Storia e storie

La misura del tempo a Ravenna: gli autori raccontano…

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Un misterioso orologio da torre. Due studiosi che vogliono svelarne le vicende. La scoperta di antichi contratti, la definitiva ricostruzione del suo aspetto. Sembra la trama di un romanzo, invece è il retroscena del libro La misura del tempo a Ravenna, raccontata attraverso la storia dei suoi antichi orologi da torre. Un saggio storico scritto a quattro mani da Mario Arnaldi e Marisa Addomine (sì, la “nostra” Marisa Addomine: la storica dell’orologeria, esperta di antichi esemplari – e non solo -, che collabora anche su questo sito). Un volume, dicevo, denso di informazioni, che (come s’intuisce dal titolo) riguarda appunto studi e ricerche sugli antichi orologi pubblici della città romagnola.

Pubblicato di recente e in vendita anche su Amazon, La misura del tempo a Ravenna getta nuova luce su un pezzo di storia dell’orologeria italiana. Non mi stancherò mai di sottolineare quanta importanza rivesta la storia dell’orologeria italiana soprattutto ai primordi dell’orologeria meccanica. Eppure non è molto studiata – o almeno non lo è quanto meriterebbe. Per questo, noi del Giornale degli Orologi abbiamo deciso di presentare l’inedito contributo, il cui valore è tale da far progredire le conoscenze di storia locale.

E non poteva essere altrimenti. Curiosi come siamo di tutti gli aspetti del mondo delle lancette, appena visto il titolo, abbiamo voluto saperne di più. Ci siamo quindi rivolti direttamente ai due autori, che ci hanno concesso questa intervista e hanno condiviso con noi i risultati delle loro ricerche. Ecco cosa ci hanno raccontato riguardo a fatti e persone attorno agli orologi pubblici ravennati.

Come nasce La misura del tempo a Ravenna? A quali obiettivi risponde?
Mario Arnaldi: Ventisei anni fa, stavo lavorando alla stesura del mio libro Il Conchincollo, l’antico orologio di Ravenna. Consultavo tutti i documenti e gli studi che erano stati pubblicati fino a quel momento, quando incappai in un articolo di Silvio Bernicoli, nel quale si parlava anche dell’orologio pubblico meccanico costruito nel Cinquecento da Anastasio Cellini. In una nota a piè di pagina era riportata parte del contratto originale fra il Cellini e la Comunità ravennate, in cui si leggeva chiaramente che il quadrante doveva avere un elemento chiamato “rete” che mostrasse alcune stelle così come si vede negli astrolabi.

La cosa mi stupì, perché nell’unica immagine che ci è storicamente pervenuta di quell’orologio non c’è alcun elemento simile. Di conseguenza ho capito che l’immagine attribuita all’orologio cinquecentesco originale da tutti gli autori di storia locale – e dall’autore stesso del disegno, il conte architetto Camillo Morigia – era, in effetti, il risultato di tante modifiche avvenute nei due secoli precedenti. Mi ero ripromesso di tornare sul tema per chiarire meglio i fatti, ma sono passati gli anni. Del resto il mio interesse principale era, ed è ancora, la gnomonica medievale e non l’orologeria meccanica. Però con il tempo ho maturato più conoscenze: solo nel 2014 mi sono sentito pronto per affrontare con maggiore sicurezza il lavoro del libro.

Comunque la finalità de La misura del tempo a Ravenna è sempre rimasta quella di contribuire alla costruzione del mosaico (è il caso di dirlo) di studi locali relativi alla storia della città. Il progetto si prefiggeva quindi il semplice godimento di un pubblico locale di appassionati e studiosi di storia ravennate. Eppure, fin dalle prime ricerche e a prescindere dall’interesse prettamente cittadino, ho capito che quell’orologio, nel suo essere astrolabico, assumeva un valore di studio che oltrepassava i confini della Romagna e dell’Italia stessa.

Voi siete due specialisti, ma La misura del tempo a Ravenna è fruibile anche da un pubblico senza una profonda preparazione storica e meccanica?
Marisa Addomine: Quando abbiamo iniziato a pensare a questo libro, abbiamo immediatamente concordato sul fatto che non dovesse essere troppo specialistico. Abbiamo quindi cercato di mediare tra la necessità di farci comprendere da un pubblico ampio – magari appassionato di storia, ma non necessariamente di orologeria meccanica – e quella di dare informazioni nuove, interessanti, accattivanti anche per coloro che non sono ferrati in materia. La misura del tempo a Ravenna, insomma, è un libro per tutti: specialisti e non.

Quali sono le fonti documentarie, archivistiche e bibliografiche, su cui avete basato la ricerca?
Mario Arnaldi: All’inizio mi sono appoggiato su fonti storiche e cronachistiche dei secoli XVI, XVII e XVIII, poi su studi più recenti dei secoli successivi. Nessuno degli autori consultati, però, era riuscito a descrivere l’orologio esattamente come si evince dal contratto originale. Nei loro testi si ha sempre l’impressione di trovarsi di fronte a un orologio astronomico, ma non astrolabico.

Di conseguenza la mia ricerca si è spostata sulle fonti primarie manoscritte custodite nell’Archivio Storico Notarile di Ravenna, per quanto riguardava gli Atti notarili stipulati fra i costruttori degli orologi e i committenti. E nell’Archivio di Stato di Ravenna per la consultazione dei libri mastri delle corporazioni religiose soppresse, per tutto ciò che riguardava la storia degli orologi abbaziali cinquecenteschi della città. Per tutte le vicende storiche dell’orologio pubblico dopo la sua costruzione, l’archivio principale di ricerca è stato l’Archivio Storico Comunale di Ravenna, che è conservato nella Biblioteca Classense.

Quanto è importante il materiale archivistico che avete scoperto? E che significato ha, nella storia degli orologi da torre italiani?
Marisa Addomine: È di grande interesse, perché inedito e presentato per la prima volta al pubblico. In modo particolare, la complessa e intricata vicenda dell’orologio con il quadrante astrolabico, i contratti completi con gli accordi per la fornitura, non solo non danno adito a dubbi sulla caratteristica – straordinaria per l’Italia – di questo tipo di quadrante presente su un orologio pubblico… Ma dimostrano una volta di più quanto importante fosse l’acquisto di un orologio da torre per una comunità e come fosse strettamente regolato da precisi contratti, soprattutto se si trattava di una fornitura del tutto eccezionale.

La misura del tempo a Ravenna verte principalmente sull’orologio pubblico/astrolabio meccanico di cui siete riusciti a ricostruire l’aspetto. Quale è stata la difficoltà maggiore che avete incontrato durante gli studi?
Mario Arnaldi: La consultazione dei documenti storici non è stata difficoltosa: lunga sì, ma non difficoltosa. E questo grazie alla disponibilità di tutti gli addetti agli archivi storici che hanno interessato la ricerca. La difficoltà maggiore per noi è stata la corretta lettura delle fonti – sia che fossero scritte in latino sia che lo fossero in volgare. Perché la scrittura corsiva – di mani diverse, spesso veramente ostiche – richiedeva molta attenzione, al fine di decifrare correttamente le parole. Il linguaggio stesso, che era antico, ha comportato da parte nostra uno sforzo non indifferente per la comprensione corretta delle intenzioni di chi scriveva. Questa giusta interpretazione è stata fondamentale per la ricostruzione grafica della mostra (il quadrante, ndr) dell’orologio pubblico, oggetto principale del nostro libro.

Come è possibile che un orologio astrolabico, le cui radici culturali sono germaniche, fosse realizzato in una città italianissima come Ravenna?
Marisa Addomine: Su questo, a meno di future scoperte, il mistero è totale. La cosa certa è che qualcuno, forse l’orologiaio o un membro della committenza, abbia visto un orologio di impostazione germanica, magari a Praga o in una delle città anseatiche. Ne abbia disegnato l’aspetto esterno e compreso il movimento. E abbia voluto proporne uno analogo – per bellezza e importanza – alla propria città.

Quali sono gli altri orologi oggetto della trattazione? Sono esemplari coevi o di epoche differenti?
Mario Arnaldi: Fin da subito avevo stabilito di affrontare solo gli orologi meccanici costruiti entro il secolo XVI, dunque nel libro non sono stati presi in esame gli orologi successivi. Questa mia decisione si è rafforzata maggiormente strada facendo, perché la storia degli altri tre orologi abbaziali costruiti nel Cinquecento s’intreccia solidamente con quella dell’orologio pubblico.

Il primo orologio a essere stato costruito fu quello dell’abbazia di Santa Maria in Porto, il cui cerchio delle ore (la fascia oraria) ancora esiste (dislocato); tra l’altro si è sempre creduto che fosse quello dell’orologio pubblico. Poi quello di San Vitale, che fece incontrare il Cellini con Antonio Burchiello di Imola e stabilire un rapporto di lavoro per l’orologio pubblico. Infine l’orologio dell’abbazia di Classe in città, che ebbe come manutentori gli stessi operatori addetti anche all’orologio pubblico.

Quanto tempo ha richiesto l’intero lavoro – fra ricerca, analisi, rielaborazione delle informazioni e stesura?
Mario Arnaldi: Abbiamo iniziato il lavoro nel 2014 e, fra momenti di ricerca intensa e pause di riflessione variabilmente lunghe, siamo giunti infine a finirlo nel 2023. Qualche mese fa.

Come avete strutturato il libro? Quali criteri avete seguito per la scansione dei capitoli?
Marisa Addomine: Principalmente abbiamo seguito un criterio cronologico. Abbiamo dato più risalto alla storia dell’orologio pubblico perché è argomento di maggior interesse, ma senza dimenticare gli altri tre orologi cinquecenteschi cui abbiamo riservato la terza parte del libro. Ogni documento consultato è stato citato nelle note a piè di pagina e i più importanti riportati per esteso in un apposito capitolo delle appendici.

Anche se avete sicuramente scritto per lettori interessati ma senza grandi competenze di orologeria, qualche termine tecnico, prima o poi, ci sarà. Come avete pensato di risolvere il problema?
Marisa Addomine: Alcune spiegazioni sono nel testo stesso, altre in nota. Poi abbiamo aggiunto un piccolo glossario, soprattutto per i termini che si ripetono più frequentemente nel testo.
Forse il problema più grosso è stato quello di far capire il computo del tempo nei vari secoli, soprattutto in Italia. Per superarlo abbiamo cercato di spiegarlo al meglio ogni qualvolta che il sistema orario cambiava.

Al di là dell’amicizia che vi lega, è la prima volta che lei e Marisa Addomine lavorate insieme o avete già collaborato in precedenza?
Mario Arnaldi: Non avevo mai lavorato con Marisa prima d’ora, la nostra amicizia è nata con questo progetto. La necessità di affiancare al mio lavoro qualcuno che fosse esperto in orologeria meccanica deriva dal fatto che – come dicevo – la materia di mio interesse è la gnomonica medievale, cioè la scienza degli orologi solari. Quel poco che sapevo di orologeria meccanica, anche antica, non era sufficiente e così ho chiesto consigli fra amici. Tutti mi hanno fatto il nome di Marisa, l’ho presto contattata trovandola felice di lavorare a questo libro. La misura del tempo a Ravenna, così, è il risultato della proficua fusione dei nostri due rispettivi campi di studio.

A chi consigliereste questo libro?
Marisa Addomine: Agli appassionati dell’orologeria italiana: in particolar modo a coloro cui gli orologi da torre fanno battere il cuore. A tutti coloro che si interessano di storia ravennate, certo... Ma anche a chi ama gli orologi in generale ed è incuriosito dalla loro lunga e gloriosa storia.