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Miki Eleta, il maestro orologiaio che crea sculture cinetiche

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Il Giornale degli Orologi ha avuto l’onore (e il privilegio) di poter incontrare un grande maestro dell’orologeria contemporanea: Miki Eleta. Non solo orologiaio, ma artista completo, Miki giunge al mondo della misura meccanica del tempo dopo aver esplorato diverse forme d’arte, distinguendosi per uno stile inconfondibile e visionario. Basta guardare la sua ultima creazione, Passage of Time: un orologio da tavolo con complicazioni astronomiche e automa, dai componenti scheletrati interamente realizzati a mano e mostrati nel loro moto ininterrotto. Un unicum nel suo genere, affascinante e ipnotico.

Nato a Visegrad, in Bosnia Erzegovina, nel 1950, Miki Eleta vive in Svizzera dal 1973. Il suo ingresso nell’universo dell’arte orologiera è legato proprio alle sculture cinetiche, veri prodigi di invenzione, degni delle macchine per stupire gli astanti tanto in voga nelle corti rinascimentali italiane. Da queste all’orologeria, il passo è stato breve. Nell’intervista che ci ha rilasciato, di cui lo ringraziamo, ci racconta di sé e della sua filosofia.

Signor Eleta, sono affascinata dalla sua bravura. Quando ha scoperto di avere un talento per l’orologeria?
«Quando avevo cinquant’anni. Sono un autodidatta, non ho mai seguito corsi di orologeria. Tutto nacque da una scommessa, con un amico. Avevo 49 anni, guardando un orologio mi disse: “Miki, non riusciresti mai a fare qualcosa del genere”. Mi sentii punto nell’orgoglio, e dentro di me pensai: “Bene, adesso vedrai”. Così, a cinquant’anni, gli presentai la mia prima creazione. E, da allora, non mi sono mai fermato».

Un inizio un poco tardivo, ma che meraviglia! Ho visto dal suo sito che lei realizza fantastiche sculture e altre opere, ma noi ci concentriamo sugli orologi. Quando crea un nuovo orologio, da cosa comincia? Ne vede prima l’estetica, oppure pensa a delle particolarità meccaniche e a come dar loro un aspetto esterno?
«Per prima cosa ho un’idea, qualcosa che mi affascina… Una specie di visione. Allora, quando ho un’idea, faccio subito uno schizzo. Per esempio, recentemente, sono stato nei Paesi Arabi. Vivo con gli occhi aperti sul mondo: lì sono rimasto affascinato dalla cultura araba e ho deciso che il prossimo pezzo sarebbe nato con quei concetti, da quella visione del mondo. Per me è sempre così: sono sempre in ricezione nei confronti degli stimoli esterni. La prima cosa per me è una specie di idea base. Immaginiamo di voler fare una pizza. Bene, intanto deve essere una pizza. Poi, le variazioni sul tema sono innumerevoli… Poi, strada facendo, aggiungo, modifico.

Tante volte, i clienti mi dicono che vorrebbero un mio orologio e mi chiedono se posso almeno mostrare un rendering digitale. Come ben sapete, questo è quanto succede nel mondo degli orologi da polso, in cui il cliente vede al computer in anteprima quanto sarà realizzato in modo praticamente perfetto. Per me no: faccio uno schizzo, ne faccio un altro, non lo so ancora neppure io… Io non mi sento un produttore di orologi: piuttosto, un artista, una specie di Picasso…».

Diciamo Leonardo da Vinci? Ma realizza solo pezzi unici?
«Come dicevo, mi viene un’idea. Ma quest’idea deve anche esprimere qualcosa, una filosofia, anche se ovviamente deve rispondere alle leggi della meccanica. Penso a come lo vorrei, mi fermo a meditare se le mie idee siano fattibili o meno, o se lo siano i desideri dei miei clienti. A volte, le persone chiedono cose impossibili, ma spesso riesco a fare anche quelle.

Vorrei paragonare il mio processo creativo a quando cammino in un bosco. Adoro passeggiare nei boschi. Vago senza meta, con gli occhi ben aperti, pronto a cogliere ogni meraviglia che improvvisamente mi si presenti davanti. Non faccio mai due volte la stessa passeggiata: vedo e sento cose diverse ogni volta. Porto con me la mia idea di base, ho i miei strumenti mentali per elaborarla, ma lascio che luci e rumori, immagini e suoni mi ispirino.

Io sono un uomo libero: non dovete pensare a me come si pensa nei termini di un produttore, una maison. Non ho un Ceo che insegue risultati trimestrali, numeri: pensano ai bilanci, ma non agli orologi. Mi permetto di dire che non sanno quel che fanno. Io penso solo al mio prossimo pezzo, il resto è a seguire».

Non la guidano i numeri, la guida il cuore.
«Certo, io mi faccio guidare dall’emozione».

Se Miki Eleta avesse la macchina del tempo e potesse tornare nel passato, quale grande orologiaio vorrebbe incontrare?
«Oh, ma che bella domanda. Ne vorrei incontrare tanti… Forse, per primo, John Harrison. Ma anche Abraham-Louis Breguet, e Antide Janvier… Mi affascinerebbe poter comprendere il loro processo mentale, loro che dovevano fare tutto senza l’aiuto dei computer, impiegando giorni, mesi, anni per creare un singolo pezzo. L’aspetto intimo, emozionale, la loro capacità di padroneggiare meccanica, matematica, astronomia, musica: questo vorrei comprendere.

In un certo senso, è quello che cerco di ricreare: un tutto che comprenda tanti rami del sapere. Io non copio nulla, ma amo trarre ispirazione da quello che incontro. E anche se io non copio, non mi importa se altri mi copiano. Non ho brevetti, protezioni: quello che faccio mi rende felice, se altri vogliono rifarlo, sono liberi di agire come desiderano».

Liberi di copiare… ma non sarebbe un orologio di Miki Eleta! Sono emozionata di parlare con Lei. Ma ora, una domanda tecnica. Leggendo la descrizione del suo splendido Passage of Time, ho visto che monta uno scappamento speciale, potremmo dire uno ‘”scappamento Eleta”. Cosa ci può dire a riguardo?
«Lo scappamento è il cuore di un orologio. Ne scandisce la frequenza: lo scappamento deve essere preciso perché l’orologio sia preciso. Gli scappamenti convenzionali in qualche modo assorbono sempre una certa quantità di energia. La mia idea è stata quella di creare uno scappamento che richiedesse una minima frazione dell’energia solitamente richiesta, circa un centesimo. Mi è venuta un’idea, ho fatto uno schizzo, ho pensato che avrebbe potuto funzionare… ed è nato il mio scappamento. E l’orologio che prima richiedeva tre chili e mezzo di pesi per funzionare, ha funzionato con soli 280 grammi… Meno peso, meno sollecitazioni meccaniche, maggior durata, maggior precisione e miglior funzionamento.

Di solito c’è una molla molto resistente, o un peso notevole. No, ho dimostrato il contrario. Ho eliminato al massimo gli attriti. Per molto tempo non ne ho parlato con nessuno, per non passare per matto. Prima l’ho usato per azionare una parte del movimento – la sfera della luna – ma, visti i risultati, sono passato ad usarlo per azionare il tutto. È una soluzione che non è il moto perpetuo – il perpetuum mobile – ma è veramente molto efficiente».

Come si vede Miki Eleta, come orologiaio: più come meccanico o più come mago?
«Io mi vedo come un operaio. Ho un lavoro da compiere, cerco di farlo al meglio. Parto da un’idea e produco un oggetto che funziona. Mentre lavoro, forse molti pensano che io sia un mago: ma io mi considero un operaio».

Questa è la risposta che mi sarei aspettata da un vero Maestro! Tornando al concetto di pezzi unici, non ha mai preso in considerazione l’idea di edizioni limitate? Magari per pezzi di particolare successo?
«No, non rifaccio mai la stessa cosa… Ogni orologio è un viaggio nuovo, che mi prepara a un viaggio successivo. Non ne faccio una questione economica, è una scelta personale. Renderebbe di più, ma non è nella mia filosofia. Ogni orologio è come un figlio: ognuno ha una storia. Ed è anche una questione di onestà intellettuale. Quando un cliente vuole un mio pezzo, lo consegno personalmente, nella casa del cliente, lo regolo, in qualche modo controllo anche che la casa sia adeguata a riceverlo».

Lei ha sicuramente orologi in tutto il mondo!
«Sì. Posso davvero dire in tutto il mondo. In America, in Cina, in Medio Oriente…».

Un’ultima domanda: cosa uscirà prossimamente dal cilindro del mago?
«Come accennavo, sarà un pezzo che rifletterà la mia recente esperienza nei Paesi Arabi, la loro cultura, la loro architettura, sarà musicale. Sarà presentato a Ginevra a Watches and Wonders. Avrà un modo molto innovativo di rappresentare l’indicazione oraria e sarà caratterizzato da una corsa di cavalli che sarà del tutto imprevedibile: si potrà ogni volta scommettere su chi sarà il vincitore».

Non vediamo l’ora di scoprirlo…