Protagonisti

Raúl Pagès, il vincitore del Louis Vuitton Watch Prize, racconta…

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Nei giorni scorsi, è stato reso noto il vincitore del Louis Vuitton Watch Prize for Independent Creatives: l’orologiaio svizzero Raúl Pagès, con il suo Regolatore à détente RP1. Per i pochi che non lo conoscessero, il Louis Vuitton Watch Prize for Independent Creatives (che potremmo tradurre in italiano come Premio di orologeria Louis Vuitton per i creatori indipendenti) è un evento biennale, sostenuto dalla Fabrique du temps Louis Vuitton e mirato a promuovere “il talento creativo, il savoir-faire e l’innovazione in orologeria”.

Cos’è il Louis Vuitton Watch Prize for Independent Creatives

Il Premio dunque è aperto agli orologiai indipendenti e alle loro creazioni innovative, originali e di qualità. Lanciato da Jean Arnault, Direttore degli orologi di Louis Vuitton, consiste in un riconoscimento in denaro, pari a 150mila euro, ma non solo. Il vincitore godrà, per dodici mesi, di un affiancamento di altissimo livello da parte della Fabrique du Temps Louis Vuitton, che gli garantirà consulenza e formazione in marketing, posizionamento sul mercato, packaging, studio dell’immagine, gestione del brand. Abilità che spesso mancano del tutto agli artigiani indipendenti. In effetti, se da un lato non sembrerebbero di stretta pertinenza di un orologiaio, dall’altro sono invece indispensabili per la gestione di un’azienda, pur se piccola, e del Brand che un valente creatore di orologeria si avvia sperabilmente a far crescere.

A questa prima edizione del Louis Vuitton Watch Prize for Independent Creatives hanno partecipato oltre mille concorrenti. I loro lavori sono stati valutati da un Comitato di esperti – composto da celebri orologiai, giornalisti, rivenditori, collezionisti -, che ha selezionato i venti candidati più meritevoli. Infine una giuria di cinque rappresentanti del Comitato di esperti – di cui fanno parte Micheal Tay, Ad di The Hour Glass, Singapore; Carole Forestier Kasapi, Direttore dei movimenti TAG Heuer; il collezionista Auro Montanari; l’orologiaio indipendente Rexhep Rexhepi; e Jiaxian Su, fondatore di sito SJX Watches – ha poi a sua volta eletto i cinque finalisti.

Per la cronaca, si trattava di Andreas Strehler, John-Mikael Flaux, Petermann Bédat, Simon Brette e, naturalmente, Raúl Pagès. Giuria e finalisti hanno partecipato alla cerimonia di premiazione, che si è tenuta lo scorso 6 febbraio alla Fondazione Louis Vuitton, a Parigi, di fronte a un pubblico di appassionati e addetti ai lavori. Subito dopo il conferimento dell’ambito premio, ho avuto l’onore di intervistare in esclusiva Raúl Pagès, cui passo dunque la parola.

Quattro chiacchiere con Raúl Pagès

Signor Pagès, una prima domanda per i lettori del Giornale degli Orologi: si aspettava di vincere?Personalmente, ritengo che il Louis Vuitton Watch Prize sia una magnifica occasione per mettere in luce il saper fare e la creatività degli orologiai indipendenti. Proprio per questo, presentandosi l’occasione, non ho esitato neppure un secondo per fare domanda e iscrivermi. Ammiro molto i lavori degli altri quattro finalisti: e vi confesso che, al momento della proclamazione del vincitore, ho provato una forte emozione. Ma per me è stata una vera sorpresa.

Il suo pezzo è iconico, per usare un termine in voga. Colpisce per la linearità, l’essenzialità. Mi permetta di dire, da storica dell’orologeria, che lei ha creato un oggetto fuori dal tempo. È intenzionale, questa scelta?
Nel mio processo creativo estetico sento di essere debitore verso molteplici artisti, designer ed architetti. In particolar modo, amo il concetto di design della Bauhaus, che è centrato sulla funzione dell’oggetto. Cerco di arrivare a un’estetica essenziale, ma non per questo priva di finezze e di dettagli. Credo anch’io che questo tipo di design sia a-temporale, fuori dal tempo.

Parliamo un po’ di lei: come nasce la sua passione per l’orologeria? Ci sono altri orologiai nella sua famiglia?
Sono cresciuto in Svizzera, nella zona de La Chaux-de-Fonds, una regione ad alta densità di produzione orologiera, sia a livello di marchi che di subforniture. Mi attirava l’idea di un lavoro artigianale e creativo: a 16 anni mi sono iscritto a una scuola di orologeria. La passione è nata lì, studiando e praticando, imparando il mestiere.

Qual è stato il suo percorso di formazione?
Per diventare orologiaio ho seguito un corso quadriennale alla scuola di orologeria di Le Locle. Mi sono in seguito diplomato in restauro di orologi antichi ed ho conseguito un diploma di progettazione orologiera. Desideravo avere una formazione il più completa possibile, nel mio settore.

Ha dei maestri, antichi o moderni, da cui trae ispirazione?
Dal punto di vista tecnico, mi sono molto ispirato ai lavori di James Pellaton, un orologiaio degli inizi del Ventesimo secolo. Tra i contemporanei, ammiro i lavori di Rexhep Rexhepi e di Kari Voutilainen. Sotto il profilo estetico, sento maggiormente l’influenza di architetti e designer: potrei citare Marcel Breuer, le Corbusier ma anche Jean Prouvé.

La scelta di un regolatore da polso à détente è del tutto insolita. Ci sono delle ragioni particolari?
Ho avuto la fortuna di poter restaurare qualche orologio da tasca degli inizi del XX secolo con questo tipo di scappamento, che mi ha sempre affascinato. Da questa attrazione, la decisione di accettare la sfida e adattarlo al mio RP1.

Lei è giovane ed è stato riconosciuto, anche grazie a questo premio, come una grande promessa del mondo dell’orologeria. Posso chiedere, se non sveliamo segreti, quali sono i suoi prossimi progetti?
Il Louis Vuitton Watch Prize è un grande riconoscimento per il mio lavoro. Credo di essere agli inizi del mio percorso creativo, ho tante idee che vorrei realizzare. Vorrei continuare a esplorare il mondo della cronometria, per poi tornare al mondo degli automi. Il supporto e la guida di Louis Vuitton saranno assolutamente preziosi, lungo questo percorso progettuale.

Giovane, abilissimo, creativo e visionario: le qualità per eccellere ci sono tutte. Ringraziamo Raúl Pagès per averci dedicato il tempo di questa chiacchierata e ci auguriamo di vedere presto realizzati i suoi prossimi orologi. Ma intanto godiamoci il suo RP1 Regolatore à détente.

L’RP1 Regolatore à détente di Raúl Pagès

L’RP1 Regolatore à detente è un esemplare, appunto, con affissione a regolatore. Ricordo che i regolatori sono sempre stati orologi di estrema precisione, in origine da parete, che in passato si trovavano spesso nelle botteghe degli orologiai. Prendono questo nome dal fatto che servivano per fornire l’orario di riferimento su cui si regolava la messa all’ora degli altri orologi, riparati o restaurati. Alla loro funzione primaria rispondeva la visualizzazione dei minuti centrali come indicazione principale, mentre l’indicazione di ore e secondi si trovava di solito in due contatori secondari.

Nell’orologio di Raúl Pagès, la scelta dell’affissione a regolatore la dice lunga sull’importanza che lo stesso Pagés attribuisce alla cronometria e quindi alla costanza di marcia. A questo stesso obiettivo rimanda anche lo scappamento à détente, cuore del movimento meccanico a carica manuale da lui interamente progettato, costruito e assemblato (a mano). Un dispositivo non comune, negli orologi da polso, e che merita una spiegazione. Provo dunque a descriverne le caratteristiche, confrontandole con quelle del consueto scappamento ad àncora. Non me ne vogliano i puristi, ma dovrò cercare di semplificare.

Àncora vs détente

Per prima cosa, sia lo scappamento ad àncora usato negli orologi da polso sia il détente sono accomunati dal fatto di essere scappamenti liberi, cioè che minimizzano il tempo di contatto tra il bilanciere e il dispositivo che trasmette l’impulso. Nel caso dell’àncora, per ogni oscillazione completa del bilanciere, ci sono due momenti in cui le palette dell’àncora vera e propria “toccano” la ruota di scappamento. Nel détente, per ogni oscillazione completa del bilanciere si ha un solo contatto tra il “dente” che trasmette l’impulso e la ruota di scappamento. Ne consegue che per la maggior parte dell’oscillazione, il bilanciere si muove “liberamente”. Svincolare al massimo la massa oscillante dal movimento vero e proprio dell’orologio è stato per secoli il sogno degli orologiai, condizione indispensabile per ottenere l’agognata precisione.

Fu Pierre Le Roy, nel XVIII secolo, a inventare lo scappamento à détente. La precisione che un orologio meccanico può raggiungere grazie ad esso è dell’ordine del secondo al giorno, paragonabile, quindi, a quella di un orologio al quarzo. Il détente fu in seguito oggetto di perfezionamenti, soprattutto per l’utilizzo nei cronometri da marina.

Tutta una serie di fattori, però, ne limitavano fortemente l’uso. In primo luogo, se sottoposto a urti o sollecitazioni meccaniche eccessive, il détente perde il corretto accoppiamento tra il dente e la ruota di scappamento. Questo problema lo rendeva poco idoneo per orologi da portare addosso, mentre nei cronometri da marina il movimento era tenuto in posizione e “al sicuro” da un giunto cardanico in una scatola in legno ben costruita. In secondo luogo, per essere messo in moto dopo la carica, richiede una manovra di avvio – in altri termini, a differenza dell’àncora, non è autoavviante. Ed è delicato, richiede un’alta qualità di esecuzione. Anche se le sue evoluzioni ne migliorarono le caratteristiche, si dovrà arrivare alla seconda metà del XX secolo perché Jürgenssen e Sønnen riescano a inserire uno scappamento à détente in un orologio da polso normalmente indossato.

Nel caso dell’RP1 Regolatore à detente, Raúl Pagès ha risolto il problema della resistenza agli urti e ha dotato il dispositivo di un sistema di fermo, che impedisce alla ruota di scappamento di spostarsi dalla posizione di riposo quando soggetta a sollecitazioni esterne. E lo ha opportunamente brevettato.