione di quell’esemplare che irrompeva nel mondo dorato e ultrasottile – oltre che ammiccante alla tecnologia del quarzo e vagamente in ritirata – dell’industria del tempo dell’epoca, sovvertendo ogni schema. Un modello d’acciaio, possente, orgogliosamente meccanico e d’alta gamma.

Posto d’onore, nell’album dei ricordi del Royal Oak, anche per Carlo De Marchi – a quel tempo distributore Audemars Piguet per l’Italia -, che aveva fortemente sostenuto anche commercialmente quella “pazza idea”. Giocandosela in prima persona e scommettendo sull’alto gradimento di quell’orologio presso il pubblico italiano. Voglio rammentare che all’epoca e per lungo tempo ancora il Bel Paese era il primo mercato al mondo per l’orologeria… (e scusate se non è poco).

Allora la sede di De Marchi era a Torino – ed ecco spiegata la scelta dell’evento proprio da quelle parti… E in un luogo altrettanto “reale” come il Royal Oak. Nome peraltro suggerito dallo stesso De Marchi. Dato dalla Marina britannica ad alcune navi della flotta Sua Maestà di fine Ottocento, per ricordare quando – due secoli addietro – Carlo II d’Inghilterra era riuscito a sfuggire ai nemici passando una notte intera nascosto dentro una quercia. Un’eredità poi raccolta da Franco Ziviani, oggi “ambasciatore” della Marca: in quell’occasione, abbiamo avuto il piacere di salutarlo con consueta simpatia e dovuta riconoscenza.

I 50 anni del Royal Oak sul web

Tutto questo e altro ancora si ritrova in Rete: dove proseguono le celebrazioni, seppure in forma meno esclusiva – anzi decisamente accessibile a tutti -, ma se possibile ancora più rievocativa. Online fin da gennaio, infatti, il sito AP Chronicles è il risultato degli anni di ricerche compiute dal team Audemars Piguet Heritage negli archivi aziendali. E intende documentare l’intera collezione dei modelli meccanici del Royal Oak, dalle origini ai nostri giorni.

Si tratta in pratica di una full immersion nelle ultime cinque decadi di storia (e più) della Manifattura, che offre un’occasione unica di arricchimento culturale. Per ora è concentrato sui primi dieci anni di vita dell’orologio in tutte le sue declinazioni; ma è oggetto di aggiornamenti continui, per soddisfare la curiosità dei collezionisti e di tutti gli appassionati della bella orologeria.

Sfogliando quelle pagine virtuali, scopriremo così i retroscena della genesi dell’orologio, incontreremo i personaggi che ne hanno definito le sorti e conosceremo i dettagli della sua ideazione – dal guilloché all’esatta sfumatura del quadrante, fino al bracciale originariamente creato da Gay Frères. Avremo modo di approfondire il calibro 2121, seguire l’uscita di diversi modelli e generazioni, imparare il motivo di nomi (Jumbo) e soprannomi (the Beast). Perfino giocare con una timeline interattiva… Potremmo insomma trascorrere ore piacevoli a leggere e informarci su un esemplare senza tempo. Nato come orologio “iconoclasta ma diventato un’icona dell’orologeria”.