Attualità

Calatrava 5226G: il restyling di un classico Patek Philippe

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Ma chi l’ha detto che il Calatrava è la quintessenza di un’eterna eleganza? È un dato di fatto dimostrato dal tempo, certo. Lo “dicono” i novant’anni (suonati proprio in questo 2022) nei quali il Calatrava si è affermato per la purezza del design e la sobrietà di stile, a partire dalla celeberrima Referenza 96 del 1932 e fino a diventare uno dei simboli di Patek Philippe. Eppure il nuovo Calatrava 5226G non ha proprio nulla di quella connotazione “classica” che appartiene ai suoi predecessori – storici o attuali (vedi gli altri dieci modelli oggi in collezione). Perché è sfacciatamente moderno. Salta subito agli occhi con un impatto estetico forte, deciso, così diverso dalla sussurrata discrezione del passato. Un aspetto spigliato, disinvolto, quasi sportivo. Talmente ben riuscito da far dimenticare in un istante la compassata formalità dei tanti precedenti.

La forza di un intramontabile design

Che poi, non fraintendetemi, io sono sempre stata un’appassionata fan del “tradizionale” Calatrava. L’ho sempre messo in cima alla lista dei miei esemplari “da sogno” (e in questo sono in buona compagnia). L’ho sempre amato per la sua chic-chissima essenzialità, a tal punto da considerarlo come l’archetipo dell’orologio da polso, l’idea – anzi no -, in assoluto un Ideale (con la i maiuscola). Ma come sempre non importa cosa piace a me. L’intento qui è sottolineare come la perfezione formale del Calatrava, la potenza di quel design lineare, pulito, in apparenza semplice, sappia essere perennemente attuale. E insieme capace di rinnovarsi del tutto, di trasformarsi in qualcosa di inedito con pochi piccoli cambiamenti.

Sì, perché a ben guardare il nuovo Calatrava 5226G, ci si rende conto che ha la stessa cassa di sempre. Un cerchio dalla lunetta sottile e dalle anse ben proporzionate che ne garantiscono la naturale vestibilità. Un metallo nobile, l’oro bianco, ricorrente nell’intera collezione Calatrava (accanto all’oro rosa o giallo, tonalità più calde che si sono susseguite nei decenni in sintonia con l’evolversi dei gusti). Un diametro di 40 mm, appena un po’ più grande del consueto, 1 o 2 millimetri di differenza a rimarcare l’impronta moderna dell’esemplare. E uno spessore comunque limitato, grazie alla presenza del ben noto Calibro 26 330 S C (a carica automatica, di manifattura), usato spesso come base per varie complicazioni e di cui ci siamo già occupati altrove.

Le novità del Calatrava 5226G

Proprio la carrure presenta una caratteristica particolare, che si ricollega alla tradizione del Calatrava anche se appare qui per la prima volta. È infatti decorata da una lavorazione guilloché, il tipico Clous de Paris che già in passato ha impreziosito la lunetta di tanti modelli della collezione (come la Referenza 6119 tuttora in catalogo). Piccola parentesi tecnica: per consentire ai maestri incisori di lavorare con continuità sui fianchi, senza interruzioni lungo l’intero perimetro della cassa, i progettisti hanno messo a punto una peculiare architettura. Nella quale le anse sono un tutt’uno con il fondello, e solo in un secondo momento fissate sotto la lunetta. Sebbene la peculiare costruzione non si possa percepire quando l’esemplare è al polso, rende comunque un unicum il Calatrava 5226G.

Ma a far la differenza è chiaramente il quadrante “testurizzato”. Di color antracite sfumato nero, esibisce una speciale lavorazione che ricorda i rilievi di un grené irregolare e molto accentuato. Ed è ispirato, secondo quanto dichiara la stessa Manifattura, alle scocche delle vecchie macchine fotografiche. Un motivo che potrebbe essere stampato sul disco di ottone con una pesante pressa a partire da un “timbro” sviluppato ad hoc, e poi trattato con una nichelatura galvanica. Ma le mie sono solo congetture: cercherò di approfondire l’argomento e vi terrò aggiornati nel caso scoprissi qualcosa di interessante. Per ora mi limito a dire che è qualcosa di mai visto prima nell’intera orologeria, e non solo nella collezione Calatrava.

E poi ci sono una serie di dettagli, che vi invito a scoprire nelle didascalie. Dettagli che dal canto loro contribuiscono a creare quell’immagine contemporanea, sportiva, con un certo “non so che” dal sapore quasi militare, sicuramente giovane e informale. Come per esempio il cinturino beige in Nabuk, pregiata pelle di vitello morbidissima e vellutata al tatto. Intercambiabile, tant’è che il packaging racchiude un altro cinturino nero, ancora in pelle di vitello ma dal motivo tessile goffrato e dalle impunture a contrasto. Senza dimenticare le finiture, come sempre di altissimo livello visto che si tratta di Patek Philippe. Potete farvene un’idea, di nuovo, con uno sguardo alla gallery qui sopra. O ancora meglio di persona da un concessionario: se ne avete uno di fiducia, chiedetegli di avvertirvi appena ne riceve un esemplare. È un’esperienza che merita, davvero.