Storia e storie

L’orologio elettrico: dal bilanciere al chip #2

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Nel solco della precisione

Accennavamo nella scorsa puntata di una seconda caratteristica da migliorare: la precisione.
Finora abbiamo visto movimenti sì elettrici ed elettronici, ma le cui basi affondano ancora nell’orologeria tradizionale. Gli organi regolatori sono ancora i bilancieri, che viaggiano a 2 o 3 Hertz. La precisione di un orologio elettrico è comparabile con quella di un meccanico, tanto che la regolazione si effettua allo stesso modo: variando la lunghezza della spirale.

Per fare un vero salto di qualità occorre aumentare di ordini di grandezza la frequenza di funzionamento. Facile, essendo nota la proporzionalità tra frequenza delle oscillazioni e uniformità delle stesse.
La prima risposta è il Bulova Accutron: d’improvviso la frequenza aumenta di almeno 100 volte, passando ai 300-360 Hertz dei diapason. Il canto del cigno, addirittura, saranno i 720 Hz del diapason asimmetrico dell’Omega 1220, l’ultima creazione di Max Hetzel. I migliori bilancieri meccanici arrivavano ai 50 Hz dei cronometri sovietici, un dato che evidenzia lo scalino scavato con l’orologeria puramente meccanica.
Si raggiungeva così, probabilmente, il limite estremo della micromeccanica. Il passo successivo, per potersi attuare, doveva entrare nel mondo dell’elettronica.

Il passaggio al quarzo

Per poter ottenere frequenze molto più elevate, si doveva puntare su un minerale: il diossido di silicio, altrimenti conosciuto come quarzo. Già dal 1880 si conoscevano le sue proprietà piezoelettriche e piroelettriche. Ossia la capacità di un cristallo, messo in vibrazione o riscaldato, di produrre corrente ai due poli, o di vibrare quando sottoposto a tensione. Il tutto con frequenze molto precise, determinate dalla forma con cui lo si taglia.

L’idea è stata quindi di utilizzare la corrente prodotta dalla vibrazione del cristallo per regolare il circuito elettronico che a sua volta alimenta il motore.

Per poter mettere in pratica questo principio si dovevano risolvere nuovi problemi. Prima di tutto, sicuramente, tagliare cristalli di quarzo abbastanza piccoli da stare in un orologio. I primi orologi da polso montavano quarzi tagliati a piccolo parallelepipedo che vibravano a 8.192 Hz. Erano tagliati e montati a mano in piccoli tubetti. Successivamente, e ancora oggi, si usano quarzi sintetici tagliati in forma di diapason che vibrano 32.768 volte al secondo.

Il perché di questi numeri curiosi, che sono potenze di 2, è dato dal secondo problema: dividere più volte per 2 la frequenza del quarzo fino ad accordarsi alle necessità del motore. Ma i divisori si realizzano con circuiti elettronici che devono essere miniaturizzati fino a entrare in un singolo chip. L’unica eccezione era il curioso Longines 6512 che ne faceva a meno utilizzando componenti singoli, a prezzo di una schedina enorme. Occorre attendere lo sviluppo di questi chip integrati, che avverrà nella seconda metà degli anni ‘60.

Ora mancano solo i motori all’orologio elettrico

Il terzo problema erano i motori dell’orologio elettrico. Oggi si utilizzano i motori Lavet nella forma migliorata da Seiko, ma ai tempi consumavano decisamente troppo. Le pile andavano esaurite in pochi mesi, mentre si richiedeva una durata almeno annuale per marcare la differenza con la ricarica quotidiana dei meccanici. L’elevato consumo riguardava anche i circuiti divisori, che per dividere da 32.768 a 1 avevano bisogno di 15 stadi successivi. Il problema dei motori fu risolto in tempo solo dai giapponesi di Seiko, che infatti presentarono il primo quarzo al mondo – calibro 35SQ – il giorno di Natale del 1969. Ma non da tutti gli altri.

Nei primi anni si assiste quindi a una panoplia di soluzioni diverse per trasmettere il moto. Si va dagli Accutron Quartz, che continuano a usare il diapason – con frequenza di 341 Hz per adattarsi meglio alla frequenza del quarzo, che resta come semplice motore – ai Beta 21 e Longines 6512. Questi usano un risonatore a barra imperniato al centro – uno con bobina fissa, l’altro con bobina mobile – che vibra a 256 o 190 Hz, permettendo peraltro di ridurre gli stadi di divisione.

I Roamer 900 e i Rolex 5035 si avvicinano ai motori passo-passo utilizzando un’ancora che oscilla una volta al secondo. Altri, come i sovietici Luch 3055, i Timex o Golay 7723, continuano persino a usare il bilanciere, dando forma a ibridi molto curiosi da vedere. In essi la presenza del quarzo si accompagna alla lancetta secondi che continua ad avanzare fluidamente come nei meccanici. Un altro segno del progresso dei tempi era dato proprio dai secondi a scatto: erano scelti dai produttori oltre che per contenere i consumi per marcare la differenza dai classici a molla.

Negli anni immediatamente successivi, nella prima metà dei ’70, altri produttori – come Lip con l’R32 e il T41, Tissot col 2030 o i tedesco-orientali di Ruhla col calibro 28 – realizzano motori più piccoli ma ancora ingombranti e complessi. Il motore Portescap di Lip utilizza 8 minuscoli magneti fissati al rotore con polarità alternate e ben 4 bobine in serie fissate sul ponte, che si guastano al solo guardarle male.

Quando infine si riescono a migliorare i motori passo-passo, gli orologi al quarzo assumono la forma che ancora hanno. Una piccola bobina fissata al ponte crea un campo magnetico che fa compiere mezzo giro al rotore a due poli, guidato da un minuscolo chip di controllo ed un altrettanto minuscolo quarzo. Diminuiscono enormemente i consumi, dato che i motori si muovono per pochi centesimi di secondo al secondo. Alcuni, alla ricerca dei minimi consumi, come ad esempio il Timex M242, si muovono una sola volta al minuto.

Da questo momento i miglioramenti restano confinati alla miniaturizzazione. Non cambiano molto le specifiche: persino i quarzi resteranno alla frequenza di 32.768 Hz. Quarzi a maggior frequenza possono essere trovati solo nel pur economico PUW 5000 (65.536 Hz), nell’Omega Megaquartz 1300 dove si raggiungernno i 2,4 MegaHertz, così come nel Citizen 8650A. E nello Junghans 667.26, che addirittura arriva a 4 MHz. Omega aveva studiato il calibro 1522, che montava un quarzo da 4,2 MHz, ma è rimasto un prototipo. Tutto negli anni ’70.

Solo in tempi recenti Citizen si è interessata di nuovo alla ricerca della massima precisione, con i quarzi a 262 KHz incassati col marchio Bulova e con l’interessante calibro 0100. Un movimento che finalmente doppia i risultati di 40 anni fa e raggiunge gli 8,4 MegaHertz, garantendo uno scarto di un secondo all’anno.

L’orologio elettrico: conclusione

Abbiamo visto che sotto la denominazione di “orologio elettrico” c’è stato in realtà un mondo – seppur compresso in soli 30 anni di vita commerciale – molto più vario di quel che si ritiene comunemente, e che ha dato luogo a soluzioni molto interessanti.

Il mondo degli orologi elettrici ed elettronici e quello dei cosiddetti “paleoquarzi” sta avendo oggi una riscoperta. Molti di questi modelli sono ricercati sul mercato del modernariato.

Ci sono state persino riedizioni recenti con fondi di magazzino. Pensiamo all’Accutron 214 presentato nel 2010 per il 50° anniversario dell’uscita originale, o il modello GV2 del 2008 di Gevril, che incassa un ESA 9158 elettronico a bilanciere in una moderna e imponente cassa da 42 mm.

Alcuni di questi modelli già originariamente erano stati prodotti in poche migliaia di esemplari. Molti altri, presentati come novità assolute, erano incassati in metalli nobili, di conseguenza sono rimasti solo i movimenti e le casse sono finite in fonderia. I Seiko 35SQ costavano quanto un’automobile e, al pari dei Bulova Accuquartz Beta 21 e del Rolex con lo stesso movimento, erano venduti solo in oro. Ma già stanno diventando difficili da trovare modelli come i Longines 6512, molto delicati, o gli Omega “Dinosaure”.
Trattaremo in capitoli successivi in maniera più dettagliata i singoli movimenti, molti di loro meritevoli di più ampio spazio.